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Pannella Marco - 19 marzo 1987
I referendum sono espressione dello Stato di diritto
di Marco Pannella

SOMMARIO: La Corte costituzionale ha stravolto negli ultimi dieci anni l'istituto referendario affermando l'incertezza del diritto e perfino introducendo una forma di "referendum propositivo" che era stato rifiutato dai costituenti. La Corte infatti si riserva di non far svolgere il referendum nel momento in cui il Parlamento legifera "nella direzione voluta" dai richiedenti.

(AVANTI!, 19 marzo 1987)

Com'è noto la Costituzione prescrive che possono essere sottoposte a referendum abrogativo leggi e norme del nostro ordinamento, ad eccesione di quelle relative a materie tributarie ed ai trattati internazionali. La legge del 1970 ne disciplina le modalità di richiesta, di convocazione e di tenuta in modo conforme.

La Corte Costituzionale, nel giro di dieci anni, ha stravolto totalmente la norma fondamentale, di fatto abusivamente legiferando, con piena usurpazione di poteri; facendolo, per di più, nel modo più torpido, caotico, "emergenziale" ed antigarantista. Il risultato è che nessuno, ormai, sa più se e quando un referendum regolarmente richiesto potrà effettivamente tenersi. L'incertezza del diritto è divenuta l'unica certezza: il libero arbitrio della Corte, che assoggetta a sé la legge, e lo fa in modo da rendere nostalgici perfino dell'attività legislativa degli anni di piombo e della P2.

Le recenti sentenze rese in materia di caccia e di elezione del CSM passeranno alla storia come esempi di denegata giustizia, di mancanza di decoro istituzionale e deontologico. Là lo scandalo diventa vera e propria attività sovversiva, coronata da successo, se si guardi al "corpus" delle sentenze, nel loro assieme: scempio del diritto, e non altro. Troppi hanno taciuto e tacciono. Il tradimento dei chierici - con le solite, rarissime eccezioni - deve ancora trovare in Italia il suo Julien Benda; con l'aggravante che qui si tratta di avallare il tradimento di presunti chierici della giustizia che sono invece potere dello Stato.

Non c'è dunque da stupirsi se si discute anche ad altissimo livello, in questi giorni, di referendum e di politica, senza nemmeno avvicinanrsi a comprendere quali siano le ragioni di principio, di diritto, costituzionali, civili e morali che socialisti e radicali stanno cercando di difendere, per ricondurre, per un minimo, nell'alveo della correttezza costituzionale e legislativa, morale e civile l'intera vicenda.

Vi sono "certezze" date per scontate come dogmi, che costituiscono veri e propri raggiri, abusi, contro-verità. Si recepisce in tal modo, da parte di quasi tutti, una "trovata" della Corte: se il Parlamento legifera "nella direzione voluta" dai richiedenti, il referendum non si tiene più, anche se è già stato convocato.

Così, il "referendum abrogativo" - che presuppone alla sua base non già una volontà positiva univoca di legiferare ma un "cartello dei no" per l'abrogazione della norma esistente (che può dunque vedere convergere anche forze con ispirazioni e motivazioni e obiettivi mediati diversi o contrapposti) viene abusivamente inchiodato a presupporre ed assumere obiettivi, idee, proposte, tendenze di diritto positivo implicite ma chiare e determinate. Si impone, insomma, una ratio, una economia da "referendum propositivo", non a caso rifiutato dai costituenti e comunque estraneo alla nostra Costituzione.

Questo dogma maccheronico e controriformista, preso per buono pacificamente da lor signori, lascia la Corte sovrana nello stabilire sia quali "siano" le "intenzioni" positive del Comitato promotore, pur grottescamente equiparato dalla Corte stessa a "potere dello Stato", sia il quoziente di congruità con tali ipotetiche intenzioni di atti legislativi del Parlamento, tale da far ritenere raggiunto attraverso altra via l'obiettivo che i 500.000 cittadini hanno inteso perseguire sottoscrivendo la richiesta.

Come se ciò bastasse, la sovranissima Corte ha stabilito che non vi siano limiti temporali di nessun genere a questa attività antireferendaria di partiti, lobbies, governi e Camere. Sicché il 12 o il 13 giugno prossimi il governo potrebbe decretare (per necessità e urgenze partitocratiche, demitiane o spadoliniane) qualcosa in tal senso, dopo poche ore la Corte convalidarne il valore di superamento della richiesta referendaria, la Gazzetta con edizione straordinaria darne atto e suggello. E, se non in quindici ore, in quindici giorni, o in trenta, a seconda dei loro comodi.

Legiferare per impedire la tenuta di referendum, secondo queste norme materiali imposte secondo Costituzione materiale dalla Corte materiale in materia referendaria materiale, ha già in passato prodotto fasti come l'approvazione della 180 in materia manicomiale, la "riforma" dell'Inquirente, oltre a situazioni parlamentari di sospensione dei regolamenti pur di poter impedire al popolo di pronunciarsi. In attesa di poter proibire le elezioni, così fastidiose, si riesce ad impedire i referendum.

Insomma, "la partita referendaria, le sue regole" sono condannate alla totale precarietà, alla nessuna certezza, alle risse scatenate da qualche oligarca o da qualche Innominato di suburra o di periferia camorristica. Ci troviamo dinanzi ad un governo irresponsabile dei giudici della Corte Costituzionale ( e del centinaio di altri magistrati "distaccati" presso di loro, come i membri delle Forze Armate a far da autisti a camerieri, factotum e servipadroni, a volte, presso i loro capi).

Poiché dai referendum sono venuti i più riusciti attacchi al regime in questo ventennio, questo "governo" di usurpatori, contro i referendum si è creato un manifesto, volontario, doloso vuoto giuridico, che occorre superare. Anche a difesa della dignità di quei giudici della Corte (e sono maggioranza relativa!) che non hanno altra scelta che di dimettersi o di sottomettersi dinanzi a questa realtà.

Urge, quindi, rientrare in un minimo di legalità, almeno. Urge farlo per scelta e per moralità politiche, in attesa che un Parlamento repubblicano ritrovi forza e dignità per tornare ad imporre alla Corte piena indipendenza dalle fazioni, e piena sottomissione alla legge fondamentale. I referendum - a questo punto - devono tenersi. Governo e Parlamento non possono esser costretti a perder tempo prezioso per mille altri provvedimenti e iniziative urgenti, che da lustri attendono la soluzione. Noi stessi avevamo dato la nostra disponibilità, all'inizio della scorsa estate, ad affrontare in Parlamento questi temi. Ponemmo una sola condizione: che si arrivasse a terminare l'opera di riforma sul nucleare e sulla giustizia, per quanto di rilevanza referendaria, entro dicembre, tutt'al più entro le decisioni definitive della Corte. Nel frattempo De Mita e Spadolini, si sono occupati d'altro; e d'altro, in realtà, si occupano anche oggi: di giochi di potere, non di temi sui quali mai hanno mostrato, da parlamen

tari o da leader di partito, un minimo di interesse o di competenza.

Per finire una considerazione che direttamente riguarda noi che abbiamo promosso questi referendum. Proporre un referendum è un diritto-dovere conferito dalla Costituzione ai cittadini. L'esercizio di questo diritto-dovere comporta altissimi costi politici e materiali. Politicamente, chi assume questa iniziativa è per definizione minoritario in Parlamento sul tema oggetto della richiesta referendaria. Nel nostro sistema è quindi "minoritario" anche nel campo dell'informazione, della propaganda, del dibattito, del conoscere per deliberare. Si corrono quindi rischi che possono portare a secche sconfitte politiche d'immagine. Sul piano delle energie militanti, dell'impegno dei cittadini, del danaro necessario, l'impegno è massimo. Ma se si ha ragione, se il Paese sceglie di sostenere l'obiettivo, il successo politico è di pari rilievo.

A questo punto, il criterio che ci si vuole imporre, il criterio della Corte, di De Mita, di Spadolini è ben semplice: si facciano i sondaggi e se risulta che i promotori dei referendum rischiano di vincere (in questo caso, a man bassa), se la Corte non è riuscita a farli fuori, li si faccia fuori in un qualsiasi modo. Si dia loro ragione, per un attimo, per grazia di regime; e - qualche settimana dopo - lo stesso regime, con provvedimento opposto, torni a restaurare norme e leggi così accantonate... Beffa? Truffa? Chi paga? E' evidente che in tali condizioni, se si crede alla violenza, per molti non c'è che da imbracciare il mitra o divorziare per sempre dalla menzogna "democratica"...

Noi crediamo nel diritto (specie quando è calpestato e negato, per restaurarlo) e nella nonviolenza. Ci impegniamo quindi a difendere i referendum sul nucleare e sulla responsabilità civile dei magistrati indipendentemente dai loro contenuti. Al punto in cui siamo, essi devono tenersi. Così facendo difendiamo anche il diritto civile e politico di quei due terzi di democristiani e di repubblicani che sono d'accordo, nel merito, con noi, e non con i loro vertici.

Qui, davvero, c'è da difendere Costituzione e democrazia contro "pre" e "post" fascismi beceri e suicidi.

Per socialisti, radicali, democratici, liberali, riformatori, non v'è altra scelta possibile. Se necessario la difenderemo anche in quelle elezioni anticipate che non vogliamo, ponendola al centro della campagna elettorale, assieme alla proposta di grande Riforma in senso anglosassone del sistema politico italiano. Stato di diritto e democrazia politica sarebbero i due temi della vittoria, che questa volta sono certo non mancherebbe.

 
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