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Notizie Radicali - 16 gennaio 1987
Una sentenza a colpi di Beretta

SOMMARIO: Il testo della sentenza del 16 gennaio 1987 con cui la Corte Costituzionale dichiara inammissibili le due richieste di referendum sulla caccia promosse dal Pr. Secondo la Corte, la richiesta di referendum abrogativo di alcune articoli della legge 968 sulla caccia avrebbe l'esito di limitare non già l'attività venatoria ma la protezione e la tutela della fauna. Per quanto riguarda l'abrogazione dell'art. 842 del Codice civile (il proprietario di un fondo non può impedire che vi si entri per l'esercizio della caccia), il quesito è giudicato inammissibile poiché riguarda due materie distinte: caccia e pesca.

(NOTIZIE RADICALI N. 38, 14 febbraio 1987)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Antonio LA PERGOLA Presidente

Prof. Virgilio ANDRIOLI Giudice

Prof. Giuseppe FERRARI Giudice

Dott. Francesco SAJA Giudice

Prof. Giovanni CONSO Giudice

Prof. Ettore GALLO Giudice

Dott. Aldo CORASANITI Giudice

Prof. Giuseppe BORZELLINO Giudice

Dott. Francesco GRECO Giudice

Prof. Renato DELL'ANDRO Giudice

Prof. Gabriele PESCATORE Giudice

Avv. Ugo SPAGNOLI Giudice

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA Giudice

Prof. Antonio BALDASSARRE Giudice

Prof. Vincenzo CAIANIELLO Giudice

hanno pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi sull'ammissibilità ai sensi dell'art. 2, comma primo, legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, delle richieste di referendum popolare per l'abrogazione dell'art. 842 del codice civile approvato con r.d. del 16 marzo 1942, n. 262, e degli artt. 2, 3, 4, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14 ,15, 16, 17, 18, 19, 20, 27, 28, 29, 30, 31, 32 e 33 della legge 27 dicembre 1977, n. 968 (Princìpi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia), iscritti ai nn. 29 e 30 del registro referendum.

VISTE

le ordinanze con le quali il 13 dicembre 1986 l'Ufficio centrale per i referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato legittime le suddette richieste;

UDITO

nella camera di consiglio del 14 gennaio 1987 il giudice relatore Giuseppe Ferrari;

UDITI

l'avv. Valerio Onida per il Comitato promotore e gli avvocati Angelo Clarizia, Pietro Rescigno e Claudio Rossano per le associazioni venatorie.

RITENUTO IN FATTO

1.

Con due ordinanze in data 13 dicembre 1986, l'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, ha dichiarato legittime le due richieste di referendum popolare presentate ai sensi degli artt. 75 Cost., 7 e 27 L. 25 maggio 1970, n. 352, in esito alle procedure di raccolta delle firme consegnate alle distinte associazioni dei promotori del 5 marzo 1986, da Rosa Filippini, Annamaria Procacci e Gianluca Felicetti per l'abrogazione dell'art. 842 del codice civile e di 23 articoli della legge 27 dicembre 1977, n. 968, recante "Princìpi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e disciplina della caccia".

Premesso che i procedimenti di controllo delle firme erano stati sospesi in esito all'accertamento della regolarità dell'apposizione di oltre 500.000 sottoscrizioni per ciascuna delle due richieste referendarie e che i presentatori avevano depositato atto di opposizione alla proposta di concentrazione dei quesiti formulata dall'Ufficio centrale con ordinanza del 23 ottobre 1986, in ordinanza si dà preliminarmente atto dell'intervenuto accertamento circa l'assoluta regolarità formale delle avanzate richieste di referendum popolare e si rileva l'inammissibilità dello spiegato intervento dell'Unione nazionale delle associazioni venatorie italiane e di altre sei associazioni, siccome titolari di una posizione assimilabile ad un mero interesse diffuso né inquadrabili nell'ambito dei gruppi politici ai fini di cui all'art. 32, quinto comma, L. n. 352 del 1970, che inoltre manifestamente si sottrae alle prospettate censure di incostituzionalità in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 Cost.

In ordine alla proposta di concentrazione dei quesiti di cui alla menzionata ordinanza del 23 ottobre 1986 l'Ufficio osserva che i due quesiti investono disposizioni legislative differenziate per contenuto obiettivo e racchiuse in testi normativi diversi e non coevi: concernente l'uno le norme della legge n. 968 del 1977 sui limiti in cui è consentita la caccia per le specie cacciabili in relazione alla tutela della fauna selvatica; relativo l'altro all'art. 842 del codice civile che attiene all'esclusione del potere dei proprietari dei fondi "aperti" di impedirvi l'accesso ai cacciatori e, dunque, ai rapporti fra attività venatoria e contenuto del diritto di proprietà dei fondi sui quali tale attività si esercita. La possibilità che si apporvi la seconda e non la prima proposta di abrogazione - continua l'ordinanza - e che dunque venga meno l'obbligo del proprietario di consentire l'accesso per l'esercizio della caccia al proprio fondo "aperto" (art. 842 c.c.), conservandosi il divieto di accedere ai fondi

chiusi o in attività di coltura (art. 17, L. n. 968 del 1977) è sufficiente a denotare una diversa sfera di operatività delle norme e dunque una relativa facoltà di scelta circa la possibilità di abrogare una sola o entrambe le discipline indicate che non può essere sottratta al corpo elettorale. Da qui la decisione sulla necessità che i quesiti restino separati e che formino oggetto di due distinte richieste referendarie.

2.

I presentatori Filippini, Procacci e Felicetti hanno depositato memorie in ordine ad entrambe le richieste referendarie sostenendone l'ammissibilità sotto ogni profilo.

Escluso che le norme di cui si domanda l'abrogazione concernono leggi in ordine alle quali l'art. 75, secondo comma, Cost. non ammette il referendum abrogativo, si afferma in particolare che nessuna delle due richieste referendarie incontra il limite delle leggi a contenuto costituzionalmente vincolato.

La richiesta referendaria concernente l'abrogazione parziale della L. n. 968 del 1977 si sottrarrebbe inoltre totalmente alle censure di disomogeneità, incoerenza ed insufficiente chiarezza che indussero la Corte costituzionale, con sentenza n. 27 del 1981, a dichiarare inammissibile quella in altra occasione presentata, essendo l'elettorato chiamato a decidere se condividere o meno, nel loro insieme, senza alcun tentativo di "ritaglio" di disposizioni particolari, i princìpi normativi sulla attività venatoria contenuti nella L. n. 968 del 1977. La cui parziale abrogazione, sostengono diffusamente i promotori, quand'anche creasse un momentaneo vuoto normativo, non per questo potrebbe ritenersi inammissibile in sede referendaria.

3.

Hanno inoltre depositato unico atto d'intervento ed unica memoria l'Unione nazionale delle associazioni venatorie italiane, la Federazione italiana della caccia, l'Enalcaccia, l'Arcicaccia, la Libera caccia, l'Associazione nazionale migratoristi italiani, l'Ente produttore selvaggina. Tali associazioni sono state ammesse ad illustrare le ragioni addotte a sostegno della loro asserita legittimazione ad intervenire.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

A distanza di sei anni dalla sentenza (n. 27 del 1981) con la quale venne dichiarata inammissibile la richiesta di referendum per l'abrogazione parziale della legge 27 dicembre 1977, n. 968 ("Princìpi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia"), questa Corte è chiamata a pronunciarsi sull'ammissibilità di analoga richiesta, avente per oggetto la medesima legge, ed altresì ad esprimere lo stesso giudizio sul referendum contemporaneamente proposto per l'abrogazione dell'art. 842 codice civile, che prevede l'esercizio della caccia (primo e secondo comma) e della pesca (terzo comma) nei fondi di proprietà privata. Le due richieste, dichiarate entrambe legittime dall'Ufficio centrale per il referendum con distinte ordinanze in data 13 dicembre 1986, sono fra loro tematicamente legate - tanto che inizialmente il predetto Ufficio centrale aveva proposto la concentrazione dei due quesiti; e pertanto i relativi giudizi vanno riuniti e decisi con unica sentenza.

2.

A scioglimento della riserva espressamente manifestata all'inizio della camera di consiglio, deve dichiararsi inammissibile l'intervento delle associazioni venatorie di cui in narrativa. Ciò, in base alle previsioni dell'art. 33 della legge 25 maggio 1970, n. 352, che elenca gli organi ed i soggetti che possono intervenire nel procedimento dinanzi alla Corte costituzionale in materia referendaria. Né può d'altra parte trovare applicazione l'art. 32, che prevede l'intervento di gruppi politici nel procedimento davanti all'Ufficio centrale per il referendum per la diversa finalità del procedimento di ammissibilità davanti a questa Corte.

3.

Per quanto riguarda il merito e con riferimento in primo luogo alla richiesta di referendum per l'abrogazione parziale della legge n. 968 del 1977, è opinione della Corte che tale richiesta debba essere dichiarata inammissibile. Ritiene la Corte che non deve essere sottoposto a consultazione popolare un quesito di dubbio significato. L'articolo 1 della legge "de qua", non coinvolto nella richiesta referendaria, proclama che "la fauna selvatica italiana costituisce patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelato nell'interesse della comunità nazionale". Questo è il principio ispiratore della legge, che del resto si ravvisa già nel titolo ("Princìpi generali e disposizioni per la protezione e la tutela della fauna e la disciplina della caccia"), ove appunto questa disciplina appare enunciata in funzione della protezione e della tutela della fauna. Ma la richiesta referendaria, nel momento stesso in cui mette al riparo il trascritto principio, propone all'elettorato l'abrogazione: dell'art. 3, che vieta "in

tutto il territorio nazionale, ogni forma di uccellagione"; dell'art. 10, secondo cui "il territorio nazionale è sottoposto al regime gratuito di caccia controllata"; dell'art. 11, primo comma, che pone il divieto di "abbattere, catturare, detenere o commerciare esemplari di qualsiasi specie di mammiferi e uccelli appartenenti alla fauna selvatica italiana"; dell'art. 20, che contiene un elenco di specifici divieti; dell'art. 31, che prevede le sanzioni amministrative. La richiesta di abrogazione degli indicati articoli sembra volta a limitare, non già l'attività venatoria, ma la protezione e la tutela della fauna. Vero è che, chiedendosi anche l'abrogazione dell'art. 8, ai sensi del quale "l'esercizio della caccia è consentito", sembrerebbe mirarsi al divieto di caccia, ma la constatazione che dalla richiesta referendaria sono esclusi gli artt. 21 e 22, i quali lasciano sopravvivere "la licenza di porto d'armi per uso di caccia" e "l'abilitazione all'esercizio venatorio", rende ambiguo anche questo punto. E

poiché il quesito, creando disorientamento, risulta privo di quella chiarezza che assicura l'espressione di un voto consapevole, a giudizio della Corte il referendum non deve essere ammesso. Senza dire che in tal modo si verrebbero a produrre nell'ordinamento, in caso di approvazione, innovazioni non consentite al referendum abrogativo.

4.

Ad analoga conclusione si deve pervenire nei confronti della richiesta di referendum per la abrogazione dell'art. 842 codice civile. Comprendendo tale articolo due materie distinte (caccia e pesca), la richiesta preclude all'elettore che sia favorevole all'abrogazione di una sola fra le due ipotesi normative di operare una scelta fra esse, confondendolo, e di conseguenza incidendo sulla libertà del diritto di voto.

PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE DICHIARA INAMMISSIBILE:

a) la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione dell'art. 842 del codice civile (iscritta al n. 29 reg. ref.);

b) la richiesta di referendum popolare per l'abrogazione degli artt. 2, 3, 4, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14 ,15, 16, 17, 18, 19, 20, 27, 28, 29, 30, 31, 32 e 33 della legge 27 dicembre 1977, n. 968 (iscritta al n. 30 reg. ref.) nei termini indicati a epigrafe; entrambe dichiarate legittime con ordinanze in data 13 dicembre 1986 dall'Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 gennaio 1987.

 
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