di Mario De StefanoSOMMARIO: La Corte Costituzionale ha illegittimamente ampliato i casi di inammissibilità dei referendum previsti dall'art. 75 della Costituzione.
(NOTIZIE RADICALI N. 38, 14 febbraio 1987)
"Quello che cerchiamo di fare con questa scheda è l'elenco dei casi di inammissibilità di referendum abrogativi, come previsti dall'art. 75 della Costituzione e come elaborati dalla Corte costituzionale negli anni scorsi con le sentenze sino al 1981.
L'allargamento ad ulteriori e più ristrettive categorizzazioni rispetto a quelle contenute nell'art. 75 ha, come è noto, sollevato non poche perplessità tra gli studiosi di diritto costituzionale. Già nel 1978 ed ancora di più nel 1981 la Corte ha adoperato un metro di valutazione della ammissibilità dei referendum che ha reso quasi impraticabile questo istituto di democrazia diretta, ma veniamo alla elencazione dei casi di inammissibilità.
L'art. 75 della Costituzione prevede che non siano sottoponibili a referendum": 1) le leggi tributarie; 2) le leggi di bilancio; 3) le leggi di amnistia e di indulto; 4) le leggi di autorizzazione a ratificare trattati internazionali.
"Con la sentenza n. 16 del 17 febbraio del 1978, la Corte costituzionale ha preteso di codificare altre quattro categorie di inammissibilità cosiddetta implicita dei referendum": 5) referendum contenenti una pluralità di domande eterogenee carenti di una matrice unitaria, che si chiede siano sottoposte contestualmente al voto popolare; 6) referendum concernenti l'abrogazione di atti legislativi dotati "di una forza passiva peculiare" e dunque insuscettibili di essere validamente abrogati da leggi ordinarie successive (alle quali il referendum è equiparato); 7) referendum concernenti disposizioni legislative "a contenuto costituzionalmente vincolato" il cui nucleo normativo non possa venire alterato o privato di efficacia, senza che ne risultino lesi i corrispondenti specifici disposti della Costituzione o di altre leggi costituzionali; 8) referendum aventi per oggetto disposizioni di legge strettamente collegate o affini a quelle per le quali l'articolo 75 espressamente prevede la declaratoria di inammissibi
lità, "cioè le disposizioni produttive di effetti collegati in modo così stretto all'"ambito di operatività "delle leggi espressamente indicate dall'art. 75, "tali che la preclusione debba ritenersi sottintesa".
Il criterio indicato al n. 5 è stato di fatto quello in base al quale la Corte ha dichiarato inammissibili numerosi referendum. Con la sentenza n. 16 la Corte ha esteso il proprio esame oltre che alla natura delle disposizioni oggetto del quesito, anche alla struttura stessa del quesito in base ai concetti di" omogeneità, univocità, "e" chiarezza; "ed attraverso la sentenza n. 27 (relativa al referendum sulla caccia) e n. 29 (relativa alla smilitarizzazione della Guardia di finanza) nel 1981 ha ulteriormente esteso questo criterio, sancendo l'esigenza della" "non - contraddittorietà" "del quesito, intendendo con ciò impedire che siano sottoposti al voto quesiti referendari in cui vi sia" "contraddizione fra la richiesta di abrogazione di una disciplina e la mancata richiesta di abrogazione di altre disposizioni dettate nel medesimo contesto normativo e indissolubilmente legate a quelle che, invece, si vorrebbero sopprimere".
"Questo ulteriore restringimento della praticabilità dell'istituto referendario, dovuto all'estendersi dell'esame della Corte alle" "finalità" "del referendum, è stato operato con le sentenze del 1981. Questa giurisprudenza rappresentava già allora uno dei punti più bassi cui sia giunta la Corte costituzionale; con le sentenze di quest'anno lo scempio fatto nell'81 sembra quasi nulla.
E rispetto a quanto accaduto non si può, non si deve, tenere un atteggiamento neutrale. Occorre invece il massimo di parzialità, nella difesa intransigente di quei princìpi costituzionali che i giudici della Consulta hanno tradito e calpestato".