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Partito Radicale - 30 aprile 1987
Partito trasnazionale (1)
PROGETTO PRELIMINARE DI DOCUMENTO DI LAVORO SULLA COSTRUZIONE DEL PARTITO RADICALE TRASNAZIONALE

DOCUMENTO COMMISSIONE 87

SOMMARIO: In questo documento si propongono alcune problemi ed alternative relative alla costruzione del Partito Radicale transnazionale.

La Commissione, incaricata dal Segretario del Partito, è stata investita dei problemi connessi alla costruzione di "un partito internazionale e internazionalista, laico e nonviolento, dei diritti umani, degli Stati Uniti d'Europa, del diritto alla vita e della vita del diritto, della lotta contro lo sterminio per fame, della difesa del pianeta dalle minacce e degli attacchi rivolti allo stesso equilibrio dell'ecosistema".

L'opzione indicata dal Congresso del Partito Radicale indica la costruzione di un partito privo di limitazioni territoriali all'area europea, di cui l'antinazionalismo e l'antiautoritarismo sono i punti cardine. Da ciò sono scaturiti i due documenti (il preambolo allo Statuto e il Manifesto dei Nobel) che costituiscono i punti base del progetto, e il cui obiettivo sono i diritti della persona umana che devono superare le barriere della sovranità e dei diritti nazionali.

Il Partito Radicale transnazionale intende superare la divisione europea dandosi l'obiettivo degli Stati Uniti d'Europa con l'intento di fornire forza politica alla civiltà liberal democratica. Infatti, la strada ideale da percorrere è quella che farebbe degli Stati Uniti d'Europa una istituzione tesa ad estendere in tutti i paesi in cui i diritti della persona sono negati, un diritto sovranazionale di stampo liberal democratico.

Ad oggi, però, l'unico referente a cui il Partito Radicale può guardare è quello europeo. Il costo di una Europa delle 12 nazioni, quella della mancata integrazione, è molto elevato: le istituzioni nazionali non riescono più a fare fronte alla dimensione sovranazionale dei problemi urgenti, perché mentre i problemi sono reali le soluzioni sono vecchie ed inefficienti; del resto le istituzioni comunitarie non riescono a concepire un unico governo europeo almeno nelle competenze esclusivamente comunitarie.

La maggior parte dei partiti europei conviene di realizzare l'integrazione politica europea con poteri sovranazionali bilanciati e separati, ma il problema riguarda i tempi della sua realizzazione, in quanto così facendo si corre il rischio di non poter utilizzare, per finalità elettorali, gli strumenti di controllo sociale ed economico, oggi saldamente in mano ai partiti nazionali. L'europeismo, infatti, dovrebbe essere completamente svincolato dai condizionamenti politici ed economici dei vari paesi ed essere trasversale per tutti i partiti. Ma un partito transnazionale europeo non esiste. Forse il Partito Radicale può divenirlo: bisognerà in primo luogo rinunciare a concorrere alle elezioni politiche nazionali. Del resto, un partito non più direttamente concorrenziale sul piano elettorale, ma certamente ancora sul piano delle idee e delle iniziative politiche, può intraprendere la battaglia per la costruzione degli Stati Uniti d'Europa. Solo l'impegno totale e collettivo in questa direzione può consentire

il Partito di tentare e di rischiare: pertanto, la scomparsa del Partito radicale italiano resta una premessa insuperabile.

Se il Partito diventerà transnazionale e transpartitico uscirà non solo dallo scenario nazionale ma anche quello europeo.

Tale partito potrebbe comunque partecipare alle elezioni soatenendo i candidati o le liste nazionali che abbiano intenzione di fare propri i suoi obiettivi.

I suoi contenuti sono stati evidenziati già dai numerosi documenti del Partito Radicale, mentre le iniziative politiche dovrebbero concentrarsi in primo luogo sull'elezione del Parlamento Europeo, cui andrebbe poi il compito di redigere un nuovo progetto di trattato.

E' stata avanzata un ulteriore proposta che ipotizza la creazione di due partiti, uno radicale europeo, che non si presenterebbe se non ad elezioni europee, e non solo in Italia; l'altro, il partito del gruppo federalista europeo, avrà invece l'obiettivo di riformare il sistema elettorale in Italia ed avrà una struttura transpartitica.

PREMESSA

La Commissione incaricata dal segretario del partito radicale, su mandato del Consiglio federale, di analizzare i problemi connessi al la costruzione del partito radicale trasnazionale e di prospettare le alternative possibili su cui possa esprimersi il congresso del partito radicale convocato per la fine di ottobre del 1987, ha ritenuto necessario redigere un primo documento di lavoro su cui possa aprirsi il dibattito nelle varie istanze del partito. La raccolta dei diversi contributi consentirà alla commissione di redigere il documento di lavoro conclusivo da affidare alla valutazione del Segretario federale.

In particolare la Commissione non è stata investita dei problemi connessi all'attuazione di quella parte del mandato congressuale che impone ``l'investimento delle risorse finanziarie, organizzative e militanti necessarie per conseguire entro il prossimo congresso ordinario di novembre l'obiettivo di alcune migliaia di iscritti fuori d'Italia'', ma di quelli connessi alla costruzione del ``partito internazionale e internazionalista, laico e nonviolento, dei diritti umani, degli Stati Uniti d'Europa, del diritto alla vita e della vita del diritto, della lotta contro lo sterminio per fame, della difesa del pianeta dalle minacce e degli attacchi rivolti allo stesso equilibrio dell'ecosistema''.

PARTITO INTERNAZIONALE O EUROPEO

L'opzione indicata dalla mozione del 32º congresso del partito radicale è univoca: partito internazionale e internazionalista, senza limitazioni territoriali all'area europea.

A conferma di questa opzione possono essere invocati i deliberati congressuali dei congressi che si sono succeduti dal 1967, a partire da quello di Firenze: ``L'antinazionalismo e l'antiautoritarismo sono i punti di riferimento necessari perché questa lotta possa essere quella stessa (e non meramente collegata ad essa) che forti minoranze radicali conducono in tutto il mondo sia nelle società borghesi di democrazia politica, sia in quelle che vengono poste in primo piano dalla lotta antimperialista e anticapitalista dall'obiettivo dello sviluppo economico e della conquista di un'autentica e piena autonomia civile, sia nelle altre società di capitalismo di Stato, pur esse autoritarie''.

A partire da questo tipo di formulazioni, che muovendo da un'ottica nazionale individuavano una prospettiva internazionalista, come tale perciò non ``europeista'', e di cui invece il federalismo europeo era inteso come un momento particolarmente caratteristico, si è giunti ai due testi in cui questo indirizzo ha trovato la più compiuta sintesi, e che costituiscono punti di riferimento fondamentali del progetto di partito trasnazionale: il preambolo allo Statuto e il Manifesto dei Nobel.

L'indicazione fondamentale di questi due documenti, da questo punto di vista sta nella volontà che vi si esprime di porre a obbiettivo e metro del far politica, e perciò del costituirsi in forza politica, la difesa della persona in quanto tale e dei suoi diritti, e perciò del diritto come fine e strumento insieme, superando le barriere delle sovranità e dei diritti nazionali, intesi come potenzialmente o attualmente negatori del superiore diritto della persona. Tutt'uno con questo l'affermazione del diritto dovere a far politica, e perciò a costituirsi in parte politica, con lo scopo di governare i problemi veri e di fondo della nostra epoca nella consapevolezza che questo non possono essere affrontati sulla scala degli stati, delle politiche e dei partiti nazionali.

Alla luce di questa considerazione e d'altra parte in considerazione del rilievo assunto oggi dall'azione federalista europea nel pr, è opportuno precisare i rapporti fra la dimensione trasnazionale e quella europea. L'obiettivo degli Stati Uniti d'Europa ha oggi un valore politico e ideale radicalmente diverso da quello che aveva ai tempi di Cattaneo o durante la prima guerra mondiale, o da quello stesso che poteva avere alla fine della seconda guerra mondiale. L'Europa infatti era politicamente il mondo, e i grandi contrasti che scuotevano il mondo negando diritto e pace erano quelli che coinvolgevano gli stati nazionali europei. Allora quindi la battaglia per sconfiggere la dimensione della stato nazionale si combatteva cercando di superare gli stati nazionali europei.

Ormai non è più vero che la creazione degli Stati Uniti d'Europa (dell'Europa occidentale-atlantica: solo di questo realisticamente si parla) significhi creazione di diritto sovranazionale così come precedentemente inteso; né costituisce in alcun modo, di per sé, un passo in quella direzione. Gli stati nazionali europei sono già stati superati in realtà dalla loro riduzione a stati regionali, con tutti i limiti di impotenza, e dunque di assenza e semi-inesistenza politica, che ciò comporta. Non per nulla la riduzione dell'Europa occidentale a provincia dell'impero americano, perlomeno per quanto riguarda le decisioni strategiche, frazionata in stati regionali ha cancellato quei grandi antagonismi nazionali che rappresentavano i mali contro i quali si batteva il federalismo ``storico''.

L'europeismo prevalente ha oggi un valore eminentemente ``difensivo'': significa conquistare al popolo europeo un suo stato ``nazionale'' a dimensione adeguata a reggere il confronto internazionale, a tutelare i propri interessi, ad essere perciò una potenza nel mondo attuale. Adeguato, insieme, a realizzare in Europa una democrazia più compiuta che nei singoli stati regionali europei per la maggiore possibilità che in esso i cittadini europei avrebbero di determinare scelte ai livelli in cui le scelte importanti si prendono. In quanto tale, così, l'obiettivo federalista europeo è un obiettivo ``nazionale'' come, su scala minore, lo è quello di una più compiuta democrazia in Italia, e non un obiettivo trasnazionale, se di trasnazionale si dà l'accezione propria del Preambolo e del Manifesto dei Nobel.

I limiti teorici di tale impostazione sono stati del resto presenti in alcune iniziative adottate dal partito radicale con le proposte di adesione della Jugoslavia e perfino di Israele alla Comunità. Non si è trattato di proposte miranti all'allargamento e quindi al rafforzamento quantitativo dello ``stato'' europeo, ma piuttosto di tentativi di sfondamento e allargamento delle ambizioni federaliste europee. Europeismo cioè che vuole essere momento di scontro politico fra la concezione democratica-parlamentare e quella totalitaria, fra chi privilegia i diritti della persona e chi li sottopone gerarchicamente agli interessi dello stato, fra chi rivendica la necessità che il diritto non sia limitato dalle frontiere e chi difende la barbarie in nome della sovranità nazionale e del principio di non ingerenza.

Con queste correzioni sostanziali del federalismo europeo, il partito radicale trasnazionale può e deve quindi darsi darsi l'obiettivo degli Stati Uniti d'Europa, con la priorità che la sua portata comporta, allo stesso titolo - fatte le debite proporzioni - per cui si dà obiettivi di democrazia in Italia o a Napoli: perché gli Stati Uniti d'Europa sono necessari per dotare di forza politica i popoli di una delle poche aree del mondo dove è radicata la civiltà giuridico-politica liberal democratica, e per restituire o conquistare forza e dignità a questa civiltà.

Ma si tratta solo di una priorità determinata dalla rilevanza storica dell'obiettivo o invece quella europea, pur nella sua concezione aperta, è la dimensione obbligata del partito radicale trasnazionale?

Si pone infatti il problema di fondo che ostacola e ha sempre ostacolato la nascita di partiti trasnazionali o internazionali. I partiti politici tendono necessariamente a configurarsi, per le loro finalità costitutive, sulla misura delle istituzioni che mirano ad occupare o comunque ad influenzare e, per quelli in qualche misura a carattere rivoluzionario, sulla misura delle istituzioni che mirano a creare. Quale può essere quindi il referente dei partito radicale trasnazionale considerato quanto appaia irrealistico nelle condizioni attuali e in quelle prevedibili per i prossimi vent'anni incidere sensibilmente sulle Nazioni Unite perché diventino effettiva fonte di diritto sovranazionale?

Una possibile direttiva ideale, ma tutta da riempire di contenuti politici, e di cui non è possibile valutare la possibilità pur remota di successo, è quella prima evocata che farebbe degli Stati Uniti d'Europa una istituzione aperta a tutti quegli stati, a prescindere dalla loro posizione geografica e dalla loro base etnica, i quali vi aderissero sulla base di una piena accettazione di ordinamenti liberal-democratici. L'urgenza politica infatti non è solo quella di creare diritto sovranazionale nei paesi in cui, pur a livelli insoddisfacenti, vi è un sostanziale allineamento su alcuni principi democratici almeno teoricamente consolidati, ma piuttosto quella di affermare la prevalenza di un diritto sovranazionale liberal-democratico in aree del mondo, attigue all'Europa geografica, dove i diritti della persona sono violentemente negati.

Sta di fatto comunque che, a prescindere dalle valutazioni sulla possibilità o meno di condurre in porto nello spazio temporale di questa generazione una simile impresa politica, l'unico referente istituzionale non italiano cui oggi i radicali possano guardare è quello europeo, non tanto quello delle istituzioni comunitarie quanto quello disegnato dal progetto di Trattato dell'Unione europea approvato dal parlamento italiano. Per queste ragioni, senza voler escludere a priori la praticabilità politica di una federazione euro-africana ma ritenendo invece di dover respingere una concezione velleitaria di partito trasnazionale che pretenderebbe di potersi insediare politicamente e territorialmente, in modo indifferente, in Giappone piuttosto che nel Nord America non sulla base di un progetto politico ma di una semplice ambizione internazionalista, questo documento tiene conto fondamentalmente della sola dimensione europea.

IL COSTO DELLA NON-EUROPA

Il costo dell'Europa delle dodici nazioni, dei dodici bilanci e delle dodici politiche è ormai insostenibile.

In un documento del parlamento europeo redatto da Sir Catherwood si sostiene che il costo della ``non-europa'' può essere quantificato in molte centinaia di milioni di ecu all'anno se si valuta l'onere derivante dalla mancata apertura dei mercati pubblici, dalla mancata eliminazione dei controlli doganali ai confini intracomunitari, dalla mancata armonizzazione delle norme e degli standard, dagli effetti di scala sul prezzo di costo dovuti alle dimensioni ridotte dei mercati nazionali, dalla duplicazione delle misure di controllo e sorveglianza, dalla duplicazione dei programmi di ricerca e di investimento e dalla necessità di coprire i rischi di cambio nel caso di transazioni tra gli Stati della Comunità.

Ma il costo della mancata integrazione politica europea è ben più rilevante se si considera per esempio l'impossibilità di concepire una politica di sicurezza fondata su dodici bilanci della difesa, dodici Stati Maggiori, dodici apparati militari-industriali, dodici politiche estere. Oppure se si prende in esame l'impossibilità per i singoli paesi europei di dare soluzione al problema della disoccupazione a partire da dodici bilanci per la ricerca e per l'industria che si sovrappongono e si duplicano impedendo all'Europa di essere concorrenziale sul mercato internazionale con gli Stati Uniti e il Giappone nei settori avanzati dove è possibile creare nuova domanda occupazionale. E questo gap tecnologico dell'Europa si è sempre più allargato nonostante i paesi della Comunità spendano per la ricerca quasi il doppio rispetto al Giappone.

Ancora se si esamina l'impossibilità di concepire politiche ecologiche ed energetiche capaci di far fronte ai piccoli e grandi disastri ambientali dell'oggi e del domani e alla sfida energetica. Nella stessa misura in cui nessun singolo paese può garantire da solo la sicurezza e la pace, le risorse, le politiche e le istituzionali nazionali sono insufficienti e im potenti a fronteggiare per esempio una efficace difesa del territorio europeo dai disastri e dalle minacce chimiche, nucleari, sismiche ed idrogeologiche.

``Non c'è oggi alcun grande problema concernente l'economia, la moneta, il collegamento solidale del nostro sviluppo con quello dei paesi più poveri del mondo, la difesa, l'ecologia, lo sviluppo scientifico e tecnologico, l'universalità della cultura - affermava Altiero Spinelli - che possa essere ancora affrontato seriamente con criteri e strumenti nazionali''.

In modo speculare si assiste alla crisi delle istituzioni nazionali e comunitarie, dei partiti nazionali e delle internazionali dei partiti, del diritto nazionale e del diritto comunitario e internazionale in ragione della loro incapacità di far fronte alle urgenze politiche del momento. Il progressivo sfaldamento dei principi liberali della democrazia parlamentare e della divisione dei poteri a cui si assiste, seppur in misura diversa, in tutti i paesi europei in nome delle urgenze determinate di volta in volta dalla crisi economica, dal deficit delle finanze pubbliche o dal terrorismo rosso, irlandese o basco, rappresentano i sintomi più evidenti della incapacità delle istituzioni statali nazionali di far fronte alla nuova dimensione dei problemi. La riduzione progressiva dei poteri parlamentari che viene registrata in Italia come in Francia o nel Belgio, il trasferimento sempre più massiccio dei poteri legislativi all'esecutivo attraverso l'abuso del potere di decretazione o dei ``pouvoirs spèciaux'', sia

quando si realizza attraverso modifiche costituzionali o regolamentari, sia quando viene imposto forzando la legge, testimoniano almeno in parte l'impotenza delle istituzioni statali nazionali a far fronte alla dimensione sovranazionale dei problemi emergenti, da quelli economici a quelli determinati dalla criminalità o dal terrorismo, e alle influenze dello sviluppo tecnologico sui processi decisionali. I problemi sono infatti reali, ma le soluzioni adottate vecchie e inefficienti: alla reale necessità di trovare sedi internazionali di elaborazione del le politiche economiche, monetarie capaci di confrontarsi con la dimensione multinazionale delle maggiori imprese, comprese quelle criminali, si risponde con l'invenzione di sedi extraistituzionali di decisione politica, sottratte alla legge e al controllo democratico e per di più inefficaci, come il Consiglio europeo dei capi di governo o il vertice dei cinque-sette paesi più industrializzati o con la rinuncia, perlomeno teorizzata, da parte dello Stato di

intervenire sui processi economici; alla reale necessità di dotarsi di procedure decisionali capaci di rispondere con la rapidità imposta per esempio dai meccanismi monetari internazionali o dai sistemi di allarme nucleare, si risponde con il trasferimento progressivo dei poteri decisionali dal Parlamento e dallo stesso Governo alle autorità monetarie e militari.

Le istituzioni comunitarie sono del resto paralizzate dall'incapacità di concepire un unico ``governo'' europeo perlomeno nelle materie di competenza comunitaria. Gli ``egoismi nazionali'' e gli interessi dei grossi centri di potere economico e politico lo impediscono sistematicamente. Del resto questa ipotetica autorità sovranazionale non potrà mai essere legittimata democraticamente finché non potrà ricevere la fiducia da un Parlamento Europeo, quale unica espressione della sovranità popolare europea, dotato degli effettivi poteri d'indirizzo, controllo e legislativi. D'altronde il Parlamento europeo non potrà mai conquistare la capacità d'imporre il processo d'integrazione politica europea finché sarà composto da partiti privi di una vocazione europeista e soprattutto incapaci di rappresentare gli interessi dei gruppi sociali ed economici che si vanno riconoscendo o si possono riconoscere nell'Europa politica.

La crisi delle istituzioni comunitarie è quindi innanzitutto crisi e insufficienza di quel diritto comunitario rimasto incompiuto nei Trattati nonostante i tentativi evolutivi sanciti dalle sentenze della Corte di Lussemburgo. A questo ``deficit democratico'' tentò di porre rimedio il Parlamento europeo con il progetto di Trattato dell'Unione portato a termine nella precedente legislatura sotto la guida di Altiero Spinelli. Ancora in questa legislatura il PE ha denunciato la crisi istituzionale della Comunità fra l'altro con un documento in cui il ``deficit democratico'' viene definito dal relatore Michel Toussaint come ``il risultato del trasferimento a livello comunitario delle competenze appartenenti dapprima ai Parlamenti nazionali, trasferimento che non è stato accompagnato da un parallelo accrescimento dei poteri del parlamento europeo''.

LE RAGIONI PER LA COSTRUZIONE DI UN PARTITO TRASNAZIONALE PER GLI STATI D'EUROPA

La quasi completa maggioranza delle forze politiche europee, se si escludono i laburisti inglesi, una piccola formazione danese, i comunisti e i gollisti francesi, il Pasok greco e i Gruenen tedeschi, condivide la necessità di giungere all'Unione europea e cioè alla integrazione politica europea con la creazione di effettivi poteri sovranazionali bilanciati e separati. Del resto il progetto di Trattato dell'Unione fu approvato a larga maggioranza dal PE nella precedente legislatura con il voto contrario e l'astensione dei soli gruppi politici prima citati.

Così come l'opinione pubblica europea è, come dimostrano i sondaggi semestrali dell'``Eurobarometro'', nella sua grande maggioranza favorevole all'Unione europea.

Il disaccordo è invece pressoché totale sui tempi e modi per la realizzazione dell'Unione europea. E' quindi purtroppo fin troppo facile affermare che allo stato degli interessi e delle volontà politiche dei partiti dei paesi della comunità, a meno di eventi politici imprevedibili, non solo l'Unione politica europea non si realizzerà nei prossimi vent'anni, ma anche il modesto progetto di completa integrazione del mercato interno che dovrebbe essere realizzato, secondo l'Atto unico di Lussemburgo, entro il 1992, con molte probabilità fallirà.

Questa contraddizione fra enunciazione ed effettivo impegno federalista dei partiti dei paesi europei può essere in parte spiegata sulla base della incompatibilità fra gli interessi corporativi o nazionali rappresentati dai gruppi politici e il progetto di trasferimento di poteri alle nuove istituzioni europee. Il rischio di non poter utilizzare per finalità elettorali una parte degli strumenti di controllo sociale ed economico oggi saldamente in mano ai partiti nazionali raffredda ogni velleità europeista. Basti pensare alle conseguenze sui centri di potere politico nazionale dell'apertura alla concorrenza europea delle commesse pubbliche o il coordinamento comunitario delle sovvenzioni statali ai diversi settori economici. Un altro elemento di condizionamento antieuropeista è determinato non solo dagli interessi di quei gruppi economici ``parassitari'' rispetto allo stato nazionale, ma anche dalle grandi multinazionali europee che, se da una parte invocano la liberalizzazione del mercato europeo e degli sc

ambi, dall'altra preferiscono avere come controparte una Commissione e un Consiglio deboli e fortemente condizionabili, piuttosto che forti istituzioni comunitarie capaci di un effettivo controllo ed intervento sull'economia, magari anche intenzionate a stabilire ferree norme antimonopoliste.

Certamente tiepide verso ogni prospettiva di superamento dello stato nazionale sono quelle corporazioni sociali che prosperano sulle inefficienze e sugli assistenzialismi statali.

Di tutto ciò e di altro si accorse negli ultimi anni della sua vita Altiero Spinelli che da sempre aveva coltivato la convinzione che il processo d'integrazione fosse reso obbligatorio dalle dinamiche storiche e che fosse sufficiente operare all'interno delle istituzioni e dei partiti politici esistenti per far avanzare il progetto dell'Unione. Aveva invece escluso l'idea, peraltro da alcuni avanzata, che solo una forza politica e partitica costituita espressamente sul progetto dell'Unione potesse realizzare gli obiettivi del manifesto di Ventotene, e cioè l'integrazione politica europea nel corso della generazione uscita dalla seconda guerra mondiale. Solo nell'appello lanciato nel 1986 ai congressisti radicali perché si mobilitassero, come per il divorzio e l'aborto, sul progetto politico dell'Unione, Spinelli sembra rendersi conto che la sconfitta ``degli egoismi e delle burocrazie nazionali'' non poteva essere prodotta da quegli stessi partiti che di queste resistenze erano parte integrante, ma da una nu

ova aggregazione costituita ad hoc su questo progetto.

E' possibile quindi oggi affermare, alla luce delle molteplici esperienze europeiste in gran parte fallite, che le speranze di costruzione dell'Unione europea sono tutte affidate alla nascita di un partito che sia capace di assommare in sé quei diversi tratti politici che attualmente nessuna forza politica europea riesce a conciliare contemporaneamente al suo interno.

Questo partito dovrebbe innanzitutto ritenere che per la realizzazione dei propri obiettivi politici fosse essenziale e vitale la costruzione degli Stati Uniti d'Europa. L'europeismo non come possibile opzione insieme alle altre ma come ragione della propria essenza e sopravvivenza politica. Dovrebbe essere poi completamente svincolato dai condizionamenti economici e sociali di tipo locale e nazionale.

Dovrebbe avere insediamenti consistenti nei paesi della comunità e dovrebbe potersi candidare a rappresentare nel suo interno, almeno teoricamente, quelle componenti federaliste delle varie famiglie europee che non hanno forza per emergere. Insomma, come si usa dire a torto per i verdi, essere veramente trasversale rispetto a tutti i partiti. Dovrebbe quindi non rappresentare un pericolo di concorrenza sul piano nazionale ed elettorale per i partiti europei esistenti, rinunciando a priori a concorrere alle elezioni locali e nazionali.

Infine dovrebbe avere quella determinazione politica che solo movimenti di forte ispirazione religiosa hanno avuto nella storia.

PERCHE' IL PARTITO RADICALE TRASNAZIONALE EUROPEO

Questo partito trasnazionale europeo non esiste. Il partito radicale forse può decidere di divenirlo. E' l'unico partito nell'attuale schieramento europeo che può farlo.

Il partito radicale ha infatti maturato nel corso degli ultimi anni la convinzione che la forma istituzionale e lo strumento politico indispensabili per realizzare gli obiettivi che si era proposto, e che sono rimasti necessariamente incompiuti, sono rappresentati da una parte dagli Stati Uniti d'Europa e dall'altra dalla aggregazione in una nuova forza sovranazionale di coloro che ritengono priorità politica dei nostri tempi l'affermazione del ``diritto alla vita e della vita del diritto''. Si affermava nel manifesto dei Nobel che ``occorre quindi una nuova volontà politica e un nuovo specifico organizzarsi di questa volontà, che siano direttamente e manifestamente volti - con assoluta priorità - a superare le cause di questa tragedia e a scongiurarne subito gli effetti''.

La battaglia per una sicurezza attiva che faccia perno sulla riduzione delle minacce alla sicurezza rappresentate da una parte da quell'enorme polveriera costituita dai milioni di affamati e sottosviluppati e dall'altra dai regimi totalitari e dai loro processi decisionali di vita o di morte affrancati da ogni momento di contrattazione democratica, presuppone pregiudizialmente l'esistenza di istituzioni sovranazionali dotate di effettivi poteri e di un diritto sovranazionale, così come di una forza trasnazionale capace di promuoverli.

Così ancora la battaglia per la democrazia e il diritto in Italia sono destinate a fallire se non si fanno carico della crisi di democrazia e diritto che investe, in misura diversa, tutti i paesi europei a causa della incapacità delle istituzioni nazionali e delle poche istituzioni sovranazionali di dare risposta politica ai problemi economici e politici del momento.

Così ancora la controparte di una lotta all'inquinamento e per l'ecologia, che si faccia carico dei rischi delle centrali nucleari di Trino Vercellese come di Malville, degli impianti chimici del Reno come quelli di Genova, dell'inquinamento delle acque e atmosferico nel Mediterraneo o nei cieli d'Europa non può essere solo o più quella nazionale. A meno di concepire come richiesta possibile l'intervento armato del nostro paese contro quegli stati che continuano a costruire centrali nucleari, che inondano l'atmosfera di gas nocivi o scaricano nelle comuni acque del Mediterraneo prodotti inquinanti.

E' quindi essenziale e vitale, per la stessa sopravvivenza del partito radicale e dei suoi obiettivi così come sono stati indicati dalle mozioni congressuali, la lotta per la edificazione di sedi di diritto sovranazionale.

INTERNAZIONALE RADICALE O PARTITO TRASNAZIONALE

Un'altra condizione per concepire il partito trasnazionale europeo è costituita dalla esistenza di insediamenti consistenti nei paesi della comunità. Le due scelte possibili per realizzare questo obiettivo sono quella di una forma di federazione o di coordinamento al massimo livello di organismi politici ``radicali'' o invece quella che fa forza sulla creazione del ``partito internazionale e internazionalista, laico e nonviolento, dei diritti umani, degli Stati Uniti d'Europa, del diritto alla vita e della vita del diritto, della lotta contro lo sterminio per fame, della difesa del pianeta dalle minacce e dagli attacchi rivolti allo stesso equilibrio dell'ecosistema'', così come indicato espressamente dalla mozione approvata dal 32º congresso del partito radicale.

Nella misura in cui si ritiene che il partito trasnazionale debba, almeno teoricamente, essere trasversale non solo rispetto alla ``società civile'' ma anche rispetto alla ``società politica'' e quindi essere espressione, anche con la forma delle doppie tessere, delle diverse famiglie politiche, la seconda scelta appare obbligata. L'identificazione del partito trasnazionale nei diversi paesi europei con questa o quella forza ``radicale'' precluderebbe infatti ogni possibilità di guadagnare consensi all'interno delle diverse correnti d'opinione politiche e di divenire elemento possibile d'unità sugli obiettivi federalisti. L'essere del resto legati politicamente a gruppi politici nazionali in modo esclusivo e quindi finire per essere concorrenziali sul piano elettorale, aumenterebbe le difficoltà al fine di divenire ``secondo partito'' nei diversi paesi della comunità e ``primo partito'' europeo.

La seconda scelta appare obbligata anche se sui piano statutario possono essere trovate delle forme di collegamento federativo con organizzazioni che facciano propri gli obiettivi federalistici.

LE SCELTE POLITICHE

Per quanto riguarda il partito radicale di esclusivo insediamento politico ed organizzativo italiano così come si è configurato nel corso degli ultimi vent'anni, con la marginale eccezione belga, le scelte sono difficili e costose.

A meno che si voglia concepire un partito che è trasnazionale, secondo partito, negli undici paesi della comunità e invece a pieno diritto nazionale in Italia, la scelta di cedere, più o meno progressivamente, le attività che abbiano come ragione sociale l'affermazione di obiettivi esclusivamente nazionali, s'impone come obbligata. Così come la rinuncia a concorrere alle elezioni nazionali.

Bisogna del resto rilevare che alle considerazioni precedentemente avanzate a favore di questa scelta devono aggiungersi valutazioni attinenti alle prospettive di azione politica in Italia e alla stessa identità del partito radicale.

I margini di sviluppo politico in Italia di un partito che non ha mai voluto essere partito di rappresentanza di interessi sociali ed economici costituiti o di una area ideologica minoritaria e, soprattutto, che si è sempre proposto come portatore di ideali e di obiettivi potenzialmente maggioritari, riuscendo del resto in molte occasioni a porsi politicamente al centro del dibattito politico nazionale, si sono radicalmente compromessi e ristretti.

Condizione essenziale infatti, per un partito di queste caratteristiche, di non esser penalizzato rispetto alla sua rinuncia ai mezzi tradizionali di raccolta del consenso è la tutela della sua identità politica, la non espropriazione della sua storia politica e l'esistenza di opportunità democratiche che consentano di essere giudicato dall'opinione pubblica sulla base della rilevanza delle sue proposte piuttosto che sul peso elettorale e di potere acquisito.

Sono queste le condizioni che sono venute progressivamente a mancare in maniera sempre più clamorosa. Le ultime elezioni politiche e le vicende che le hanno segnate, sono la dimostrazione più eloquente dell'assenza di quelle condizioni essenziali d'esistenza per il partito radicale e in ogni caso per ogni forza che facciale stesse opzioni politiche.

Un partito che si era imposto al centro dell'opinione pubblica, prendendo in esame solo i primi sei mesi del 1987, con la sfida risultata vittoriosa dei diecimila iscritti, poi con l'imposizione della centralità dei referendum nello scontro politico, con l'azione che ha prodotto la sostanziale convergenza del partito socialista sulle tesi radicali relative all'unità laica e sull'abbandono della scelta energetica nucleare, l'assoluzione definitiva di Tortora e quella di Vesce, la gestione esclusivamente radicale della conclusione della legislatura e del confronto con il governo Fanfani, la promozione della campagna per il sistema elettorale uninominale, la formazione di liste elettorali che testimoniavano la con vergenza significativa e scandalosa di personaggi provenienti da lontani lidi politici, avrebbe ottenuto in qualsiasi altra condizione democratica un risultato ben superiore a quel modesto 2,6%.

Non è stato sufficiente infatti lo stanziamento di ben 6 miliardi non solo per tutelarsi rispetto alla sponsorizzazione di ``Cicciolina'', quanto per tutelare la nostra identità politica. I referendum sono scomparsi dalla memoria collettiva o sono divenuti socialisti e liberali, i verdi dell'ultima ora sono divenuti gli effettivi promotori in questi ultimi dieci anni delle battaglie politiche vincenti contro il nucleare e il disastro ecologico, il tema della giustizia su cui si era spaccata l'Italia politica e istituzionale è scomparso sotto le tette di Cicciolina. Questo ultimo tema non è stato ancora attribuito completamente ad altro partito per essere mistificato, solo perché per ora non ci sono candidati disponibili a rappresentare compiutamente la battaglia per la giustizia giusta e il partito socialista sembra ai più troppo interessato, per motivi strettamente contingenti, allo scontro contro le corporazioni dei magistrati. Se non si vuole essere destinati alla scomparsa prematura o al masochismo polit

ico s'impongono quindi a tempi brevi scelte radicali. Una scelta possibile è quella di garantirsi con mezzi diversi da quelli disegnati dalla Costituzione, che vorrebbero che a tutti i partiti fosse consentito di concorrere con uguali opportunità al governo del paese, la tutela della propria identità politica e storica e le opportunità di essere oggetto di giudizio da parte del paese.

Deve a questo proposito essere chiaro che, a meno di voler ridisegnare per il partito radicale un angusto spazio politico consapevolmente minoritario che possa essere accettato, perché non più pericoloso, dai gruppi di potere, la tutela della propria identità politica comporta la scomparsa, in una prospettiva molto breve, del soggetto politico italiano autonomo ``partito radicale'' contro cui lo sbarramento è divenuto praticamente totale e, d'altra parte, il tentativo di realizzare nuove e diverse presenze politiche a partire dalle possibilità di alleanze costruite negli ultimi due anni.

Un partito non più direttamente concorrenziale sul piano elettorale, ma certamente ancora sul piano delle idee e delle iniziative politiche, può allora, forse, intraprendere quella battaglia per la costruzione degli Stati Uniti d'Europa, come mezzo e forma indispensabili per l'affermazione degli obiettivi politici prioritari individuati dalle mozioni congressuali a partire dal 1980.

Bisogna infine riaffermare quello che in vent'anni di storia radicale è sembrato quasi un dogma: la monotematicità del partito radicale. Illudersi che oggi la costruzione del partito trasnazionale possa essere realizzata part-time, con la prosecuzione delle attività specifiche nazionali radicali è una velleità pericolosa che sottintende la riserva mentale e politica sul progetto trasnazionale. Solo l'impegno totale e collettivo del partito in quella direzione può consentire di tentare e di rischiare. La ``scomparsa'' del partito radicale italiano è quindi premessa insuperabile.

PARTITO O NON PARTITO?

Rispetto allo scenario prefigurato nei tre precedenti paragrafi si possono peraltro sollevare, e sono stati variamente sollevati durante i lavori della commissione, alcuni rilievi, perplessità e riserve.

Se la che si sceglie è quella del partito insieme trasnazionale e transpartitico, ponendo entrambe le qualifiche come fondamentali e irrinunciabili, la conseguenza inevitabile - per le ragioni stesse sopra illustrate - è la fuoriuscita del partito in quanto tale non solo dalle istituzioni nazionali ma anche da quelle stesse europee. Se è vero che per creare e consolidare un partito transpartitico occorre eliminare la preoccupazione negli altri della concorrenza elettorale (come dimostra l'esperienza delle ultime elezioni italiane: gran parte del patrimonio transpartitico accumulatosi nella campagna dei diecimila iscritti sembra essersi di fatto, se non formalmente, dileguato, almeno come dato politico vivo e incisivo), allora la necessità di non presentare liste del partito vale per le elezioni europee allo stesso titolo che per quelle nazionali, dato che i partiti nazionali si presentano alle europee.

Bisogna essere consapevoli che perseguire con coerenza questa scelta significa rinunciare, per la forza trasnazionale che si crea, alla forma e ai caratteri specifici del partito, anche se si continui (ma a che pro, allora?) a usare il termine di ``partito''. Anche rifiutando infatti la pretesa dei partiti partitocratici e ideologici di essere solo essi riconosciuti come partiti, non si può negare che è proprio del partito - organizzazione di una ``parte'' politica, dunque in contrapposizione, dunque in concorrenza con altre ``parti'' - il perseguire i propri obiettivi con una gamma di mezzi e iniziative che comprendano, almeno potenzialmente, il concorrere in proprio alla conquista dei poteri pubblici, candidandosi a raccogliere ed esprimere la volontà dei cittadini che si riconoscono nella sua politica, candidandosi a governare. Certo un partito rimane tale se in determinate occasioni, per determinati motivi, rinuncia a questa funzione; ma non se strutturalmente se la preclude (Non occorre spiegare perché

la questione è del tutto altra dal dilemma ``movimento o partito?'' quale tradizionalmente veniva posto al partito radicale).

La decisione e la scelta s'impongono: quello che occorre e che vogliamo costruire è un partito trasnazionale o un nuovo, più vivace ed efficace e combattivo movimento federalista europeo con vocazione e ottica trasnazionale, impegnato a suscitare, muovere, coordinare ed appoggiare energie federaliste e radicali all'interno dei partiti nazionali, ai quali rimanga il monopolio della funzione di candidarsi a governare?

La scelta del non-partito - quale, in sostanza, è ipotizzata nei paragrafi precedenti - comporta un ripensamento profondo di tutte le modalità di azione radicale, e non solo per quel che riguarda il rapporto fra dimensione nazionale e trasnazionale. La questione diventa come, dove, con quali strumenti d'azione trovare i necessari dati di ``forza'' quando si rinunci ad avere forza autonoma nelle istituzioni. Il punto di riferimento diventa in primo luogo quello dell'esperienza radicale prima del 1976; che è peraltro la stagione delle vere e maggiori vittorie (divorzio, aborto, obiezione di coscienza, voto ai diciottenni...). E quasi più che al PR come tale il pensiero va alla LID, o piuttosto al rapporto PR-LID. Quanto, in che modi, quelle formule sono rinnovabili oggi su scala trasnazionale?

Se invece si sceglie di puntare effettivamente a un ``partito'' trasnazionale (non abbandonando certo, ma mettendo in secondo piano, come un elemento importante, fecondo, ma pur sempre aggiuntivo, la realizzazione del carattere transpartitico, secondo quella che è stata sempre finora la scelta operata dal PR) le conseguenze per quanto riguarda la partecipazione alle elezioni non possono essere rigide e definite una volta per tutte.

In quest'ottica può essere giusta e necessaria la rinuncia oggi alla presenza elettorale in Italia; ma non per una ragione teorica e di ordine generale, quale la tesi che un partito trasnazionale non debba per principio presentarsi alle elezioni nazionali o anche amministrative.

Come escludere in via di massima che il modo vero di dar forza alle battaglie trasnazionali sia di radicarle e impiantarle nei luoghi in cui oggi si trovano i poteri politici decisionali, cioè le sedi istituzionali nazionali? Il discorso può valere certo per l'oggi, in ragione di una valutazione delle forze disponibili (impegnare sul piano italiano gran parte delle poche energie disponibili non taglia le possibilità di un impegno trasnazionale effettivo?) o in ragione della necessità di dare autenticità, vigore interiore e credibilità, in primo luogo per i radicali, ma poi anche all'esterno, alla monotematicità trasnazionale del PR. Ma è altra cosa.

Né pare poi applicabile la teoria, che abbiamo agitato senza mai approfondirla, secondo cui ogni partito dovrebbe avere un solo ambito di presenza istituzionale, corrispondente alla sua ragione sociale programmatica (il partito costituito su obiettivi di carattere nazionale si presenta alle elezioni politiche nazionali, mentre alle amministrative si presentano solo liste civiche, e ora alle europee partiti a carattere europeo). Abbiamo cercato di applicarla promuovendo le liste verdi come liste civiche, ma è fallita quando - con nostro contraddittorio incoraggiamento - i verdi si sono presentati alle politiche. La dinamica ``naturale'' dei partiti, salvo eccezioni particolarissime, non generalizzabili, come quella radicale è altra; e non per nulla non si danno esempi di dinamiche corrispondenti a quella teoria nei paesi di democrazia classica. Anche senza riferirsi all'esperienza dei partiti partitocratici italiani, si pensi ai partiti anglosassoni, specie statunitensi, che sono insieme ``partiti della conve

ntion'', partiti federali e partiti di stato eccetera, in modo molto laico. Essere parte politica significa candidarsi a governare una società. Quanto è possibile farlo rinunciando a priori a governare l'uno o l'altro livello istituzionale rappresentativo? Va certo considerato che il partito trasnazionale cui pensiamo non è un partito di per sé europeo, e come tale non è assimilabile senz'altro ai partiti americani né a nessun'altra forza politica esistente. Ma questo nulla toglie alla sostanza del discorso: le multinazionali hanno pure le loro consociate o filiali nazionali.

E' bene aggiungere che anche nell'ipotesi della costituzione di un vero e proprio ``partito'' trasnazionale, disponibile a una presenza elettorale a seconda delle circostanze, rimane valido quanto sostenuto nel precedente paragrafo ``internazionale radicale o partito trasnazionale'': anche a non dare priorità al l'istanza transpartitica, e correndo dunque il rischio della creazione di una forza concorrente con gli altri partiti, la strada della federazione o coordinamento degli organismi ``radicali'' già esistenti (ma quanti sono, poi?) non porterebbe al risultato di costituire una vera forza politica trasnazionale con quelle priorità, quei modi di essere partito che per parte nostra abbiamo prospettato.

Sempre riproponendo il modello di azione della LID, il partito trasnazionale transpartitico potrebbe partecipare al momento elettorale sostenendo quei candidati o quelle liste nazionali che facessero propri i suoi obiettivi. Nulla escluderebbe, in via di principio, la possibilità di sostenere anche candidati radicali che si presentassero in altre liste, in liste di accordo elettorale o in liste ``radicali'', anche se con simbolo diverso da quello del partito trasnazionale. Appare però difficile, sia dal punto di vista politico che organizzativo, che gli stessi dirigenti del partito trasnazionale possano presentarsi con una lista sostanzialmente riconoscibile, a parte il simbolo, come tradizionale lista di partito con un programma elettorale nazionale. Più accettabile potrebbe essere il sostegno a una lista radicale che avanzasse solo programmi trasnazionali. Ma a prescindere dalle molte ipotesi che si possono concepire, rimane, al fondo, il problema della compatibilità fra impegno su battaglie di carattere i

nternazionale e i vincoli di una presenza nelle istituzioni nazionali. Un esempio per tutti: la battaglia antiproibizionistica sulla droga. Appare infatti difficile comprendere come gli stessi dirigenti impegnati a suscitare nei diversi paesi del mondo il dibattito sul proibizionismo al fine di creare diritto positivo trasnazionale, possano contestualmente avere una presenza politica significativa nelle istituzioni nazionali. A meno di voler riproporre la strategia adottata, almeno nella sua seconda fase, nel corso della campagna contro lo sterminio per fame. Ritenere cioè che la mobilitazione internazionale possa essere suscitata a partire da un atto di governo di un solo paese. Ma a prescindere dalle considerazioni sul fallimento di questa strategia nel caso specifico della battaglia contro la fame, non si comprende perché allora si dovrebbe creare un partito trasnazionale che opera principalmente in un paese piuttosto che un partito nazionale con obiettivi trasnazionali.

QUESTO PARTITO RADICALE PUO' DIVENTARE TRASNAZIONALE?

Un altro problema si pone, su un altro piano, e la Commissione ne ha discusso: se indubbiamente il PR è l'unico partito dell'attuale schieramento europeo che abbia interesse e vocazione alla costituzione di un partito trasnazionale ed europeo, è poi esso in grado di diventare lui, direttamente, questo partito? I dubbi sono legittimi. In primo luogo perché è molto difficile che un organismo diventi, e rapidamente, profondamente altro da quello che è stato ed è; non si violenta impunemente la natura di un organismo probabilmente una parte non secondaria del partito - degli iscritti e della classe dirigente - difficilmente potrebbe e vorrebbe far propria una totale conversione ``sovranazionale''. Inoltre e soprattutto pare molto arduo che un partito o un movimento trasnazionale possa sorgere per semplice ampliamento di un partito nazionale perché l'impresa abbia speranza di successo occorre un nucleo promotore che sia credibile ed autorevole rispetto a quell'obiettivo. Occorre perciò un nucleo promotore che in

primo luogo non sia nazionale, e che sia chiamato non ad aderire a una realtà già definita e preconfezionata, ma a progettare insieme l'impresa. L'attuale PR può prendere l'iniziativa, lanciare l'appello, la prima spinta per la costituzione di questo nucleo. Può mettere a disposizione le proprie strutture, i propri mezzi politici, organizzativi e finanziari, il proprio futuro: o con la decisione di non presentarsi più comunque alle elezioni nazionali italiane, scommettendo così tutto senza riserve sulla creazione del nuovo partito trasnazionale, stimolando radicalmente le energie dei militanti e dirigenti in questa direzione; o prendendo l'impegno a risolversi nel nuovo partito, e a rinunciare a tutte le proprie prerogative nazionali nel momento in cui questo effettivamente nasca. Ovviamente la credibilità della decisione sarebbe molto maggiore nel primo caso; come anche i rischi.

In quest'ottica le decisioni organizzativo-statutarie effettive devono essere funzionali a questo carattere ``promotore della promozione'' da assegnare per questa fase al PR; salvo stendere anche uno statuto-manifesto come quello del '67. Ma più funzionale allora sarebbe formulare quest'ultimo non nella veste di uno statuto definito ma come una carta dei principi statutari da proporre come oggetto di discussione e approfondimento, strumento e momento dell'opera di promozione del nuovo partito.

E' praticabile questo indirizzo? Esistono, sono identificabili ad oggi interlocutori fuori d'Italia che possano essere interessati a fare da copromotori, in modo adeguato per capacità, impegno, autorevolezza, di questa impresa? O, se no, come individuarli?

L'alternativa a questo indirizzo è quella che si è finora, più che perseguita, detto di voler perseguire: la ricerca delle adesioni all'esistente. E' la strada dell'adesione al movimento di sostegno all'iniziativa prevalente di Marco Pannella; quella sulla quale si è mosso sempre il PR dal 1963. Fin dall'origine però un gruppo dirigente italiano intorno a Pannella c'era con sue capacità effettive di dare un apporto di elaborazione e d'iniziativa; oggi anche questa premessa minima manca sul piano non italiano. Esiste, al di là della raccolta di semplici iscritti-sostenitori di base, o di iscritti, magari ``pesanti'' ma di mera solidarietà, qualche possibilità di aggregazione effettiva di energie dirigenti con questa modalità?

In realtà il dilemma rischia di essere un po' quello fra Scilla e Cariddi. Da una parte sembra impossibile creare un movimento trasnazionale che non sia promosso, e pensato, da un gruppo dirigente trasnazionale i cui membri siano in pieno corresponsabili del suo concepimento. Dall'altra l'esperienza ci ha insegnato che intorno al nucleo radicale una aggregazione di questo tipo non si realizza, che le aggregazioni solide, durature intorno alla politica radicale si hanno solo da parte di chi accetti d'inserirsi senza riserve nel modulo politico, culturale, organizzativo e carismatico radicale.

In conclusione è possibile concepire una sola, difficile, strada che non consente ritorni: l'investimento delle migliori energie del partito su una campagna politica trasnazionale, da gestirsi in tre o quattro paesi europei, per una durata di almeno un quinquennio, che possa aggregare intorno a sé un nuovo gruppo dirigente non esclusivamente italiano.

LE SCELTE STATUTARIE

Senza voler sconfinare nei compiti della commissione appositamente costituita per la revisione del regolamento, è necessario a questo punto indicare a grandi linee quali sono le conseguenze statutarie delle opzioni fin qui proposte.

Bisogna premettere a questo proposito una considerazione preliminare. Senza infatti entrare nei dettagli normativi, sembra che l'impianto generale del recedente statuto del 1967 in articolate per quanto riguarda l'annualità, la monotematicità e la caratteristica di partito del congresso, l'organizzazione federativa e libertaria, ben si adattino alle esigenze avanzate precedentemente.

Il partito europeo trasnazionale che aspiri ad avere iscritti nei diversi paesi europei, ognuno con storie e culture e lingua differenti, il partito delle doppie tessere, non può che essere il partito del congresso annuale, il partito della convenzione europea annuale, dove vengono definiti uno o due obiettivi comuni e vincolanti per gli iscritti e le organizzazioni federate, tutelando d'altra parte le diverse collocazioni politiche nazionali dei soggetti radicali.

Come del resto è già stato affermato nelle norme transitorie approvate nel precedente congresso, le entità organizzative non dovrebbero avere caratteristica nazionale o territoriale. In relazione al tipo di scelta sul modo di essere partito si dovrebbe poi escludere tassativamente o consentire la possibilità di utilizzazione del simbolo radicale nelle elezioni nazionali ed europee.

Le opportunità di convergenze organiche non esclusive con forze politiche, gruppi parlamentari o associazioni politiche dovrebbe poter essere garantita con meccanismi e strutture federative a condizioni onerose sia dal punto di vista politico che finanziario. Mutuando in qualche modo la struttura organizzativa di una multinazionale, le condizioni per un rapporto federativo con il partito radicale trasnazionale dovrebbero essere individuate non solo nell'adesione ai fini societari ma anche nella partecipazione al capitale sociale. L'entità di questa ultima partecipazione finanziaria determinerebbe il livello di rappresentanza nell'organo federativo vicario del congresso.

Le due prime entità federate al partito trasnazionale sarebbero così i gruppi federalisti della Camera e del Senato, che acquisirebbero una piena autonomia politica ed organizzativa.

Il trasferimento della sede della segreteria in una capitale europea diversa da Roma, al di là del puro carattere simbolico, s'imporrebbe per evidenti necessità organizzative.

Il problema infine della iniquità dell'unica quota d'iscrizione, che non può certo essere identica in paesi con diversi tenori di vita, potrebbe essere risolto agganciando la quota minima d'iscrizione annuale ad una percentuale stabilita del PIL pro capite del paese in cui risiede l'iscritto (per esempio un centesimo del PIL pro capite, che corrisponderebbe in Italia a 148.000 lire, in Portogallo a 74.000 lire, in Grecia a 92.000 lire, in Danimarca a 199.000 lire, in Jugoslavia a 27.000 lire... e nel Burkina Faso a 2.000 lire).

Un terreno tutto da esplorare è invece quello relativo al finanziamento del partito trasnazionale e alla sorte degli attuali ``soggetti autonomi'' del partito, in particolare di Radio Radicale. Se infatti è ipotizzabile che il gettito proveniente dall'iscrizione di circa 15-20.000 iscritti potrebbe probabilmente coprire le spese d'iniziativa politica, tutto da risolvere è il problema delle spese d'impianto del PR trasnazionale e della rinuncia alle quote di finanziamento pubblico. La non presentazione di liste con la dicitura partito radicale comporterebbe la perdita del finanziamento pubblico e l'impossibilità per Radio Radicale di accedere ai benefici della legge sull'editoria. Per quanto riguarda le infrastrutture di servizio necessarie al PR trasnazionale si può ipotizzare che, in via transitoria, i gruppi parlamentari federalisti del la Camera e del Senato potrebbero destinare i fondi del finanziamento pubblico per la conversione delle attività dei soggetti autonomi (centro editoriale europeo; struttura

telematica; etc.). Ma per la fine dell'attuale legislatura del parlamento italiano dovranno essere concepite forme di finanziamento e di autofinanziamento del tutto nuove.

I CONTENUTI E LE INIZIATIVE POLITICHE

Se l'ipotesi statutaria prima ipotizzata può fornirci la cornice organizzativa all'interno della quale potrebbe operare il partito radicale trasnazionale, risposte altrettanto complesse e nuove dovrebbero essere fornite al seguente quesito: attraverso quali contenuti ed iniziative politiche si può costruire il partito radicale trasnazionale in Europa.

I contenuti politici sembrerebbero già individuati nei numerosi documenti del partito radicale: costruzione degli Stati Uniti d'Europa, lotta contro lo sterminio per fame, ``affermazione di coscienza'' e proposizione di una nuova concezione difensiva, difesa e promozione dei diritti della persona nei paesi totalitari, difesa dell'ecosistema.

Più difficile è scegliere gli obiettivi politici a breve termine e le iniziative politiche necessarie per realizzarli.

a) Stati Uniti d'Europa

L'orientamento attualmente adottato dal gruppo radicale al PE è quello di affermare l'obiettivo della attribuzione al parlamento Europeo, che sarà eletto nel 1989, dei poteri costituenti degli Stati Uniti d'Europa. Al PE dovrebbe quindi essere affidato il mandato di redigere, nella prossima legislatura, un nuovo progetto di Trattato, sulla base di quello già approvato dal PE nella scorsa legislatura, che dovrebbe essere ratificato direttamente dai Parlamenti nazionali. Questo nuovo Trattato dovrebbe prevedere anche lo status per i paesi che decidessero di non aderire all'Unione politica europea.

Se la maggioranza del PE è formalmente d'accordo su questa posizione, che viene almeno in parte recepita dalla risoluzione presentata dal deputato belga Hermann che è stata approvata dall'Assemblea di Strasburgo, dissensi profondi si registrano sulle scelte politiche necessarie per raggiungere tale obiettivo.

Il gruppo radicale e i federalisti sostengono che allo stato dei rapporti di forza le istituzioni comunitarie non sono in grado di accordarsi su tale impegno. Solo una forte spinta popolare potrebbe costringere i Governi nella direzione auspicata. In particolare si ritiene a questo fine essenziale l'indizione di referendum consultivi nei diversi paesi europei con il preciso quesito sull'Unione europea e sull'attribuzione al PE dei poteri costituenti.

La proposta di referendum si scontra però con molte ostilità di ordine politico ed anche giuridico. Numerosi partiti attualmente al potere sono nettamente contrari a tale ipotesi (i conservatori inglesi per esempio), così come in molti paesi europei non esiste né l'istituto né la prassi referendaria (Paesi Bassi, Repubblica Federale di Germania, Portogallo e Belgio). Vi sono poi paesi in cui la prassi referendaria è nulla (Grecia e Lussemburgo) ed altri dove non esiste l'istituto del referendum consultivo (Italia). Allo stato è quindi prefigurabile la possibilità di avviare iniziative per l'indizione del referendum in Spagna, Francia, Danimarca, Irlanda e probabilmente in Italia. Per gli altri Paesi è necessario preliminarmente avviare iniziative per il recepimento dell'istituto che non sembrano alla portata delle forze schierate dai federalisti radicali e non.

Queste prime osservazioni suggeriscono una riflessione aggiuntiva sulla necessità di prevedere la concentrazione dell'iniziativa politica radicale, almeno in una prima fase, ad alcuni paesi in cui esistono seppur minime presenze radicali, sono già state avviate iniziative politiche ed esistono minori difficoltà linguistiche. Francia, Belgio e Spagna ed evidentemente Italia rispondono a questi criteri, mentre in Grecia si deve verificare, anche a partire dall'iniziativa programmata ad agosto a sostegno dell'obiettore Maragulis, i margini di praticabilità politica per il PR.

Sempre nel contesto europeista bisogna registrare ii tentativo di Marco Pannella di promuovere una ``convenzione'' degli intellettuali europei per gli Stati Uniti d'Europa.

Sul piano delle iniziative nei Parlamenti nazionali e nel Parlamento Europeo...

b) Nuova concezione difensiva

c) Lotta contro lo sterminio per fame

d) Difesa e promozione dei diritti della persona nei paesi totalitari

e) Difesa dell'ecosistema e nuovo modello di sviluppo

SCELTE ORGANIZZATIVE

Di quali strumenti dotarsi per realizzare una presenza significativa del partito radicale nei paesi europei e, soprattutto, quali canali di comunicazione intraeuropei?

Il primo problema ``organizzativo'', ma in effetti connesso strettamente alla stessa concezione del partito trasnazionale, è quello della comunicazione. Si tratta non solo di superare le enormi difficoltà costituite dall'esistenza di 9 lingue comunitarie, ma soprattutto d'individuare gli strumenti di comunicazione privilegiati per la trasmissione delle informazioni del e sul partito e per la comunicazione e informazione nel partito. Limitandoci al secondo aspetto del problema, il partito che è stato negli anni '60 il partito postale, poi, per un brevissimo lasso di tempo il partito del quotidiano Liberazione, ed infine, a partire dalla metà degli anni '70, il partito radiofonico, deve fare una identica scelta per quanto riguarda il partito trasnazionale. Questa inciderà profondamente sulla natura e sulla stessa composizione del partito.

Le opzioni possibili sono le seguenti:

a) Scelta privilegiata della comunicazione scritta

b) Scelta privilegiata della comunicazione radiofonica

c) Scelta privilegiata della comunicazione telematica

PROGETTO FINANZIARIO

Qual è il costo delle singole fasi di costruzione del partito trasnazionale e quali le fonti possibili di finanziamento?

DUE PARTITI

Nell'ambito della Commissione è stata avanzata anche una ulteriore opzione sintetizzata come segue da chi l'ha proposta.

E' ipotizzabile che il partito dei diecimila e, a questo punto, di quasi ventimila fra gli iscritti dell'86 e dell'87, abbia energie sufficienti per realizzare progetti politici paralleli. La campagna per la salvezza del partito radicale ha parlato all'intelligenza di migliaia di persone ponendo loro in vivo il problema della democrazia nel nostro paese e liberando le coscienze dei cittadini dal ricatto del partito cui si appartiene per la vita e per la morte. I risultati elettorali hanno, in questo senso, parlato chiarissimamente di una laicizzazione del voto e di una recuperata libertà di consenso alla politica piuttosto che al sistema dei partiti. Le iscrizioni che ci sono state ``riconosciute'' sono state fatte per la più parte allo scopo di salvare questo partito in questo paese. Chi si è iscritto molto spesso ha aderito non in ragione di uno statuto, ma di una campagna a carattere transpartitico.

Con la campagna elettorale abbiamo confermato che chiedevamo il voto per uno schieramento che si è determinato e che oggi mette in crisi di identità la Democrazia cristiana e i comunisti.

A questo va aggiunto che il partito radicale ha preso impegni precisi con gli elettori oltre che con i propri nuovi iscritti. E gli impegni presi riguardano la riforma del sistema elettorale e di conseguenza dei partiti e la creazione di uno schieramento che abbia la forza di essere una alternativa politica autentica al cattocomunismo.

Per quello che ci riguarda in senso statutario stretto il nostro partito ha oggi una ``carta'' informe e difforme in molte sue parti e un corollario a tutto, che ne costituisce anche la premessa, e che è il preambolo. Il preambolo allo statuto è a tutti gli effetti il ``principio'' del partito nonviolento. Il partito radicale pratica due gradi di nonviolenza: la nonviolenza ``passiva'' per la quale basta un alto grado di civiltà e di democrazia oltre che di tolleranza e di senso ragionato delle opportunità, valori questi che appartengono alla nostra tradizione e alla nostra cultura europea; e la nonviolenza ``attiva'', ovvero il ``non uccidere neppure per legittima difesa''.

Se pure il preambolo - come qualcuno dice - è cosmopolita piuttosto che trasnazionale, esso rappresenta e manifesta un'anima radicale che deve a pieno diritto poter scegliere e praticare propri percorsi politici. Con un chiarimento di partenza che non può però essere né mascherato né omesso e, cioè, che chi sceglie questa strada deve poterlo fare non come condizione preposta alla sua adesione alle battaglie radicali, ma come opzione ulteriore, quasi un atto di consapevolezza aggiuntivo che deve lasciare praticabili a pieno titolo anche altre strade ``radicali''. Questa libertà aggiuntiva si ottiene in un solo modo: operando una scissione delle tessere, degli statuti, delle mozioni. Queste due strade devono dunque consentire l'esistenza piena e consapevole delle due ``anime'' del partito radicale in una scelta che possa prevederle entrambe o alternative l'una all'altra.

Due tessere, dunque, per due partiti che si danno mozioni e statuti differenti e che perseguono obiettivi politici chiaramente ed inequivocabilmente complementari ma paralleli. Il primo partito (solo in ordine di descrizione) si potrebbe continuare a chiamare radicale - conservando dunque la denominazione - ma avrebbe un simbolo diverso atto ad immediatamente evocare i caratteri politici del preambolo allo statuto: nonviolenza attiva fino al non uccidere neppure per legittima difesa. Questo partito avrebbe organi propri, propri iscritti fra coloro che consapevolmente ne scegliessero i principi fondatori perseguirebbe senz'altro obiettivi di politica trasnazionale (referendum consultivi sugli Stati Uniti d'Europa; campagna per un presidente degli USE; poteri costituenti al Parlamento Europeo; affermazione di coscienza; lotta allo sterminio per fame; normativa europea per il deproibizionismo della droga; spazio giuridico europeo; diritti nell'est; nucleare e quant'altro).

Il secondo partito è il partito del gruppo federalista (ed) europeo ed ha come simbolo la rosa nel pugno; esso ha come obiettivo la riforma del sistema elettorale in Italia ed una struttura transpartitica; farà campagna d'iscrizioni autonomamente e sul proprio progetto; tenderà ad avere, nei propri organi, responsabili di altri partiti; preparerà un suo congresso a scadenza ravvicinata al momento della scissione aprendo così un'area di partecipazione politica autentica sul progetto della riforma elettorale.

Il primo partito (radicale europeo) non si presenta se non ad elezioni europee, se è possibile, non solo in Italia. Il partito del gruppo federalista non presenterà, in linea di massima, il proprio simbolo mai, giacché il suo scopo sarà quello della presentazione di uno schieramento. Se la caratterizzazione del partito radicale (europeo) è il preambolo, il carattere del partito del gruppo potrebbe essere l'articolo 49 della Costituzione.

E' evidente che mentre il destino del partito radicale (europeo) è quello di diventare il primo partito in Europa, il destino del partito del gruppo è quello di vivere come secondo partito fino alle elezioni della riforma uninominale. E cioè, sostanzialmente e come è indicato nella Costituzione a proposito dei partiti politici, come una associazione di cittadini che liberamente si organizzano per perseguire un obiettivo, esaurito il quale possono darsene altri o tornare a differenti occupazioni.

S'intende cioè dire che il partito del gruppo, se le cose vanno nel senso della riforma e delle elezioni con voto uninominale, non avrà alcuna necessità di presentare liste proprie, ma si presenterà all'interno dello schieramento.

E' forse possibile prevedere che nel prossimo anno perderemo un congruo numero di tessere e d'iscritti che avevano concepito una ``una tantum'' democratica a favore del partito radicale.

L'ipotesi dei due partiti può aprire grandi margini ad una tenuta sostanziale sul numero degli iscritti e, soprattutto, sulla libertà di ognuno di scegliere, senza sentirsi sminuito a radicale di seconda categoria, il progetto e il grado di nonviolenza che si sente pronto a ``giocare''.

E' possibile anche immaginare che un numero maggiore di iscritti sceglierà il partito del gruppo e che quindi questo avrà maggiori risorse finanziarie soprattutto se stringerà convenzioni varie con i partiti dello schieramento (a questo proposito vorrei suggerire un uso di Radio Radicale che sia esteso, appunto, allo schieramento anche nell'ordine delle spese e dei profitti).

E' forse immaginabile che, allora, il finanziamento pubblico vada al partito radicale (europeo) per consentirgli di decollare e di darsi propri strumenti d'informazione e d'intervento che non potranno certamente essere monolingua ma che dovranno fronteggiare questo gap.

 
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