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Spadaccia Gianfranco - 10 gennaio 1987
Il fascino indiscreto della minorità
di Gianfranco Spadaccia

SOMMARIO: Il senatore radicale Gianfranco Spadaccia contesta le stime del capogruppo socialista alla Camera Lelio Lagorio sull'eventuale introduzione del sistema elettorale uninominale in Italia.

(Notizie Radicali n· 8 del 10 gennaio 1987)

"Il Messaggero" ha riferito di una convocazione, da parte del capogruppo socialista alla Camera, dei deputati socialisti che avevano aderito alla Lega per la riforma del sistema elettorale che, come è noto almeno ai lettori di "Nr", propone come ipotesi di partenza la sostituzione della proporzionale con il sistema elettorale uninominale anglosassone.

Non si sarebbe trattato -a quanto riferisce il "Messaggero" del 27 dicembre- di un richiamo all'ordine, di un intervento di tipo censorio, ma di uno scambio di opinioni rivolto ad esprimere a quei promotori della Lega le personali convinzioni maturate dallo stesso Lagorio a proposito della ipotesi di introduzione dell'uninominale secco (sistema britannico).

Il presidente del Gruppo socialista ha fatto fare una proiezione utilizzandogli attuali collegi del Senato (che sono collegi uninominali anche se per un sistema misto che è uninominale nelle candidature e proporzionale nella assegnazione dei seggi). Applicando l'uninominale secco in questi collegi, secondo questa proiezione, la Dc che ha riportato alle ultime elezioni politiche il 32,4% dei voti otterrebbe il 51,6% dei seggi; il Pci con il 31,9% dei voti avrebbe il 37% dei seggi, mentre l'insieme dei partiti laici e socialisti, con il 25,3%dei voti, avrebbero solamente il 9,7% dei seggi. La conclusione di Lagorio è assai semplice: "una proposta nata per rompere il duopolio Dc-Pci, finirebbe invece per rafforzarlo. Una delle maggiori novità politiche di questi anni, lo spostamento delle simpatie dei partiti laici dalla Dc al Psi verrebbe d'un colpo vanificato".

Le argomentazioni di Lagorio sembrano assai semplici, e quindi persuasive.. Sembrano ma non lo sono. Lagorio infatti si limita a fotografare una situazione di minorità dell'ipotetico raggruppamento laico e socialista sulla base della situazione attuale: ora non c'è dubbio che questa minorità esiste rispetto alla Dc e al Pci, anche se si è fortemente ridotta negli ultimi due anni (nei primi tre decenni della Repubblica è stata mediamente assai più accentuata). Ma questa minorità esiste proprio come conseguenza della frammentazione dei partiti laici e socialisti e della loro condizione di partiti subalterni in passato alla Dc e in prospettiva al Pci. La radicale proposta di sostituire l'uninominale secco all'attuale sistema proporzionale presenta certamente dei rischi molto forti, anche il rischio di essere fortemente sottorappresentati, perfino il rischio di scomparire se non si avrà la forza e il coraggio di unirsi intorno a una politica, intorno a un minimo comune moltiplicatore. Come ogni rischio, consente

anche di rischiare il successo, di trasformarsi da terza forza perdente in prima forza vincente, capace di aspirare al governo in forza della maggioranza numerica sia pur relativa piuttosto che in forza di posizioni di rendita politica, come è avvenuto con le due presidenze Spadolini e con una lunga presidenza Craxi.

Ma questo è esattamente ciò che chiediamo ai laici e ai socialisti. Di non accontentarsi più di essere forze sparse e divise. Di non accontentarsi più di essere "terza forza" nella migliore delle ipotesi fra la Dc e il Pci. Ma di rischiare di diventare la "prima forza" di governo di questo paese. E' improbabile? Forse sì. Quando si è stati per quarant'anni partiti "minori", è difficile liberarsi da questa condizione di minorità. E' impossibile? Certamente no: la differenza fra le forze riunite dei laici e dei socialisti rispetto alla Dc e al Pci è del sei/sette per cento, certamente non insuperabile. Questa possibilità -ne conveniamo- non è a portata di mano. E' il terreno di una iniziativa politica, che radicali e socialisti possono esercitare nei confronti di Pri, Psdi e Pli da qui alle elezioni politiche per convincerli intanto a raggiungere una prima forma di accordo, e che poi laici e socialisti possono esercitare nei confronti della Dc e del Pci. Il banco di prova di questa iniziativa politica può ess

ere rappresentato proprio dalle elezioni politiche al Senato, con liste apparentate dei cinque partiti (e, se lo vorranno, dei verdi) in ogni collegio senatoriale. Per la prima volta nella storia della Repubblica l'elettore si troverebbe a votare in ogni collegio non per otto o nove candidati ma al massimo per quattro: il dc, il comunista, il missino e il candidato comune laico e socialista.

Grazie alla legge attuale del Senato, questo raggruppamento potrebbe avvantaggiarsi delle condizioni di cui si sono avvalsi solo finora, grazie alla loro maggior forza e alla loro unità, la Dc e il Pci: in caso di insuccesso, questo raggruppamento vedrebbe comunque aumentare del 20% la sua rappresentanza rispetto a quella attuale dei cinque partiti, in caso di successo la vedrebbe aumentare anche del 50% e oltre.

Lagorio teme invece che i laici minori (Pri, Psdi e Pli), che in questi anni si sono avvicinati al Psi, sarebbero in caso di uninominale risospinti nelle braccia della Dc. Ma questo è accaduto solo una volta, e c'era la guerra fredda, lo stalinismo, il frontismo Pci-Psi. Oggi sarebbe una scelta di mera sopravvivenza, e solo opportunistica. Questo timore ha qualche fondamento? Allora se ne discuta apertamente, evitando sia di facilitare il conservatorismo dei partiti minori (la conservazione di alcune posizioni di rendita proporzionalistiche diventa un fattore di conservazione di tutte le disfunzioni del sistema), sia di prospettare, in maniera surrettizia, soluzioni frontiste intorno al Psi che i laici "minori" non potrebbero accettare, e non potrebbe accettare neppure il Partito radicale.

E' ciò che si nasconde dietro la proposta di Lagorio: adottare il sistema attuale del Senato, che unisce uninominale e proporzionale e li trasforma in un autentico terno al lotto, assolutamente imprevedibile e raggirante la volontà dell'elettore, con uno sbarramento del 4,5% che dovrebbe costringere Pri, Psdi, Pli e Pr a unirsi al Psi.

Perché il Pri, il Psdi e il Pli (ed anche il Partito radicale) dovrebbero accettare con maggior, entusiasmo questa proposta di riforma elettorale?

I promotori della Lega per la riforma del sistema elettorale hanno chiarito che quella dell'uninominale britannico è una proposta di partenza, e che saranno in seguito, disposti a prendere in esame altre proposte. Hanno fatto esplicito riferimento al sistema francese del doppio turno e del ballottaggio. Se ne possono pensare anche altri. La riforma ha però un senso, se sarà una riforma radicale. Non se sarà un falsa riforma, o una controriforma.

All'on. Lagorio vogliamo perciò offrire un altro elemento di riflessione: se, come lui sostiene, dall'uninominale trarrebbero vantaggio solo Dc e Pci, come mai nessuno di questi due partiti si azzarda a proporlo? La risposta, a mio avviso, è semplice: perché l'attuale sistema offre alla Dc e anche al Pci il massimo del potere, con il minimo dei rischi derivanti dall'esercizio democratico del potere. Né la Dc, né il Pci -la prima da condizioni cosiddette di governo, il secondo da condizioni cosiddette di opposizione- intendono abbandonare questa caratterizzazione di partiti di potere per trasformarsi in partiti di vero governo o di vera opposizione.

Non a caso da questi due partiti vengono solo disegni di razionalizzazione, che tendono a rafforzare questo "bipolarismo" di potere: pensa alla proposta di legge elettorale del sen. Pasquino, rivolta a consolidare l'egemonia della Dc (o del Pci) sui partiti laici e socialisti, ai quali resterebbe fra il primo e il secondo turno solo la facoltà di scegliere se impiccarsi alla corda democristiana o a quella comunista (ma probabilmente finirebbero con l'impiccarsi, grazie a dilaniamenti e scissioni, a tutte e due).

Penso alla proposta del Pci di estendere alla Camera l'attuale sistema elettorale del Senato. Penso alla proposta di Violante di abolire del tutto le preferenze, che consegnerebbe tutto il potere alle segreterie dei partiti.

 
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