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Sciascia Leonardo - 25 gennaio 1987
Io ho difeso il diritto e la dignità
di Leonardo Sciascia

SOMMARIO: Ritorna sull'argomento, già trattato, del suo giudizio sul giudice Borsellino e la sua promozione. Quando scrisse l'articolo del 10 gennaio non conosceva bene il giudice Borsellino, ora ne sa un po' di più. Non ha nulla contro di lui, ma torna a citare i verbali della motivazione con cui il Consiglio superiore della magistratura lo ha preferito ad un altro candidato, il dr. Alcamo (mai "investito di processi di stampo mafioso"). Si rimprovera a Sciascia di non sapere che il CSM non tiene conto, nelle promozioni, del criterio di anzianità, ma lo scrittore dubita della veridicità della cosa. Crede invece a questa affermazione il giornalista Giampaolo Pansa, che si allinea sulle posizioni del Coordinamento Antimafia e attacca ora Sciascia, su "La Repubblica" del 15 gennaio. Sciascia rievoca però certe prese di posizione del giornalista in merito al processo Tortora, per sostenere che "Pansa è assolutamente refrattario all'idea del diritto".

(L'ESPRESSO, 25 gennaio 1987)

C'è gente che magari sa scrivere, e scrive, e stampa sui giornali quello che scrive, ma non sa assolutamente leggere. E chiarissimo nel mio articolo pubblicato dal Corriere della Sera del 10 gennaio, che non del fatto che fosse stato promosso il giudice Borsellino mi allarmavo, ma del modo: e invece eccoli in molti, anche tra quelli che condividono la sostanza di quel mio articolo, a rimproverarmi di avere attaccato il Borsellino. Ma quando ho scritto l'articolo, io nulla sapevo di lui, della sua capacità, dei suoi metodi e meriti: e non solo non mi permetto mai di dare giudizi sulle persone che non conosco, ma con molta cautela giudico anche quelle che conosco.

Ora sul giudice Borsellino so un po' di più; ma il punto della questione non era e non è la sua persona, ma quel che intorno alla sua nomina si legge nell'estratto dei verbali del Consiglio superiore della magistratura "concernenti la copertura del posto di procuratore della repubblica di Marsala", dove ad un certo punto si coglie questa perla: che il dottor Alcamo, che a quel posto aspirava, non poteva essere preso in considerazione per la "lacuna" di non essere mai stato investito di processi di stampo mafioso: lacuna "a lui assolutamente non imputabile, non potendosi pretendere che egli pietisse l'assegnazione di questo tipo di procedimenti". E si postula, dunque, che i processi di stampo mafioso sono quelli che fanno andare su un magistrato e che si può arrivare anche a "pietirli". Brutta e allarmante parola, per chi ha un'idea piuttosto alta, piuttosto nobile, dell'amministrazione della giustizia.

Mi si rimproverava, anche, di ignorare che il Consiglio superiore della magistratura non tiene nelle promozioni il criterio dell'anzianità: cosa non vera fino alla promozione del giudice Borsellino, e ne è prova il fatto che praticamente il Consiglio cerca giustificazione per non avere tenuto tale criterio nei riguardi del dottor Alcamo. Da quel punto in poi, pare che sia stato adottato il criterio della competenza, della professionalità, della specificità o specializzazione in processi di stampo mafioso. Ma su che cosa si misura tale competenza? Sul numero dei mandati di cattura o sull'esito dei processi dibattimentali? Credo che i cittadini siano in diritto di saperlo.

Una simile curiosità forse non hanno molti che oggi discutono il mio articolo, e specialmente non ne ha Giampaolo Pansa, che anzi sembra del tutto ignaro dell'esistenza del diritto. Degnamente egli si allinea sulle posizioni del Coordinamento antimafia di Palermo (che peraltro dalle posizioni immediatamente assunte è in via di ritirata strategica), e spara contro di me la sua brava raffica. Dice di non riconoscermi più, pirandelleggia sull'uno che sono stato e sul due che sono, sul due che si è messo contro l'uno: e si veda "la Repubblica" del 15 gennaio. Con toni crepuscolari ricorda l'intervista che mi fece molti anni fa. E anch'io potrei dire di non riconoscere più l'umile cronista che allora cercava di capire in quest'uomo che ora crede di aver capito tutto, di poter giudicare chiunque.

Non so se si è convinto di essere un padreterno; forse è più modesto, crede soltanto di stare scrivendo una specie di "Divina commedia": ma mi resta memorabile una sua "salita" in compagnia di uno degli istruttori del processo di Napoli; quello di Tortora, tanto per intenderci. Perché questo è il punto: Pansa è assolutamente refrattario all'idea del diritto. Forse nemmeno allora, quando mi ha intervistato, ha capito che contro la mafia io difendevo il diritto e la dignità umana, come oggi contro le storture dell'antimafia. Mi faccia "scendere" dunque, mi faccia "scendere"...

 
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