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Dupuis Olivier - 1 febbraio 1987
III. IL FALLIMENTO DELLA DIFESA EUROPEA
di Olivier Dupuis

SOMMARIO: Si ripercorrono, nei 40 anni che ci separano dalla seconda guerra mondiale, i principali tentativi fatti per creare una politica di difesa comune europea. Analisi dei motivi e delle ideologie che hanno lavorato contro questi tentativi causando un loro sostanziale fallimento.

(Le alternative alla difesa militare - Cap.III - IRDISP - Febbraio 1987)

Ripercorrendo i 40 anni che ci separano dalla seconda guerra mondiale, tenteremo di spiegare le ragioni della sconfitta dei tentativi di trasformazione della politica di difesa europea in una politica di difesa comune. Lo faremo parallelamente all'analisi del processo generale di integrazione europea e, purtroppo, parallelamente all'analisi di tali sconfitte. Tenteremo poi di identificare i diversi interessi contrastanti: in modo particolare per ciò che riguarda la scommessa militare e militare-industriale dell'integrazione e del mantenimento delle strutture nazionali di difesa.

"Il est éminemment regrettable qu'avec ses quelques 300 millions d'habitants, son potentiel intellectuel, industriel, agricole, l'Europe attende de 200 millions d'Américans d'être protégée contre 270 millions de Soviétiques", affermava nel 1982 R. Horgues-Débat (1). Nonostante questa evidente considerazione, fino ad oggi tutti i tentativi di realizzare, anche parzialmente, un principio di difesa autonoma e integrata europea capace di superare le strutture predisposte dagli Stati per garantire la sicurezza sono falliti. Mentre le concezioni strategiche sono ancora oggi fondate sulla tutela dell'integrità nazionale e cioè dei confini materiali.

Il primo tentativo di creare un nucleo militare europeo proviene dalla Gran Bretagna, all'epoca uno dei paesi più forti militarmente. All'inizio del 1948 il ministro degli esteri Bevin annunciò l'intenzione del suo governo di promuovere un'Unione Europea, destinata a garantire anche militarmente la propria sicurezza. Il risultato di questa proposta fu la stipulazione del Patto di Bruxelles (2) (17 marzo 1948) tra Francia, Gran Bretagna e Benelux, cioè un'alleanza militare fra i cinque paesi dell'Europa occidentale aggrediti dalla Germania. Bisogna peraltro precisare che questa proposta aveva la funzione di prevenire il pericolo di ripresa del militarismo tedesco oltre che di opporsi militarmente all'espansionismo sovietico.

Al posto della piccola strategia inglese del Patto di Bruxelles, che non prevedeva niente di più di una provvisoria barriera sul Reno e sui confini dei Paesi Bassi, subentrò la più grandiosa strategia americana del Patto atlantico. I cinque di Bruxelles (Belgio, Francia, Gran Bretagna, Lussemburgo e Paesi Bassi) desideravano solo rafforzare la loro alleanza con l'apporto di forze americane, ma gli Stati Uniti preferirono riunire in un unico blocco tutto il complesso occidentale, tanto da prevedere la possibilità del riarmo tedesco e italiano. "Diventava evidente che insieme all'impegno militare di difendere l'Europa essi avrebbero provveduto anche alla riorganizzazione degli eserciti nazionali, controllata da vicino dallo stato maggiore americano ed eseguita in funzione dei piani strategici elaborati a Washington. Nasceva così il secondo nodo della difesa europea: quello di conciliare la propria autonomia con la dipendenza atlantica" (3).

La pressione americana portò comunque alla firma e alla ratifica del Trattato dell' Atlantico del Nord, che entrò in vigore il 24 agosto 1949 (i paesi sottoscrittori furono: Belgio, Canada, Danimarca, Francia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia, Portogallo, Regno Unito e Usa; Grecia e Turchia furono ammesse nel 1952 (4) e la Repubblica federale tedesca entrò nel 1955 (5)). Per far fronte agli obblighi militari veniva inoltre istituita, il 19 dicembre del 1950, la Nato (North Atlantic Treaty Organization), l'organizzazione integrata dei comandi militari alleati (6).

Proprio per scongiurare il riarmo tedesco, voluto dagli Usa per schierare un efficiente esercito alla frontiera della guerra fredda, la Francia presentò alla sesta sessione del Consiglio nordatlantico (dicembre 1950, Bruxelles) il "piano Pleven" per un esercito europeo: limitando l'entità dei battaglioni, le unità tedesche sarebbero state inoffensive e l'integrazione dei comandi avrebbe garantito alla Francia un controllo permanente del contingente tedesco.

I negoziati di Parigi per la costituzione della Comunità Europea di Difesa (CED) si svolsero in una singolare atmosfera di opinioni divergenti. Soprattutto in Francia, che pure era stato il paese d'origine di quest'idea di integrazione sovranazionale, le forze politiche e l'opinione pubblica apparivano preoccupate e divise. Contrari al progetto d'integrazione erano i nazionalisti, i neutralisti e le sinistre, con l'eccezione di parte dei socialisti. I partigiani della CED, erano anch'essi divisi: da una parte quelli per cui la CED era innanzitutto un mezzo per far accettare all'opinione pubblica il riarmo tedesco, e dall'altra quelli per cui essa era un mezzo per far progredire l'unità e la difesa europea evitando i pericoli insiti nel riarmo tedesco.

Solo nel maggio del 1952 si trovò l'accordo su un trattato di 132 articoli, 13 protocolli e 7 altri documenti annessi. Esso veniva firmato dai ministri degli esteri di Belgio (Van Zeeland), Francia (Schuman), Germania (Adenauer), Italia (De Gasperi), Lussemburgo (Bech) e Olanda (Stikker).

Ma l'opposizione alla CED aumentò in Francia: tra il 1952 e il 1954 alle posizioni contrarie dei gollisti e della sinistra si unirono quelle radicali. Ma il fallimento della CED si consumò definitivamente con l'iniziativa del primo ministro francese Mendès-France. Forte del successo ottenuto con il disimpegno dalla guerra coloniale in Indocina, egli chiese agli altri cinque governi di riunirsi a Bruxelles dal 20 al 22 agosto 1954 per discutere un "protocollo di applicazione" del trattato, la cui clausola essenziale sospendeva per otto anni tutte le sue disposizioni di carattere sovranazionale. Il concorde rifiuto dei cinque fece sì che Mendès-France, a nome del Governo, si astenesse dal voto parlamentare: il 30 agosto 1954 l'Assemblea nazionale francese rifiutò di ratificare il trattato, portando così all'affossamento definitivo della CED ed anche un serio colpo a qualsiasi forma di rapida integrazione dell'Europa. "Il motivo principale di questo voto fu il rifiuto del riarmo tedesco: quanto sbagliato fo

sse il calcolo francese, lo dimostra il fatto che il riarmo della Germania era ormai uno sbocco inevitabile, qualsiasi cosa si pensasse a Parigi"(7)

Alla caduta della CED fecero seguito gli accordi di Parigi del 1954, dai quali prese la vita la nuova organizzazione allargata chiamata Unione Europea Occidentale (UEO). Tuttavia la Nato rimaneva l'unica organizzazione militare capace di decisioni vincolanti per gli Stati, mentre l'UEO, ad essa parallela, era solo una sede di discussioni politico-militari.

Solo nel 1968, in seguito alla crisi cecoslovacca che aveva bloccato il processo distensivo formalizzato dal "rapporto Harmel", presentato al Consiglio Nordatlantico di Parigi del dicembre 1967 dal ministro belga, si ripropose l'esigenza di una iniziativa europea nel settore militare, con le prime riunioni dell'Eurogruppo. Si trattava di un'associazione informale dei paesi alleati europei, rappresentati dai loro ministri della difesa e dai rappresentanti permanenti presso la Nato. Si proponeva soprattutto di coordinare gli sforzi dei paesi europei associati in campo militare nel tentativo di armonizzare i diversi piani nazionali, oltre che di ricercare la definizione di obiettivi comuni nel campo degli armamenti, della logistica e dell'addestramento. Ma la Francia, che si era ritirata dalla Nato nel 1966, si rifiutò di entrare nell'Eurogruppo. Anche questo tentativo d'integrazione, pur limitato alla produzione e standardizzazione degli armamenti, è praticamente fallito.

Qualche segno di ripresa del discorso sulla difesa europea si ha invece all'interno della CEE. Infatti agli inizi degli anni 70 si ha l'impressione che la Francia sia maggiormente disposta a modificare le proprie posizioni all'interno della Commissione Cee. Con l'elezione di Georges Pompidou alla Presidenza della Repubblica, entra al governo Valery Giscard D'Estaing, con Renè Pleven e Jacques Duhamel. Non solo essi raccomandano il "no" al referendum, ma appartengono (circostanza aggravante agli occhi dei gollisti) al Comitato d'azione per gli Stati Uniti d'Europa di Jean Monnet. Michel Debray cede il Quai d'Orsay a Maurice Schuman, fedele gollista anche lui, ma di scuola più atlantica. Quanto al nuovo primo ministro, Jacques Chaban-Delmas, che lancio` lo slogan d'una effimera "nuova società", egli è un europeista , ma minimalista, che aveva lasciato il governo nel 1954 perché giudicava troppo integrazionista (sic) il progetto di compromesso presentato da Pierre Mendés-France sulla comunità europea di dif

esa (8).

Francois Duchéne, già direttore dell'Istituto Internazionale di Studi Strategici di Londra, esprime autorevolmente queste speranze: "La posizione di scetticismo più estrema che ci si possa aspettare nei confronti di una organizzazione di difesa europea è quella del governo francese...Per essere un gollista, comunque, Pompidou ha dato chiari segni che la sua mentalità può essere molto più aperta di quanto non si pensi...Tutto lascia intravedere una possibilità che Pompidou sia disposto a prendere in considerazione proposte interessanti per fini concreti" (9). Gli sforzi di Pompidou, come quelli dei suoi predecessori, sono segnati ancora una volta dall'ambiguità. Anche dietro le iniziative europee della Francia di Pompidou si nasconde la volontà di neutralizzare la Repubblica Federale. E' la spiegazione del voltafaccia francese di fronte al problema dell'adesione del Regno Unito alla CEE, anche se c'è un Michel Jobert al Quai d'Orsay che, senza sottintesi, si è ripromesso di portare l'Europa a parlare "a u

na sola voce" (10).

Dice Michel Jobert a Pompidou: "Perché non metteste l'anno 1973 a profitto per mettervi d'accordo con Heath e Brandt? Gli europei avrebbero avuto così, per gli affari comunitari, ed anche per quelli di cooperazione politica, meglio che un portavoce: essi avrebbero avuto un rappresentante unico. Questo potrebbe essere ancora deciso da una tacita intesa, in margine all'organizzazione politico-amministrativa del Mercato Comune. Nel 1974 Brandt coprirà questo ruolo, Heath nel 1975, e voi stesso nel 1976, altri poi .... L' Europa avrebbe una voce ed una fisionomia (11). Ma questo è troppo per lo scetticismo innato del Presidente della Repubblica, che condivide le idee di una formula più morbida di "riunioni davanti al caminetto" da cui nasceranno i Consigli Europei attuali (12).

In ogni caso prendendo lo spunto dalla dichiarazione finale del Vertice di Parigi (ottobre 1972), che parlava di "necessaria trasformazione dell'insieme delle relazioni degli stati membri per il raggiungimento dell'Unità Europea", la Commissione politica del Paramento europeo presenta, nel gennaio del 1974, un documento redatto da Lord Gladwin sugli "Effetti di una politica estera europea sui problemi della difesa".

Ma una ripresa effettiva dell'iniziativa per la difesa europea si ha, ancora una volta, per iniziativa di Altiero Spinelli. Sotto il suo impulso il Parlamento Europeo approva, il 14 febbraio 1984, il Progetto di Trattato per l'Unione europea che prevede fra gli scopi dell'Unione la promozione della sicurezza, della pace, della cooperazione internazionale, della distensione, del disarmo. Dopo un difficile dibattito in Commissione ed un voto contrastato in aula, fu prevista infatti la cooperazione fra gli Stati membri nelle questioni relative agli aspetti politici ed economici della sicurezza.

Così precisano le modalità con le quali l'Unione dovrà esercitare la sua competenza nel settore della sicurezza, Pier Virgilio Dastoli e Andrea Pierucci: "L'unione dovrà vigilare sulla coerenza degli orientamenti degli Stati membri e coordinare le attività nei negoziati internazionali nei quali gli Stati agiscono in quanto tali o nel quadro delle organizzazioni internazionali...Il Consiglio europeo può ampliare i settori della cooperazione, includendovi in particolare le materie attinenti agli armamenti, alla vendita di armi a paesi terzi, alla politica di difesa ed al disarmo. Tutti i settori della cooperazione, compresi eventualmente questi ultimi, possono essere trasferiti - su decisione unanime del Consiglio europeo - all'azione comune ed essere quindi oggetto di competenze concorrenti o esclusive dell'Unione" (13).

Ma come ha purtroppo dimostrato il vertice di Milano del Giugno 1985, anche questo tentativo di avviare, all'interno del quadro istituzionale dell'Unione Europea, il processo di costruzione della difesa europea incontra le resistenze tenaci dei governi della Comunità che, ad oggi, non riescono ad accordarsi su nessun passo significativo verso la vera integrazione politica dell'Europa. L'unico elemento di un qualche significato in questa direzione è rappresentato dalla volontà della maggioranza del Parlamento Europeo (con l'opposizione dei deputati irlandesi, danesi, comunisti greci e francesi, dell'Arcanciel) di non rinunciare al dibattito sulla sicurezza europea. Nell'ambito della commissione politica del Parlamento si costituisce infatti la sottocommissione "sicurezza e disarmo" e in varie riprese il Parlamento Europeo ribadisce la sua competenza a discutere e a votare risoluzioni in materia di sicurezza.

Abbiamo già avuto l'occasione di vedere, attraverso i precedenti capitoli, le ragioni del fallimento di tutte le ipotesi di difesa sovranazionale europea. Riassumiamoli brevemente.

-- Gli interessi delle lobby militari-industriali dei vari Stati europei a mungere il massimo dai rispettivi bilanci nazionali.

-- La delega al grande fratello americano del problema della difesa europea.

-- Le velleità nazionali di certi paesi come la Francia e il Regno Unito dietro le quali si nascondono interessi di potere e di difesa dei residui imperi coloniali.

-- Il rifiuto delle burocrazie nazionali di usare il proprio potere a favore di istanze sovranazionali.

Di parere contrario a questa analisi è l'eurodeputato Gianni Baget-Bozzo: "L'Europa non può costituire una nazione, e nemmeno una supernazione, una 'Europa delle patrie', proprio perché essa non può estendersi 'dall'Atlantico agli Urali'. La 'difesa dell'Europa' non è e non potrà mai essere una 'difesa europea' se non nei sogni di un'intellettualità politica priva di reale incidenza e di argomenti essenziali. La difesa dell'Europa è delegata all'alleanza, formalmente multinazionale ma sostanzialmente egemonica, con gli Stati Uniti. Essa dunque rinvia ad altri referenti, cioè alla difesa dell'Occidente come modo di essere delle società che lo compongono e del loro rapporto globale con il resto del mondo" (14).

Senza poter contestare il giudizio sulla reale incidenza politica dell'idea della difesa europea, mi sembra però possibile sottolineare un equivoco di fondo che caratterizza il pensiero di Baget-Bozzo: la difesa europea come concezione antagonista agli Stati Uniti. Probabilmente la riserva antiamericana sarà presente in chi ha sostenuto strumentalmente questa posizione. Ma storicamente questa posizione ha trovato il sostegno maggiore proprio in coloro che erano ben coscienti che il referente obbligato è proprio quello della difesa dell'occidente, della difesa di certi valori che lo caratterizzano, oltre che in coloro che ritengono insufficiente sia il ruolo dei paesi europei, che l'azione della potenza egemonica nella tutela attiva dei valori occidentali.

Al contrario, gli avversari più accaniti sono stati molto spesso coloro che si riconoscono direttamente nei valori opposti, o coloro che vi sono molto vicini, anche se i loro discorsi sono fondati su un'ipotetica terza via:. pensiamo principalmente alla corrente eco-pacifista europea degli anni 8O.

Ci sembra che si possa trovare un altro equivoco nell'interpretazione che viene ora fatta delle parole del Generale De Gaulle. Il 20 Giugno 1963, De Gaulle dichiara, durante un pranzo al Cremlino: "Per la Francia, senza peraltro misconoscere in alcun modo il ruolo essenziale che gli Stati Uniti giocano nella pacificazione e trasformazione del mondo, è essenziale la ricostruzione dell'Europa in un insieme fecondo, piuttosto che una divisione che porterebbe alla paralisi" (15). E' "l'Europa dall'Atlantico agli Urali".

Ma troviamo un altro doppio equivoco, in Baget-Bozzo. In primo luogo perché "l'Europa delle Patrie" come la concepiva De Gaulle (anche se egli è sempre rimasto molto nel vago sul soggetto) non aveva nulla a che fare con l'idea dei federalisti, cioè gli Stati Uniti d'Europa. In secondo luogo (ed è d'altronde una costante della politica francese e franco-russa) perché De Gaulle considerava questa "ricostruzione dell'Europa in un insieme fecondo" o altrimenti detto, l'avvento di questa Europa delle Patrie, come un obiettivo politicamente realizzabile.

Ma dietro questo doppio equivoco, ritroviamo null'altro che la sindrome di Yalta: l'unione dell'Europa non è possibile, perché essa è divisa, dunque abbandoniamo l'Europa, integriamoci alla Nato, nonostante sia sotto l'egemonia americana. Noi pensiamo, al contrario, che sia "l'Unione federale dall'Atlantico agli Urali" a non essere possibile se non a partire dell'Unione Federale dell'Europa Occidentale, alleata agli Stati Uniti. A meno di rifiutare ogni visione dinamica della storia, questa prospettiva ci sembra la sola che possa non solo rinforzare la difesa dei valori sui quali si fonda l'Occidente, e dunque la difesa tout-court. In più questa prospettiva è anche la sola che ci possa far sperare di vedere questi valori estendersi al resto del mondo.

La posizione di Baget Bozzo ci appare ancora più difficilmente comprensibile, alla luce di ciò che egli afferma più avanti nella sua opera: "Le nazioni europee sono divenute, nella loro cultura di base, prive di libertà e di destino. La libertà è infatti la volontà di compiere dei gesti, il desiderio di proiettare la scelta nell'ignoto: la libertà è un altro nome della speranza feconda, la speranza del rischio, la speranza che crea. Il destino è la realizzazione di questa scelta, è la libertà che si compie nell'ignoto e quindi con il peso dell'ignoto. Quel che si crea nella libertà come possibilità si avverte nel destino come necessità. Le nazioni europee hanno abdicato negli anni Quaranta e Cinquanta alla sovranità e dunque alla loro libertà: e nel vuoto di libertà si è espresso il vuoto di destino" (16).

Non si tratta quindi di negare gli ostacoli strutturali, ben reali, di cui parla Baget-Bozzo, ma piuttosto di buttarsi sul terreno ovviamente ignoto delle soluzioni per superare gli ostacoli. Se sino ad oggi l'abdicazione di sovranità delle nazioni europee non si è espressa nella conquista di una dimensione di sovranità all'interno di una entità politica e istituzionale - quale poteva essere l'Unione Europea - ma semplicemente nell'adesione necessariamente subalterna alla politica imperiale americana, cioè non vuol dire che l'alternativa per le nazioni europee sia fra il perseguimento di politiche nazionali e la subordinazione ad una politica imperiale: ma fra queste e altro. L'altro non può esistere di per sè, deve essere creato.

Analizzeremo nei prossimi capitoli le ragioni che spingono al superamento delle concezioni nazionali della difesa; esploreremo poi le alternative credibili al pensiero militare classico e, infine, analizzeremo le ragioni del fallimento del movimento pacifista e le condizioni necessarie affinche si possa affermare una spinta dell'opinione pubblica verso il superamento delle attuali risposte esclusivamente militari alle minacce per la sicurezza mondiale e regionale.

NOTE

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1. R.Horgues-Débat, Europe garde-toi, Les travaux du groupe Athéna, Paris, 1982, p.65.

2. Servizio informazioni della Nato, NATO documentazione, edito da "Notizie Nato", Roma, 1977, p.324.

3. Franca Gusmaroli, I si e i no della difesa europea, Società editrice il Mulino, Bologna 1974, p.8 .

4. Protocollo di accessione della Grecia e della Turchia al trattato Nord atlantico, Londra, 22 ottobre 1951.

5. Documenti relativi all'accessione della Repubblica Federale di Germania al Trattato Nord Atlantico, Parigi, 23 ottobre 1954 Cfr. L'Alliance Atlantique, edizioni Nato, cit., pag 29O

6. Cfr. Service Information de l'OTAN, "L'Alliance Atlantique", Bruxelles, 1983, pag. 2O1

7. Franca GUSMAROLI, I si e i no della difesa europea, Società editrice il Mulino, Bologna 1974, p.12 .

8. André Fontaine, Histoire de la détente, cit., pag. 158

9. Francois Duchéne, Una nuova Comunità europea di difesa, Foreign Affairs, ottobre 1971.

10. André Fontaine, Histoire de la détente, cit., pag.33O

11Michel Jobert, Memoire d'avenir, cit., pag. 23O

12. ré Fontaine, Histoire cit., pag.331

13. Pier Virgilio DASTOLI - Andrea PIERUCCI, Verso una costituzione democratica per l'europa, guida al trattato di unione europea, Marietti editore, Casale Monferrato, 1984, p.91.

14. Gianni BAGET-BOZZO, Strategia e questione nazionale, Il Pensiero Strategico, Franco Angeli, Milano, 1985, p.447 .

15. André Fontaine, Memoire, cit., pag. 8O

16. Opera citata, p. 448 .17

 
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