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Pannella Marco - 20 marzo 1987
»E se facessimo un governo senza don Rodrigo?
La proposta-provocazione del presidente del Partito radicale per salvare i referendum

di Marco Pannella

SOMMARIO: E' possibile evitare lo scioglimento delle Camere, basta che Pci e laici si sentano costretti a difendere legalità formale e sostanziale. I possibili scenari. Il Partito radicale pienamente disponibile ad assumere responsabilità di governo e di maggioranza.

(CORRIERE DELLA SERA, 20 marzo 1987)

(Nel perdurare della crisi Marco Pannella ci invia questo suo intervento.)

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Dicono, e si scrive, che il presidente della Repubblica potrebbe fra breve sentirsi »costretto a sciogliere d'imperio per la quinta volta consecutiva le Camere, liquidando in tal modo anche i referendum già convocati sul nucleare e sulla giustizia, dopo che la Corte Costituzionale ha provveduto per suo conto a sgombrare il campo da quelli dull'elezione del Csm e sulla caccia.

Se tale jattura sia davvero all'orizzonte io non so: al peggio c'è mai fine. Ma l'unica certezza che mi sembra di poter avere, ormai, è l'incertezza del diritto, l'assenza del rispetto di qualsiasi regola del gioco a partita iniziata. Proprio in questi giorni siamo all'apogeo di questo incubo. Sotto i nostri occhi, novelli »tribunali del popolo , in camera di consiglio, decretano la nullità di norme perentorie dei codici, di sentenze perentorie della Suprema Corte di cassazione con cui la perentorietà di quelle norme viene confermata, irridono al valore degli »atti dovuti dal presidente della Repubblica, che è poi il presidente di quel Consiglio superiore della magistratura che rilascia, straripando dai suoi poteri, certificati di garanzia Doc a questa sorta di ammutinamenti da ciurme impazzite, e sta per passare alla persecuzione dei massimi magistrati non felloni, per meglio intimorire e governare tutti gli altri.

Per tornare alla crisi, mi sembra che se tale jattura fosse davvero all'orizzonte, chi voglia difendere il Parlamento e i referendum e le decine di provvedimenti legislativi che da lustri attendono di essere adottati, chi voglia finalmente porre un punto fermo al degrado del diritto e delle istituzioni debba assumersi le prioprie responsabilità fino in fondo. Con chi ci sta, non con chi vorrebbe che ci stesse, ma non c'è.

Togliere al presidente della Repubblica questa pericolosa costrizione non è in verità affatto impossibile. Basta che il Pci ed i laici, o gran parte dei laici, si sentano a loro volta »costretti a difendere insieme legalità sostanziale e formale, diritti e doveri di tutti. Basta - a questo fine - una loro intesa di due mesi al massimo.

Per sciogliere le Camere, infatti, e impedire lo svolgimento dei referendum, esistono tempi tecnici precisi, che è ormai quasi agevole consumare, purché lo si voglia davvero. Il tempo utile per indire nuove elezioni scade nella seconda metà di aprile; per evitare i referendum nella seconda metà di maggio (se si accetta l'inaudita tesi sin qui prevalente ma ormai rifiutata dal Pci, dal Psi, dal Pr, da Dp e dal Psdi - nonché dal Pli, sulla giustizia - per i quali il tempo è già scaduto).

Veniamo allora agli scenari possibili e incombenti, ed alle proposte concrete che il Pr prenderà oggi in considerazione.

Primo scenario: si forma un governo Andreotti, neutrale nei confronti dei referendum, come fu per il divorzio e per l'aborto.

Nessun problema. La legislatura andrà fino al suo termine, ed i referendum si fanno.

Secondo scenario: la Dc non consente ad Andreotti, ed a chicchessia d'altri, di governare a meno che non si facciano fuori i referendum. Andreotti rinuncia, il presidente della Repubblica fa un secondo giro di consultazioni. Se riscontra che esistono possibilità di nuove formule di governo non ha che da conferire un nuovo incarico, coerente con questa possibilità.

E' a questo punto che avanzo la mia proposta: un governo di laici e di indipendenti di grande prestigio repubblicano, anche non parlamentari, sostenuto dall'esterno dal Pci. Come, nel 1978, a favore del governo Andreotti.

Il presidente così incaricato non potrebbe non avere dal presidente della Repubblica tutto il tempo necessario per costituire e presentare il suo governo alle Camere. Anche se fallisse, il che non può esser dato per scontato (tutt'altro) questa »intesa di metodo e di principio tra Pci e laici avrebbe di già rimosso le ragioni dei diktat dei don Rodrigo odierni (elezioni anticipate e referendum abrogati) i quali avrebbero così raccolto, per sé e i troppo docili loro partiti, una lezione democratica e politica non inutile per tutti e per ciascuno.

Il Partito radicale aveva confermato anche in questa crisi la sua piena disponibilità ad assumere responsabilità di governo e di maggioranza, alle condizioni ormai note. Difesa della Costituzione, della certezza del diritto, dei referendum, della legislatura, varo della riforma pensionistica, fiscale, delle Usl, di un attacco del diritto pubblico, di una politica europea intransigentemente federalista, della riforma del processo penale, civile e amministrativo, della departizione dello Stato, del rilancio di una nuova politica contro lo sterminio per fame e Nord-Sud.

Da dieci anni la »maggioranza sembrava non accorgersene. Se don Rodrigo e qualche esagitato don Abbondio che al suo seguito di gonfia come un cardinale, preferiscono, possiamo fare a meno di loro, e loro possono per un paio di mesi o per un anno, tanto per cominciare, fare una cura di opposizione e di digiuno di potere. A ciascuno il suo turno.

I sondaggi mostrano che la gente è matura - come sempre e più che mai - per imporre questo turn-over. Lasciamole la parola secondo i tempi e i modi che la legge prescrive e intanto viviamo e la sciamo vivere tranquilli.

 
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