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Dupuis Olivier - 1 febbraio 1987
V. LA "DIFESA DIFENSIVA", IL "NO FIRST USE", IL "FREEZE" E IL "TRANSARMO"
di Olivier Dupuis

Sommario: Analisi delle alternative più significative al modello di difesa comune esistente finora elaborate.

(Le alternative alla difesa militare - Cap.V - IRDISP - Febbraio 1987)

In questo capitolo passeremo in rivista alcune delle alternative di difesa militare che ci appaiono oggi tra le più significative. Analizzeremo brevemente le proposte di Horst Afheldt del Max Planck Institut di Berlino, che tenta di rimodellare la difesa sulla base dell'eliminazione dei bersagli e sulla base di una ridefinizione in senso totalmente difensivo delle funzioni della difesa: questo per poter eliminare, a breve termine, tutte le armi nucleari che hanno base a terra, spostandole sui sottomarini, e permettere in questo modo a medio termine negoziati per l'eliminazione totale delle armi nucleari. Vedremo anche le critiche di Von Müller su questa teoria, oltre che le sue proposte alternative. Analizzeremo poi brevemente il modello austriaco, le proposte di congelamento degli armamenti e delle tecnologie militari.

Oltre ai due modelli difensivi illustrati nel precedente capitolo, che sono evidentemente quelli che riscuotono maggiore successo nei governi, vi sono una serie di altre proposte che in qualche modo possiamo raggruppare sotto la generale definizione di difesa difensiva (1) o difesa territoriale, il no-first-use (non primo uso delle armi nucleari) e il freeze (congelamento degli arsenali nucleari).

Horst Afheldt e i suoi collaboratori del Max Planck Institut di Starnberg, nei pressi di Monaco, lavorano già dagli anni '60 ad una concezione alternativa di difesa per l'Europa Occidentale. La loro idea fondamentale è che occorre sviluppare una strategia di difesa che ci permetta in caso di necessità di difenderci realmente, senza cioè distruggere ciò che va difeso. Tale scopo potrebbe essere raggiunto sostituendo le poco agili divisioni meccanizzate, che offrono un bersaglio vantaggioso per le armi nucleari tattiche, con una rete di piccoli, relativamente autonomi, commando di guerriglia tecnologica, dotati in primo luogo di sistemi di precisione difensivi guidati, che non costituiscono un'ulteriore minaccia per l'avversario, ma assicurano un carattere chiaramente difensivo del proprio potenziale militare (2).

Si tratta di coprire il territorio con una rete di 'tecnocommandos' (due combattenti per chilometro quadrato) aventi a disposizione centinaia di migliaia di posizioni predisposte e decine di migliaia di depositi nascosti, e dunque del tutto indipendenti quanto al vettovagliamento ed al riparo dall'artiglieria nucleare e dall'aviazione avversarie. Nel corso della loro avanzata, le forze blindate o aerotrasportate nemiche dovrebbero impigliarsi nelle maglie di questa rete e perdere, man mano che avanzano, una parte dei loro effettivi, fino ad essere completamente immobilizzate, o fino alla loro distruzione completa.

Lo stesso Horst Afheld dichiara: "il modello corrisponde allo spirito che si ricerca (assicurare una difesa che non sia suicida) perché soddisfa le tre condizioni che costituiscono, secondo noi, le premesse necessarie ad ogni difesa militare, capace di assicurare la sicurezza europea: darsi i mezzi per porre un termine alla corsa agli armamenti; assicurare la stabilità in caso di crisi; eliminare l'intimidazione all'auto-distruzione (3).

E' a partire da queste condizioni che egli concepisce un modello di difesa la cui componente convenzionale poggia su tre pilastri: una rete di fanteria leggera equipaggiata con un sistema di armi moderne (i commando di cavalleggeri); una rete di razzi di artiglieria a corta e media portata (lancieri leggeri e medi); una rete di informazioni che congiunga tra loro i commando di cavalleggeri, costoro con l'artiglieria e con gli elementi superiori e intermedi del comando.

Le unità militari (o moduli) indipendenti che integrano questi tre pilastri hanno ricevuto, il nome di tecno-commando. Noi li consideriamo capaci da solo di soddisfare le missioni assegnate. (4).

Precisiamo che una componente nucleare con fine esclusivamente dissuasivo è prevista nel modello di Afheldt, perlomeno finche non intervengano accordi di denuclearizzazione: questo dovrebbe essere raggiunto con il trasferimento di tutte le forze nucleari strategiche nei sottomarini (e dunque l'eliminazione dei bersagli nucleari dal campo di battaglia) e con l'eliminazione di tutte le armi tattiche nucleari.

Nel modello intermedio, quello di Eckart Afheldt, la soluzione descritta è quella della creazione di un corpo di cavalleggeri disposti lungo la frontiera orientale del territorio tedesco occidentale, su di una linea di 7O/1OO Km di profondità (5), e questo allo scopo di rimpiazzare la prima difesa, consentendo cosi` un tempo accresciuto di mobilitazione per le forze dalla NATO. Invece nel modello finale di Horst Afheldt le divisioni meccanizzate non esisteranno più. E' chiaro il problema principale di questo modello: senza poter contare sull'azione delle divisioni meccanizzate, esso dovrebbe essere in grado di impedire alle divisioni dell'avversario di operare la loro penetrazione, anche attaccando in ordine serrato.

Evidentemente un modello di difesa cosi preciso non è senza un certo potere di seduzione, ma neanche è immune da critiche precise. Così André Gorz sintetizza i vantaggi di tale concezione: "1) L'insieme dei paesi europei della Nato non dipenderebbero più militarmente dagli Stati Uniti per la loro difesa. L'alleanza con questi ultimi diventerebbe essenzialmente politica...2) La difesa difensiva presuppone che le forze armate possano muoversi tra la popolazione senza incontrare ostilità; presuppone la capacità di resistenza e lo spirito di iniziativa di piccoli gruppi aventi ciascuno la responsabilità del proprio territorio. Difficilmente, dunque, lo Stato potrebbe servirsi dell'apparato militare per limitare i diritti del popolo...3) La resistenza ad un'aggressione anche massiccia non porterebbe più all'annientamento automatico del campo di battaglia europeo, della sua popolazione e delle sue città...4) La difesa difensiva presuppone una popolazione riconciliata con il suo Stato, uno Stato riconciliato con

l'autonomia della società civile....La condizione primaria di una difesa difensiva efficace è una società in cui la coesione sia sufficiente, una società solidale e ricca di attività sociali auto-organizzate affinche i suoi membri la considerino come propria e desiderino difenderla" (6).

Il generale Georges Buis è più scettico: "agli occhi di qualcuno - che potrebbe un domani trovarsi in errore - il fallimento invisibile ed in qualche modo organico della strategia della difesa statica, che conduce al 'maillage', consiste nel fatto che, fino ad oggi e dopo una lunga esperienza, il combattente non ha mai accettato il combattimento corpo a corpo tanto caro a coloro che dipingono le battaglie...il rimprovero fondamentale che si può fare a tutti i sistemi di combattimento fondati sull'inghiottimento delle forze d'invasione...è fare la guerra quando essa è già perduta" (7). Ma egli riconosce che "fra gli scopi perseguibili dalla Nato, ci dovrebbero essere la diminuzione dei bersagli evidenti, del numero dei blindati e la discontinuità delle linee, e delle zone di difesa" (8).

E ancora: "Se l'esercito che dispone di queste armi accetta, in più, una missione di sacrificio, il 'maillage' della prima linea può tenere a sufficienza per poter dispiegare un 'maillage' delle linee arretrate.

Un tale sacrificio, lo si può ottenere fin dal principio - da un esercito di carriera ed organicamente coerente. Dai soldati di leva, si può pensare che si potrà ottenerlo solo col tempo. Ci sarà questo tempo?".

A ciò Horst Afheldt potrebbe rispondere, a ragione, che alla fine di questo tempo putativo, le forze della Nato, allo stato attuale delle cose, avrebbero molta probabilità di essere serrate al Reno, mentre la Repubblica federale tedesca non sarebbe altro più che una steppa devastata dalle armi nucleari tattiche di entrambe le parti. Ecco quello che valorizza seriamente la sua teoria, senza peraltro convincerci" (9).

Infine un giudizio ,in un altro contesto, quello del dibattito intorno alla proposta di dissuasione civile di Müller, Semelin et Mellon. Il generale Buis afferma infatti che: "ciò che va scartato, è la farsa della difesa all'interno del territorio con dei moduli, dei tecno-commandos. Ciò rappresenta la violenza nei confronti del debole, quando la dissuasione civile è la nuova forma di difesa della massa della popolazione" (10).

Von Müller, da parte sua, valuta che "una politica di sicurezza più intelligente, che non ottimizzi solo le opzioni di 'warfighting', ma prenda in conto soprattutto il fattore della stabilità strutturale della crisi, cercherebbe al contrario di non offrire obiettivi adattati agli eventuali attacchi a sorpresa dell'avversario e perciò di minimizzare lo stimolo ad un escalation del conflitto...In termini tecnici: se si sceglie l'opzione di una 'deep interdiction' (e ci sono buoni motivi per farlo) si deve poi, d'altra parte, fare in modo che nella combinazione con le divisioni pesanti, non si instauri una vera opzione di attacco. Può darsi che la 'deep Interdiction' sia sensata e necessaria. Questa deve peraltro essere legata ad una riorganizzazione delle proprie forze convenzionali nel senso di una rete difensiva. Ma anche in questo caso, non è necessario rinunciare dogmaticamente alle divisioni mobili "(11).

Accanto a queste posizioni si può citare la tesi del Generale Emil Spannocchi, già comandante dell'esercito austriaco: la sua tesi è recepita nella teoria difensiva austriaca col nome di Raumverteidigung. "Utilizzando le categorie di giudizio in uso nel mondo, possiamo dire che siamo entrati in una escalation degli armamenti che non potrà portare altro risultato in futuro che quello che il mondo europeo già oggi ha: la libertà attraverso la paura. Ma per rendere possibile ciò, saranno necessari mezzi finanziari che noi austriaci senza introiti aggiuntivi domani non potremo più avere...per un'Austria isolata la pianificazione della difesa in una guerra che sia anche nucleare è un impegno assurdo...noi abbiamo abbassato il livello della nostra preparazione difensiva fino al punto in cui riteniamo di poter ancora fornire al nostro paese un contributo alla sicurezza. Nello stesso tempo l'abbiamo portato così in alto che superarlo deve costituire per il possibile aggressore un'impresa sanguinosa e dolorosa. No

n programmiamo una vittoria impossibile; i nostri sforzi vogliono solo stabilire i presupposti per cui, in base alla valutazione costo-efficacia, eventuali imprese militari in Austria non risultino convenienti" (12).

E' solo il caso di ricordare che la posizione moderata di Spannocchi risultò vincente nella neutrale Austria rispetto alla posizione estrema dello scienziato, e senatore socialdemocratico, Hans Thirring che propose nella primavera del 1964 l'abolizione dell'esercito austriaco e cioè un disarmo unilaterale totale e controllato (13).

Nel campo delle posizioni moderatamente antinucleari si colloca il rapporto Palme (14) e la proposta di rifiuto del first-use degli americani McGeorge Bundy, George F.Kennan, Robert S. McNamara e Gerard Smith (15).

Il primo afferma che "sicurezza nell'epoca delle armi nucleari vuol dire sicurezza comune. Anche coloro che sono avversari ideologici e politici hanno l'interesse comune alla sopravvivenza". Per quanto riguarda le concrete indicazioni operative, il rapporto Palme propone di creare su entrambi i lati del confine tedesco una zona larga 150 Km, libera da armi nucleari tattiche "misura che consenta di elevare la soglia nucleare e di ridurre la tentazione di un impiego anticipato di armi nucleari" (16).

I secondi affermano che "il primo possibile vantaggio di una politica di rifiuto del 'first use' riguarda il controllo delle forze nucleari di dissuasione...Una volta che ci siamo liberati dal bisogno di elaborare un piano credibile di first-use, ci possiamo anche liberare da molte complesse argomentazioni che ci hanno condotto ad affermare che tutti i tipi di nuovi sistemi nucleari sono necessari per creare o ricostituire la cosiddetta capacità di escalation dominance".

Per chiarire il concetto bisogna precisare che con "escalation dominance" s'intende la necessità di condurre e vincere una guerra nucleare ad ogni livello e protratta nel tempo. Il tentativo di raggiungere questa capacità ha condotto allo sviluppo di armi nucleari sempre più piccole e sempre più adatte alla conduzione effettiva di una guerra nel teatro europeo.

Esistono altre posizioni che vanno nello stesso senso di una denuclearizzazione del continente europeo, con l 'eccezione dell'URSS da un lato e della Francia e dell'Inghilterra dall'altro. Un altra proposta in questa direzione è la richiesta di freeze avanzata fra gli altri da Kennedy e Hatfield, e tendente a contrastare lo sviluppo di nuove tecnologie che rendono sempre più operativa la conduzione di una guerra nucleare. Essi sostengono che il congelamento della produzione nucleare non limiterebbe la possibilità americana di secondo colpo, poiché la cosiddetta finestra di vulnerabilità dei sistemi strategici americani è di molto inferiore a quella dell'Urss, che schiera un potenziale strategico installato principalmente a terra e quindi più vulnerabile ( solo il 21% del potenziale strategico nucleare degli Usa è installato a terra, mentre l'Urss ha il 70% delle sue testate strategiche basate a terra e soltanto il 21% su sottomarini; inoltre vi è una sproporzione fra i valori CEP - errore probabile circolare

- delle due superpotenze, poiché l'accuratezza di bersaglio dei missili americani è superiore a quella dei russi).

I limiti di queste proposte, pur apprezzabili perché singolarmente mettono in evidenza le contraddizioni della strategia prevalente, sono a prima vista evidenti.

La difesa difensiva, o difesa territoriale, si limita a prendere in esame la difesa militare all'interno dei confini del territorio nazionale (anche se Horst Afheldt prevede un allargamento del suo modello ai Paesi Bassi, al Belgio, e al Nord Est della Francia): una volta che questo fosse invaso, disinteressandosi non solo degli altri Paesi ma anche del prima, cioè delle iniziative da adottare per scongiurare la guerra e l'invasione. Appare una dottrina passiva, che non si pone il problema della riduzione delle minacce tipiche e atipiche.

D'altra parte dei grossi interrogativi sorgono non solo a proposito del caso di scuola costituito da Berlino, ma anche a proposito di una invasione limitata o estremamente limitata (le coste tedesche fino ad Amburgo, o l'Austria per esempio) che ci sembra la più probabile ipotesi d'invasione. In effetti sembra difficile, almeno alle condizioni attuali, che l'Urss possa assorbire in un solo colpo l'Europa occidentale tutta intiera senza esporsi a dei seri rischi di risucchio all'interno delle sue frontiere attuali. La situazione avrebbe forti probabilità di essere dello stesso tipo di quella immaginata dal generale Copel, cioè l'accettazione del fatto compiuto per non rischiare il conflitto nucleare.

Così ancora il no-first-use non garantisce che "nel caso di un conflitto convenzionale di vaste proporzioni, effettivamente non si ricorrerebbe alle armi nucleari", come riconoscono gli stessi proponenti, prendendo atto dei limiti tecnici della loro proposta, difendendola però sul piano politico in relazione alle enormi conseguenze che avrebbe sull'opinione pubblica dei paesi dei due blocchi militari e ,quindi, sulle successive possibilità di accordi per la riduzione degli arsenali militari.

"E' questa una indiretta risposta ai critici del disarmo unilaterale o di atti di disarmo unilaterale che non valutano con sufficiente serietà e profondità le conseguenze sconvolgenti che una tale iniziativa, se accompagnata da una iniziativa massiccia d'informazione, avrebbe sulle popolazioni e, in particolare sui cittadini di quei paesi a regime totalitario ai quali vengono imposti sacrifici per la difesa del 'socialismo' e limitazioni delle libertà fondamentali in ragione del presunto accerchiamento militare da parte dell'occidente", afferma il deputato europeo Roberto Cicciomessere (17).

Ma se questo proposito risponde alla necessità di affrontare le minacce prima che il fatto sia compiuto (e a scapito della capacità di affrontarlo, potrebbero affermare a giusto titolo gli esperti), essa ci sembra avere un carattere troppo esclusivamente militare. In effetti essa considera che l'azione sulle minacce tipiche è suscettibile di rivoluzionare la dinamica dei rapporti conflittuali e attraverso ciò costituire una condizione sufficiente all'instaurazione di un processo di pace durevole. Oltre al fatto che questa visione ci sembra molto statica (nel senso inteso da Von Müller), pensiamo che solo esattamente il processo inverso sia capace d'instaurare una nuova logica conflittuale, di dare un senso nuovo al concetto di guerra visto come continuazione della politica con gli stessi mezzi.

Affronteremo più approfonditamente questi aspetti, quando ci fermeremo sulle minacce atipiche. Questi approcci alternativi, nonostante le critiche parziali che si possono muovere, predispongono una base utile per affrontare metodologicamente il problema della difesa, senza essere paralizzati dall'alternativa fra tutto o niente, fra difesa nucleare e convenzionale prevalente e rinuncia alla difesa, fra 'meglio morti che rossi' e 'meglio rossi che morti'.

Il passo più avanzato in questa ricerca sembra quello contenuto nelle elaborazioni di von Müller, già ampiamente citato in questo lavoro. Partendo dalla constatazione che le concezioni di politica di sicurezza dominanti sono tutte insoddisfacenti e soprattutto inaccettabilmente rischiose, Von Müller definisce la strategia del transarmo in questi termini: "quali potrebbero essere le caratteristiche del transarmo? E', in primo luogo, decisivo che l'Occidente esprima in modo chiaro - credibile anche per l'Est - di non avere l'intenzione di condurre la corsa al riarmo sino ad esiti catastrofici per l'Unione Sovietica, bensì di accordare a quest'ultima un diritto all'esistenza, nonché di essere disposto ad una leale cooperazione nelle questioni della sicurezza...L'Occidente dovrebbe naturalmente continuare ad attenersi strettamente alle sue rivendicazioni dei diritti dell'uomo, e perseguire altresì attivamente la competizione tra i sistemi...Ma dovrebbe circoscrivere questa contrapposizione esclusivamente ed ineq

uivocabilmente nell'ambito di una competizione sociale, economica ed ideologica, chiarendo che da parte sua non ripiegherà per nessun motivo sul piano militare, come livello su cui decidere il conflitto" (18).

Seppur con molte prudenze, von Müller sembra riconoscere la natura necessariamente conflittuale del rapporto fra occidente a regime democratico e oriente a regime totalitario, natura questa che deve essere esaltata se si vuole rendere credibile una alternativa di difesa non basata esclusivamente sullo strumento della contrapposizione militare. Cosa che non sopprime la necessità (ed anche la possibilità) di agire sulle strutture militari in un senso difensivo. Ma se da una parte riconosce che non è il sistema sovietico che non vuole riformarsi, bensì è la classe

privilegiata dei funzionari che, in caso di riforme, si troverebbe a dover temere per il proprio potere, i propri privilegi e forse addirittura per la propria esistenza, dall'altra egli non cade pero` nello schema semplificatore che sta alla base della Ostpolitik di Brandt e di coloro che sostengono la convergenza a termine dei due sistemi grazie ad una intensificazione dei legami economici, tecnologici e finanziari.

Secondo noi questa concezione riduce e sopprime ogni spazio di manovra politico, ed attraverso ciò obbliga a rinunciare ad ogni rivendicazione per quanto concerne i diritti umani, perché nasconde la dimensione conflittuale dei rapporti tra i due sistemi antagonisti.

Ma ritorneremo più a lungo su questa problematica dei diritti dell'uomo e dell'opportunità e necessità di introdurla nella definizione della politica di difesa, ed anche degli eventuali mezzi per arrivarci.

NOTE

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1. Il termine "difesa difensiva" appare per la prima volta in : Horst Afheldt, Una difesa difensiva?, a cura di Leo Specht, in Problemi del Socialismo, n.1, 1984, pp.230-235.

2. Horst Afheldt, Pour une défense non suicidaire en europe, Editions La Découverte, Paris, 1985.

3. Horsrt Afheldt, Pour une défence non suicidaire in Europe, cit., pag. 89/9O

4. Horst Afheldt, Pour une défense, cit., pag. 9O

5. Horst Afheldt, Pour une défense, cit., pag. 9O

6. Andrè GORZ, Quale pace? Quale Europa?, Lettera Internazionale, n.7, 1986, pp.17, 18 .

7. Generale Buis, Une arme poststratégique, in Alternative Non violente, N. 59/ 1986 pag. 18O

8. Generale Buis, Une arme, cit., pag. 183

9. Generale Buis, Une arme, cit., pag. 184

10. Georges BUIS, 1986, p. 19

11. Von Müller, 1984, p. 94

12. Gen. C.A. Emil SPANNOCCHI, Una ipotesi per la difesa del territorio, Quaderni del Centro Alti Studi per la Difesa, 1982.

13. Hans Thirring dichiarò, nel 1964, in una intervista resa alla "Agenzia Radicale" che "esistono stati troppo deboli per opporre efficace resistenza in un conflitto di grandi dimensioni. Se essi potranno rendersi conto (...) che la situazione mondiale nell'era atomica presenta la possibilità di vivere in pace anche disarmati e per giunta con vantaggi economici, alcuni di loro seguiranno quest'esempio. In tal modo si potrà raggiungere l'obiettivo (...) che l'azione per il disarmo, che non è riuscita a smantellare i vertici degli armamenti, giunga a mettersi in moto dal basso".

14. Palme-Bericht, Berlino 1982, p.155 .

15. McGeorge BUNDY, George F.KENNAN, Robert S.McNAMARA, Gerard SMITH, Nuclear Weapons and the Atlantic Alliance, Foreign Affairs, vol.60, n.4, 1982, pp.753-768 .

16. Palme-Bericht, 1982, p.

17. Roberto CICCIOMESSERE, L'Italia armata, Gammalibri, Milano,1981, p.608.

18. Albrecht A.C. VON MULLER, L'arte della Pace, Lineamenti di una politica europea di sicurezza per gli anni '80 e '90, p.61 . 19

 
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