di Francesco RutelliSOMMARIO: L'analisi e le critiche alla riforma della legge italiana per la cooperazione allo sviluppo approvata dalla Commissione esteri in sede legislativa.
(Notizie Radicali n· 8 del 10 gennaio 1987)
La linea che il Partito e il Gruppo parlamentare radicale avevano annunciato nei mesi scorsi a proposito della cosiddetta riforma delle leggi sulla cooperazione allo sviluppo e l'intervento straordinario nel Terzo e Quarto mondo si è rivelata giusta, oltre che obbligata.
Montagne di impegni politici, mozioni e risoluzioni parlamentari, prescrizione di legge sono rimaste in questi anni lettera morta (basti pensare all'ultima risoluzione approvata all'unanimità a Montecitorio, nella quale si dettavano nel giugno scorso -e si confermavano ancora ad ottobre- puntuali ed importanti iniziative per il governo sia sul piano interno, sia su quello europeo ed in sede di nazioni Unite): il "buco nero" nell'azione Nord-Sud dell'Italia consiste nella mancanza di volontà politica, e la responsabilità di questa abdicazione da tanti impegni solennemente assunti ricade sul governo nel suo assieme, in testa il presidente del Consiglio e il ministro degli Esteri.
E dunque noi non abbiamo accettato di fornire nessun alibi, nell'elaborazione della nuova legge, a questa mancanza di volontà politica: l'esperienza ci dimostra che anche eccellenti documenti vincolanti e le leggi dello Stato trovano in questo contesto una fallimentare applicazione e che invece l'insorgere di una nuova volontà politica potrebbe costringere anche strutture inadeguate o renitenti ad attuare ottime iniziative contro la fame, per la vita e lo sviluppo.
Del resto, era del tutto evidente che la sospensione negli ultimi mesi -di impegno prioritario su altre questioni, dalla giustizia ai referendum, alla vita stessa del partito- della formidabile campagna radicale contro lo sterminio per fame aveva rapidissimamente comportato il riflusso dell'attenzione dei cittadini, del governo, del Parlamento, dei mass-media, ricostituendo le condizioni ideali perché le forze e gli interessi coalizzati in quella che avevamo definito la "lobby del Dipartimento per la cooperazione allo sviluppo" potessero riprendere il sopravvento.
Così è stato: e la legge che è stata proposta ed approvata nella Commissione Esteri della Camera in sede legislativa (con un voto finale unanime, con l'astensione di Dp e, ovviamente, senza l'avallo radicale) è il fedele specchio di questa restaurazione.
Viene istituita una Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo la quale eredita -vieppiù ampliate- le funzioni del Dipartimento, con una dote colossale: quattromila miliardi fin dal prossimo esercizio finanziario. Se è vero che sarà con ogni probabilità un sottosegretario delegato dal ministro a gestire il complesso degli stanziamenti e degli interventi (i nomi più accreditati sono quelli del socialista Raffaelli e del Dc Bonalumi) è allo stesso tempo vero che la struttura burocratica della Farnesina acquisisce con la nuova legge un potere ed una forza straordinari; si realizza così la negazione di quell'esigenza di forte e piena responsabilizzazione di alte autorità politiche posta al centro della campagna internazionale contro lo sterminio per fame del Manifesto dei Premi Nobel sino alla legge Piccoli.
Contemporaneamente, la legge -che ora passa all'esame del Senato, dove la lobby del Dipartimento è persino più forte- prevede l'istituzione di un assurdo carrozzone denominato Comitato consultivo per la cooperazione allo sviluppo, composto da una congerie lottizzata di esperti, sindacalisti, rappresentanti delle imprese, delle cooperative, del volontariato, addetto ad esprimersi sulla programmazione generale della politica di cooperazione. Ma la morsa consociativa e lottizzatoria sulle strutture della nuova legge è testimoniata dalla maggioranza politica che l'ha approvata, articolo dopo articolo, in Commissione: una maggioranza composta da Dc, Pci e Sinistra indipendente (con la totale assenza dei rappresentanti di 4 su 5 partiti della maggioranza). E non è un caso se il Pci ha fatto valere solo una volta la condizione maggioritaria in cui si è trovato pressoché in permanenza durante le votazioni: è stato quando si è approvato un aberrante emendamento comunista che prevede che le Regioni possano realizzare
(a spese dello Stato) interventi nel Terzo mondo.
E' una bella prova di chiarezza e distinzione di funzioni tra le istituzioni repubblicane!
In questo quadro, ben poca soddisfazione può venire dall'avvenuta approvazione di tre emendamenti radicali: tra gli obiettivi della legge, il riconoscimento prioritario della salvaguardia della vita umana; la previsione di un'analitica informazione al Parlamento sull'impatto e gli esiti di ciascun progetto di cooperazione; una maggior compiutezza degli interventi straordinari, affidati ad un servizio speciale subordinato alla citata Direzione generale. A questo proposito va sottolineato che il testo approvato alla Camera riduce brutalmente la possibilità stessa degli interventi straordinari, compromettendone alla radice la ratio, laddove è stata soppressa l'impostazione degli interventi "integrati e plurisettoriali" ed è ulteriormente sfumata la distinzione tra gli interventi di emergenza -affidati alla medesima sezione speciale- e gli interventi straordinari stessi.
Tra le minuziose norme che regolamentano i rapporti dell'amministrazione con il personale (si tratta, non a caso, della parte preponderante della legge), va notato il riconoscimento del servizio civile all'estero come una possibilità alternativa al servizio militare. Ma anche in questo caso si è ignorata la proposta radicale di ridurre il periodo di questo servizio dai due anni previsti (ovvero un tempo ancora più punitivo del già punitivo servizio civile nazionale) ad un anno e mezzo, ovvero ad un periodo che certamente consentirebbe formazione ed acclimatamento dei giovani interessati senza essere scoraggiante per molti.
Il tempo dimostrerà come questa nuova legge non sia altro che lo strumento attraverso cui proseguire la politica di dispersione incontrollata ed a pioggia di un aiuto italiano che ha storicamente contribuito a sviluppare gli interessi e gli affari di casa nostra, a svuotare magazzini, scaricare materiali obsoleti e costruire cattedrali nel deserto, anziché sviluppare e migliorare le condizioni di vita e di salute e le economie dei paesi poveri.
Non ce ne compiacciamo, perché non abbiamo mai sostenuto il "tanto peggio, tanto meglio". Piuttosto, al Congresso di un Partito radicale rifondato (che avesse superato anche l'obiettivo dei 5.000 iscritti) ci si dovrà misurare e impegnare. E decidere -spiazzando una nuova volta i burocrati così come gli avvoltoi- i modi di un grande rilancio della campagna per la vita, la sopravvivenza e lo sviluppo.