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Dupuis Olivier - 1 febbraio 1987
IX. LE ALTERNATIVE ALLA DIFESA MILITARE - CONCLUSIONI
di Olivier Dupuis

SOMMARIO: Il movimento pacifista non ha saputo contendere al militare il suo primato in materia di definizione della politica di difesa; anche per supplire a questa deficienza e alla conseguente sconfitta politica del pacifismo è nato questo studio con le ipotesi in esso contenute per rilanciare l'iniziativa.

(Le alternative alla difesa militare - Cap.IX - IRDISP - Febbraio 1987)

Alla fine di questo lavoro vogliamo interrogarci brevemente su un aspetto della difesa e della sicurezza che abbiamo lasciato da parte fino ad ora. Pensiamo al cosiddetto movimento per la pace, al movimento pacifista che è all'origine delle grandi manifestazioni che si sono svolte negli ultimi anni nelle maggiori capitali occidentali, come reazione all'installazione dei missili Cruise, Pershing II e degli SS-2O.

Un certo numero di elementi avrebbe dovuto provocare opposizioni e proposte capaci di misurarsi col pensiero militare dominante sul terreno della difesa e della sicurezza. Questi elementi sono: l'inaffidabilità e l'insicurezza della dissuasione nucleare e convenzionale, la crisi delle alleanze militari, l'impotenza delle armi di fronte alle nuove minacce già spesso veri stati di guerra nel Sud del mondo, l'impotenza di fronte alle vecchie minacce provenienti da tutti i paesi totalitari e dittatoriali e principalmente dall'Est sovietico.

Ma tutti questi elementi non hanno prodotto, in seno ad una opinione pubblica consapevole e certamente attenta, un movimento di opposizione e di proposizione capace di confrontarsi con il pensiero militare dominante e di opporre strategiche alternative credibili e non suicide. Come abbiamo visto nei precedenti capitoli è possibile delineare una diversa concezione della sicurezza, riclassificare le minacce, individuare nuovi strumenti e politiche di difesa : sono proposte concrete, gesti significativi, unilaterali, suscettibili di innescare una dinamica nuova, di prefigurare un futuro strategico differente.

La questione ci sembra ancora più importante perché questa sconfitta fa seguito al fallimento della gigantesca campagna a favore del disarmo nucleare in Europa degli anni 5O. Crediamo che la risposta a questi quesiti debba essere ricercata nella contraddizione nella quale vive la maggioranza dei cittadini, fra l'autentica aspirazione alla pace e la paura delle conseguenze di una guerra nucleare o convenzionale generalizzata. Questa contraddizione si riflette poi, anche con le dovute riserve sul controllo dei mezzi d'informazione, sulle scelte elettorali che premiano sempre le politiche tradizionali di difesa, siano esse conservatrici o progressiste, di destra o di sinistra. Notiamo del resto che le questioni di difesa occupano un posto del tutto marginale nelle competizioni elettorali.

Il movimento pacifista - ciò ci sembra incontestabile - non ha saputo quindi superare questa contraddizione, non ha saputo contendere al militare il suo primato quando in materia di definizione della politica di difesa.

Ciò ci sembra tanto più evidente alla luce dell'ampiezza del movimento di contestazione istituzionale e popolare, e parallelamente, alla luce della crescita esponenziale del potere distruttivo delle armi dispiegate non meno che della quantità di quest'ultime. D'altra parte insoddisfacente ci sembrano le considerazioni di coloro che attribuiscono la sconfitta del movimento pacifista alla risultante perversa dei meccanismi di potere.

Così crediamo con Marco Pannella che "Se è assolutamente vero che la lotta pacifista attacca unicamente i paesi nord-occidentali e blocca la politica di difesa senza proporne un'altra più valida e più solida, che essa si limita a lotte negative, ed impernia le campagne di massa sui no e sulla paura legittima e sacrosanta di opporsi all'epifenomeno (il nucleare) e non al fenomeno (il militare), a considerare le armi come unica e sola difesa possibile, allora questa politica è perdente e irresponsabile nel senso letterale del termine. In effetti, in questi termini non è politica ma reazione per natura pre-politica, pura ma non neutra, perfettamente utilizzabile ed esperibile" (1).

Ci troviamo quindi nel migliore dei casi di fronte a un fenomeno che possiamo qualificare come funzionale alla politica del tutto militare di difesa e di sicurezza occidentale. Nel peggiore dei casi di fronte ad un fenomeno di complicità con le varie lobbies industriali militari, dell'Est e dell'Ovest, riunite da uno stesso fondamentale interesse. "Il combinato disposto" di queste correnti politiche occidentali, quelle di governo e quelle in tal modo popolari, portò allora alla politica della linea Maginot difensiva: l'insuperabile muro che si costruì contro la Germania al fronte Est della Francia, che fu aggirato in un baleno, come dei non-militari e dei non-accecati dal potere avrebbero tutti già prima compreso. Oggi la Nato ha come ideologia - di nuovo - proprio quella della Maginot, che ha forma di missili, totalmente inutili e dannosi nell'oggi, perchè non rispondono alla caratteristiche dello scontro drammatico fra due sistemi e due imperi, in corso ogni giorno, non solamente alle nostre frontiere

orientali, ma anche in casa nostra, se non addirittura nella coscienza di ciascuno di noi (2).

Ed è proprio e specificatamente su questo aspetto che vorremmo insistere alla fine del nostro lavoro. Crediamo in effetti che ancora una volta stiamo fondando la nostra strategia di sicurezza sul principio perdente che vede nella difesa militare uno strumento che deve supplire una sconfitta politica. Ogni giorno che passa ci vediamo obbligati a indietreggiare nei soli veri campi di battaglia di oggi. Essi sono là dove regna l'assenza di riconoscimento del diritto alla vita, e questo in una gran parte del Sud del mondo; sono là dove la violazione sistematica ed istituzionale dei diritti civili, politici, sindacali è il fondamento stesso del regime: ciò corrisponde alla realtà dei paesi dittatoriali ed ancor più a quella dei paesi totalitari.

Lontano da gesti strettamente umanitari, sia nei confronti del Sud che dell'Est del mondo, è quindi necessario che i paesi europei si raggruppino, si riuniscano e quindi si costituiscano in Unione politica, per rispondere con maggiore forza e con una unica voce ai veri problemi della sicurezza, quelli dei diritti fondamentali, dei diritti civili, del diritto alla vita all'Ovest come all'Est, al Nord come al Sud. Il rinnovamento o la rinascita dell'Europa passa obbligatoriamente attraverso questo nodo, se non vuole sprofondare, sognando l'eurocentrismo degli splendori, nell'eurocentrismo delle tenebre.

NOTE

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1. Marco Pannella, El Pais del 9 Marzo 1986 " Una fantasia responsabile"

2. Marco Pannella, El Pais, cit.,3

 
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