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Mellini Mauro - 14 febbraio 1987
Abrogare le corporazioni e lo strapotere delle correnti
A cura di Mauro Mellini

SOMMARIO: La memoria sull'ammissibilità del referendum abrogativo su alcune norme per l'elezione dei componenti del Consiglio Superiore della Magistratura presentata alla Corte Costituzionale da Mauro Mellini in rappresentanza del comitato promotore. Mellini afferma che il referendum tende a sopprimere il sistema proporzionale ed il collegio unico delle elezioni, lasciando indenni le altre disposizioni di legge che non conseguono a tale sistema elettorale. Si vuole così impedire la cristalizzazione delle correnti politiche e la lottizzazione del CSM.

(NOTIZIE RADICALI N. 38, 14 febbraio 1987)

ECC.MA CORTE COSTITUZIONALE ROMA

MEMORIA

per il comitato promotore del referendum abrogativo degli artt. 25, 26 e 27 della legge 24 marzo 1958 n. 195 come risultanti dalle successive modificazioni e integrazioni della stessa legge. Nel giudizio ai sensi dell'art. 2 L. cost. 11 marzo 1953 n. 1 e 33 L. 25 maggio 1970 n. 352 sulla ammissibilità del referendum abrogativo degli artt. 25, 26 e 27 della legge 24 marzo 1958 n. 195, recante "Norme sul funzionamento del Consiglio Superiore della Magistratura" così come risultanti dalle successive modificazioni e integrazioni della legge stessa.

"Il referendum della cui ammissibilità si discute oggi avanti a codesta Corte ecc.ma ha per oggetto le norme elettorali dei componenti magistrati del Consiglio superiore della magistratura.

Anche questa iniziativa non ha mancato di suscitare critiche vivaci e molteplici, relative sia all'uso dello strumento referendario, sia agli effetti di un dibattito che potrebbe vedere coinvolti nel Paese i magistrati come parte di una polemica riguardante le istituzioni che più direttamente li riguardano, sia, magari, per le qualifiche dei proponenti e la presunta violazione di "logiche costituzionali" che sarebbe conseguente alla presentazione di una richiesta di referendum da parte di parlamentari appartenenti, per di più, alla maggioranza governativa.

Ma, a meno di non scoprire che vi sono elaboratori di nuove teorie costituzionali per le quali siffatti argomenti assurgono a nuovissimi motivi ulteriori di inammissibilità del referendum, si deve ritenere che la polemica, non meno accesa sul merito di quella riguardante gli altri referendum sulla giustizia, non ha, in questo caso, investito la giuridica praticabilità dell'iniziativa. Nell'illustrare le ragioni che, a nostro avviso, rendono assolutamente pacifica l'ammissibilità, non avremo da far riferimento ad opposte tesi.

Non ignoriamo, naturalmente, che autorevoli esponenti politici e della magistratura associata hanno, in pubbliche dichiarazioni, preconizzato la declaratoria di inammissibilità di questo referendum. Ma questa non è certamente una tesi giuridica e nemmeno una tesi. Dovremmo definirla una divinazione e le divinazioni non si criticano né, per quel che ci riguarda, si prendono come punti di riferimento per le discussioni".

1.

Norme soggette a referendum - Finalità oggettiva della proposta abrogativa - Univocità del quesito.

"Le norme oggetto della proposta di abrogazione mediante referendum costituiscono la parte più tormentata e controversa della legge sull'istituzione e il funzionamento del Consiglio superiore della magistratura. Esse, in sostanza, stabiliscono l'elezione dei membri magistrati di tale consesso con il sistema proporzionale per liste concorrenti in un collegio unico nazionale e regolano le operazioni elettorali e l'assegnazione dei seggi secondo tale sistema. La finalità della proposta abrogazione non ha dunque bisogno di essere illustrata con dovizia di argomenti: essa emerge chiaramente dal contenuto specifico delle norme sinteticamente ora descritte. Tende cioè a sopprimere il sistema proporzionale ed il collegio unico delle elezioni suddette, lasciando indenni tutte le altre disposizioni della legge che non sono espressione e conseguenza di tale sistema elettorale.

Ulteriori considerazioni sulla finalità della proposta abrogazione possono essere fatte in ordine alle finalità dell'iniziativa, ma, ove esse andassero oltre l'ovvia considerazione che che l'abrogazione postula l'introduzione di un sistema elettorale diverso, caratterizzato da una pluralità di collegi e non fondato sulla distribuzione proporzionale dei seggi fra liste concorrenti necessariamente presentate da correnti organizzate sul piano nazionale, si sconfinerebbe nell'individuazione di finalità non assolutamente immediate ed oggettive che, come tali, si debbano ricavare dall'intrinseco tenore del quesito referendario. E tuttavia anche tali ulteriori finalità sono ovvie e note, almeno per ciò che riguarda taluni degli inconvenienti cui l'iniziativa intende rimediare, ed in primo luogo quello della cristallizzazione delle correnti con l'inevitabile sbocco della lottizzazione d'ogni potere e funzione, ma anche quello dell'eliminazione della posizione di vantaggio, conseguente all'esistenza di un unico colle

gio nazionale nel quale votano tutti gli aventi diritto al voto, non solo per una lista unica per tutto il territorio nazionale, ma anche esprimendo preferenze fra tutti i candidati della lista nell'unico collegio, in pratica per quelli di questi ultimi che per le loro funzioni e per le loro vicende, o per le vicende degli affari nei quali hanno svolto le loro funzioni, abbiano conseguito una più diffusa notorietà. Tale sistema attribuisce ancor più netto vantaggio per i cultori della propria personalità, affetti da sapiente protagonismo, così che si potrebbe dire che nel Consiglio superiore si realizzi, con le debite e sempre più difficili, e quindi più degne, eccezioni, la rappresentanza non già della magistratura, ma quella delle sue correnti e delle più clamorose e discusse vicende giudiziarie.

Ciò posto, sembra che non possano sussistere dubbi ragionevoli di sorta sul carattere di omogeneità del quesito referendario, visto che, addirittura, le singole disposizioni che ne sono oggetto debbono considerarsi interdipendenti e tali che la cancellazione della prima di esse comporta necessariamente la soppressione o quanto meno la modifica delle successive. Con ciò deve ritenersi soddisfatta la prima delle condizioni di ammissibilità poste dalla giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte con la ben nota sentenza 2 febbraio 1978 n. 16".

2.

Natura della norme oggetto del quesito referendario - Carattere non costituzionalmente vincolato

"Nessun possibile riferimento può essere ricercato, nel caso in esame, sulla base della giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte, alle categorie delle norme a copertura costituzionale. Merita invece attenzione il raffronto delle norme stesse con la categoria di quelle a contenuto costituzionalmente vincolato. Teniamo a precisare subito che, una volta individuata ed accettata la categoria delle leggi a contenuto costituzionalmente vincolato, non possa dubitarsi dell'appartenenza ad essa della L. 24 marzo 1958 n. 195, nel senso che parti essenziali di essa non rappresentano che la realizzazione degli istituti e dei precetti imposti dalla Costituzione agli articoli 104, 105 e 106, al punto che taluni articoli di tale legge ordinaria sono addirittura la reiterazione del testo costituzionale.

Ma ai fini per i quali tale categoria di leggi ordinarie è stata elaborata, quelli cioè dell'ammissibilità del quesito referendario, la valutazione va fatta non già rispetto all'atto formale legislativo in cui le disposizioni abrogande sono contenute, ma rispetto direttamente a queste ultime, quand'anche costituiscano parte di un più ampio testo legislativo cui possa essere senz'altro attribuita, nella sua parte essenziale e preminente, il carattere di legge a contenuto costituzionalmente vincolato. Tale assunto deriva necessariamente dalle seguenti considerazioni:

a) l'art. 75 ammette l'abolizione parziale di una legge e quindi consente che il referendum abbia ad oggetto una parte di essa;

b) dal fatto che l'elaborazione della categoria di leggi di cui si discute avviene sulla base dell'individuazione di un rapporto del relativo contenuto (e non già della forma o della collocazione della norma) rispetto alla Costituzione.

c) dalla definizione stessa del carattere in questione delle norme la cui strumentalità viene individuata come necessaria e minimale rispetto al disposto della Costituzione.

La stessa storia dei tre articoli oggetto della presente richiesta referendaria evidenzia che le condizioni di cui al punto c) non si realizzano rispetto ad esse, giacché il sistema elettorale per la nomina dei componenti magistrati del Consiglio superiore è stata oggetto di ampio rimaneggiamento, con l'adozione, appunto, di sistemi diversi.

Né può ipotizzarsi un carattere di "necessità" delle norme in questione d'ordine derivato ed indiretto rispetto alla Costituzione, una necessità derivata cioè dalla strumentalità rispetto non alla Costituzione ma rispetto alle norme che propriamente da essa derivano a loro volta la loro necessità. Si tratterebbe di una mera posizione di principio, che abbiamo voluto evocare non per dare un esempio di ciò che avverso l'ammissibilità del referendum e la delimitazione delle materie ad esso sottratte può dirsi e sostenersi, ma proprio ad esempio di ciò che dirsi e sostenersi non si può, almeno se si vuole restare nell'ambito della ragionevolezza.

Ma per esaminare compiutamente la questione di una possibile riconducibilità delle norme oggetto dell'iniziativa abrogatrice alla categoria di quelle a contenuto costituzionalmente vincolato, più che ad argomentazioni nostre ed a ipotesi astrattamente concepite, vale rifarsi alla concreta applicazione che del principio ha fatto codesta ecc.ma Corte a proposito dei due referendum relativi all'ordinamento giudiziario militare di pace, mettendo a raffronto quanto in proposito hanno statuito le due sentenze n. 16 del 2 febbraio 1978 e n. 25 del 9 febbraio 1981. Con la prima di tali sentenze codesta Corte dichiarò inammissibile il referendum sul r.d. 9 settembre 1941 n. 1022 (approvazione dell'Ordinamento giudiziario militare) in quanto la proposta abrogatrice appariva diretta a togliere di mezzo, con l'Ordinamento giudiziario militare, la totalità degli organi della giustizia militare di pace, per istituire un sistema conforme non già al dettato costituzionale ma di questo modificativo, con il ritorno per tale v

ia a quello proposto dalla "commissione dei 75" ed abbandonato dall'Assemblea Costituente che all'art. 103 aveva invece previsto, limitandone la giurisdizione, l'esistenza di tribunali militari anche per il tempo di pace. Riconosciuto così con tale sentenza il carattere costituzionalmente vincolato dell'Ordinamento giudiziario militare in quanto istitutivo e normativo dei tribunali militari, la giurisprudenza di codesta Corte ecc.ma, senza contraddire il dettato di tale sentenza, ma applicandone i principi ispiratori e precisandone la portata, con la successiva sentenza del 9 febbraio 1981 n. 25 dichiarò invece ammissibile il referendum su di una serie di articoli dello stesso testo relativo all'Ordinamento giudiziario militare. Codesta Corte, già con la stessa sentenza n. 16 del 1978, aveva infatti osservato che "non è sostenibile che siano sottratte a referendum abrogativo tutte le leggi ordinarie comunque costitutive o attuative di istituti, di organi, di procedure, di principi stabiliti dalla Costituzion

e. A parte l'ovvia considerazione che il referendum verrebbe in tal modo a subire limitazioni estremamente ampie e mal determinate, il riferimento alle leggi ``costituzionalmente obbligatorie'' si dimostra viziato da un equivoco di fondo. La formula in questione farebbe infatti pensare che quelle leggi e non altre, con il loro attuali contenuti normativi, siano indispensabili per concretare le corrispondenti previsioni costituzionali. Così invece non è, dal momento che questi atti legislativi - fatta soltanto eccezione per le disposizioni a contenuto costituzionalmente vincolato - non realizzano che una tra le tante soluzioni astrattamente possibili per attuare la Costituzione.

Con la sentenza n. 25 del 9 febbraio 1981 già ricordata, dichiarando ammissibile il referendum su tredici articoli dell'Ordinamento giudiziario militare, codesta Corte, ricordando la già enunciata distinzione e contrapposizione di un istituto costituzionalmente previsto e quella dei suoi "singoli, modificabili disposti", affermava la praticabilità del referendum "richiesto per privare di efficacia norme riguardanti aspetti determinati, sia pure importantissimi" della giurisdizione militare, data per inamovibile secondo il dettato costituzionale, e considerava che tale dovesse ritenersi il referendum esaminato perché, rispetto al quesito di quello del 1978, "non è, dunque, più in giuoco la stessa esistenza dei tribunali militari, ma solo un aspetto, sia pure peculiare, della loro attuale struttura".

Ritornava anche la giurisprudenza di codesta Corte sull'argomento, toccandone un aspetto pur rilevante e calzante rispetto al caso di cui oggi si discute. Nella sentenza n. 26 del 10 febbraio 1981 (e relativa al referendum radicale sull'aborto) si legge infatti "... non rileva che l'approvazione... darebbe luogo ad effetti incostituzionali... nel senso di determinare vuoti suscettibili di ripercussioni sull'operatività di qualche parte della Costituzione... Ciò è tanto meno vero in quanto il legislatore ordinario potrebbe intervenire, dettando una disciplina sostanzialmente diversa da quella abrogata, anche prima del prodursi dell'effetto abrogativo, nell'ipotesi che si ritardasse l'entrata in vigore dell'abrogazione, per il tempo fissato dall'art. 37, III comma, della legge 352 del 1970".

Le sentenze sopra richiamate, alle quali si potrebbe aggiungere anche quella n. 16/1978, per quel che riguarda il referendum su taluni articoli della L. n. 20 del 1962 relativa ai procedimenti d'accusa ed alla Commissione Inquirente, dirimono dunque ogni possibile dubbio in ordine alla appartenenza delle norme oggetto della presente iniziativa referendaria alla categoria delle leggi a contenuto costituzionalmente vincolato di cui alla ben nota enunciazione dei criteri di inammissibilità dei referendum enunciati in via generale dalla sentenza 16 del 1978. Occorre però aggiungere che, rispetto alle norme sottoposte a referendum tra quelle del complesso normativo da considerarsi, in quanto tale, a contenuto costituzionalmente vincolato rispettivamente per i tribunali militari e per la Commissione Inquirente di cui alle sentenze sopra richiamate, nel caso presente la rilevanza dei tre articoli oggetto del quesito referendario è ancor meno "necessaria", nel senso che, mentre l'abolizione di quegli articoli, rispe

ttivamente dell'Ordinamento giudiziario militare e della legge sui procedimenti d'accusa, comportava l'immediata delegittimazione rispettivamente dei tribunali militari e della Commissione Inquirente, con la paralisi di tali organi fino alla loro nuova strutturazione e definizione di competenze, l'abolizione degli articoli oggetto della presente proposta non comporta affatto la paralisi del Consiglio superiore della magistratura, trattandosi di norme destinate comunque ad operare alla scadenza del Consiglio oggi in carica ed al momento del suo rinnovo, che oltretutto non è né imminente né prossimo e che comunque in situazioni analoghe è stato prorogato".

3.

Altre possibili (o impossibili) questioni circa l'ammissibilità.

"Con la trattazione delle questioni oggetto dei punti che precedono dovremmo considerare esaurito il novero di ogni possibile dubbio circa l'ammissibilità del referendum in questione. Non restano che le questioni impossibili, cui ci permettiamo di accennare non certo per scarso rispetto e fiducia nella Corte ecc.ma, ma perché in giudizi di siffatta natura e rilevanza il contraddittorio travalica la presenza (o l'assenza) delle parti, e dedotto e deducibile talvolta si confondono nelle attese e nelle preoccupazioni di quanti possano esservi in vario modo interessati.

Ed allora non vogliamo trascurare che è stato ricordato, a proposito di leggi sottratte a referendum, che per un mero e curioso episodio dell'iter formativo della Carta costituzionale l'art. 75 non contempla al II comma, tra quelle non assoggettabili a referendum, anche le leggi elettorali, che in effetti un emendamento dei costituenti Maria Maddalena Rossi ed altri del gruppo comunista, aggiuntivo della esclusione delle leggi elettorali, fu approvato dall'assemblea nella seduta pomeridiana del 16 ottobre 1947, ma tale aggiunta venne poi soppressa in sede di coordinamento. Ma, quale che sia stato il procedimento seguito e quale la sua correttezza e legittimità, sta di fatto che le leggi elettorali non sono comprese dall'elenco di quelle espressamente escluse dall'assoggettamento a referendum, né è possibile sollevare questione relativa alla modalità della esclusione. Semmai l'episodio sta a dimostrare che i costituenti erano ben certi che le leggi elettorali, ove non fossero state espressamente menzionate tr

a quelle escluse, non sarebbero state sottratte al procedimento di abrogazione referendaria. La necessità di tale espressa esclusione nasceva dunque proprio perché le cause di inammissibilità del referendum rispetto ad esse, come ha ritenuto codesta ecc.ma Corte nella sentenza 16/1978, "anziché inerire alla stessa natura dell'istituto in questione, rispondevano e rispondono a particolari scelte di politica istituzionale". Ma se soffermarsi a discutere di disposizioni inesistenti non è troppo anche quando ci si vuole occupare di questioni impossibile, va detto che, comunque, per leggi elettorali si intese allora, come s'intende oggi, leggi relative all'esercizio della sovranità popolare in ordine alla rappresentanza politica, nello stesso senso cioè in cui il termine è usato nel IV comma dell'art. 72 della Costituzione, che vieta per tali leggi l'approvazione nelle commissioni parlamentari in sede legislativa, sede nella quale invece, guarda caso, fu approvata proprio la modifica dell'art. 25, oggi oggetto de

lla richiesta di referendum, oltreché degli artt. 4 e 23 della legge 195/1958 (Camera deputati IV Commissione, 21 novembre 1985). Del resto, nell'unico intervento su quell'emendamento (i proponenti non presero la parola), quello del relatore Ruini, contrario, chiarissimo appariva che l'emendamento stesso veniva considerato come riferito esclusivamente alle leggi elettorali per l'elezione del Parlamento.

Al punto n. 2 della presente trattazione volutamente abbiamo omesso di prendere in considerazione l'ipotesi che le norme oggetto del referendum di cui si discute siano riconducibili alla categoria delle leggi a copertura costituzionale, quelle cioè dotate di una forza passiva peculiare e dunque insuscettibili di essere validamente abrogate da leggi ordinarie successive. E ciò appunto perché in quella parte della trattazione intendevamo far riferimento ad eccezioni ed obiezioni possibili. Ora, essendo passati a parlare di obiezioni impossibili, dovremo pure affrontare questo argomento. Ma per quanto vogliamo sforzarci di ipotizzare un appiglio qualsiasi, ancorché assurdo, che ci consenta di ipotizzare l'inclusione di norme siffatte in una categoria di leggi costruita con riferimento a quelle di esecuzione del Concordato ed al rapporto di questo con la Costituzione, non ci riesce, francamente, di trovarne, a meno che qualcuno non intenda riferirsi all'Ordine giudiziario come ad entità non solo autonoma ed indi

pendente, ma indipendente e sovrana rispetto allo Stato, così che i rapporti tra quello e questo debbano essere regolati sulla base di accordi e che solo la modificazione di essi, accettati dalle due parti, consenta la valida abrogazione delle leggi che rendevano esecutivi quelli modificati. Del resto una sentenza di codesta Corte ha dovuto ricordare che l'autonomia e l'indipendenza della magistratura non pongono questa al di là dello Stato, quasi "legibus soluta", e ciò perché qualcuno mostrava di dimenticarlo. Ma anche l'attenzione per l'impossibile non può, senza discapito, portare al grottesco.

In considerazione di tutto quanto sopra esposto, si confida che la ecc.ma Corte costituzionale vorrà dichiarare ammissibile il referendum di cui in epigrafe".

Avv. Mauro Mellini

 
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