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Friedman Milton, Friedman Rose - 1 maggio 1987
Droga: che fare?
di Milton Friedman

SOMMARIO: Partendo dalla convinzione che la riduzione dell'intervento pubblico promuove il benessere sociale, il premio Nobel dell'economia Milton Friedman contesta l'utilità sociale e la convenienza economica del proibizionismo delle droghe. La legalizzazione del mercato delle droghe è resa urgente dalla pericolosità della narco-criminalità e dall'esigenza di sollevare la polizia e la magistratura da una guerra perduta in partenza. Si libererebbero così risorse da utilizzare per combattere le altre forme di criminalità.

Criminologi ed altri hanno formulato molti suggerimenti per modificare le procedure per arrestare i criminali, incriminarli, dimostrarne la colpevolezza, giudicarli, incarcerarli eccetera. Molti hanno sollecitato un controllo sulle armi da fuoco e le altre armi per limitare la loro disponibilità. Non abbiamo le competenze richieste per discutere questi suggerimenti. Invece possiamo limitarci a commentare quegli aspetti del problema che sono legati al nostro tema generale dell'importanza della riduzione dell'intervento pubblico al fine di promuovere il benessere generale.

Se abbiamo ragione di ritenere che la corrente sta cambiando, che l'opinione pubblica sta abbandonando la fiducia nello statalismo e la dottrina della responsabilità sociale, allora questo cambiamento tenderà, nel corso del tempo, a modificare le circostanze cui attribuiamo molta parte dell'aumento della criminalità. In particolare, il cambiamento tenderà a restaurare la fede nella responsabilità individuale, rafforzando la famiglia e ristabilendo il suo ruolo tradizionale nell'istillare valori nei giovani.

Inoltre, se c'è questo mutamento di tendenza, esso produrrà cambiamenti istituzionali che contribuiranno anche alla diminuzione della criminalità. In particolare, l'adozione di buoni scolastici, come suggerito al capitolo 8, potrebbe avere un notevole effetto: offrire agli svantaggiati che oggi popolano i quartieri poveri delle grandi città, maggiori opportunità di istruzione per i loro figli, e quindi una gamma più amplia e più desiderabile di alternative alla criminalità nelle strade. Comunque, qualunque effetto istituzionale richiederà molto tempo per dare i suoi frutti: non anni ma decenni.

Un insieme di mutamenti che potrebbe dare risultati relativamente rapidi riguarda la riduzione delle azioni che sono considerate crimini dalla legge. La più promettente delle misure in questa direzione riguarda gli stupefacenti. La maggior parte dei reati non è commessa da gente affamata di pane, ma da gente affamata di droga. Il proibizionismo dovrebbe averci insegnato qualcosa. Quando il proibizionismo entrò in vigore nel 1920, Billy Sunday, celebre predicatore evangelico e capo della crociata contro il Demone Rum, celebrava l'avvenimento con queste parole: "Il regno delle lacrime è finito. Gli slum saranno solo un ricordo. Trasformeremo le nostre prigioni in fabbriche e le nostre celle in magazzini e granai. Gli uomini cammineranno a testa alta, adesso, e le donne sorrideranno e i bambini rideranno. L'inferno rimarrà sfitto per sempre." Oggi sappiamo quanto tragicamente si sbagliasse. Nuove prigioni e nuove celle dovettero essere costruite per ospitare i criminali proliferati in virtù delle trasformazioni

del consumo di bevande alcooliche in un crimine contro lo Stato. Il proibizionismo minò il rispetto della legge, corruppe i suoi tutori, creò un clima morale di decadenza, e in definitiva, non arrestò il consumo di alcool. Nonostante la tragica lezione dei fatti, sembriamo destinati a ripetere esattamente lo stesso errore nell'affrontare il problema della droga. Vi sono alcuni dati di fatto sui quali non vi è disaccordo. L'eccesso di alcol danneggia il bevitore: troppe sigarette fanno male al fumatore: l'eccessivo uso di stupefacenti fa male a chi consuma stupefacenti. Dei tre comportamenti, per quanto orribile possa essere fare questo genere di confronti, non c'è dubbio che il fumo e il bere uccidono molte più persone dell'uso delle droghe.

Tutti e tre i componenti hanno anche effetti negativi su persone diverse da coloro che bevono, fumano o consumano droghe. La guida in stato di ubriachezza è responsabile di una larga parte di incidenti stradali e delle perdite di vite umane. Fumare danneggia i non fumatori che si trovano nello stesso aereo, nello stesso ristorante, nello stesso luogo pubblico. I consumatori di droghe causano incidenti di guida e incidenti sul lavoro. Secondo un recente articolo comparso su "Newsweek", "i lavoratori che fanno uso di droghe sul lavoro sono meno produttivi di un terzo rispetto agli altri lavoratori, sono coinvolti in infortuni sul lavoro con una probabilità tre volte maggiore, e sono assenti molto più spesso (...) Impiegati tremanti di freddo, ipertesi, consunti, intaccano il morale dell'ufficio, allontanano i clienti, nuocciono alla qualità della camicia che indossate, dell'automobile che guidate, dell'edificio in cui lavorate".

Quando valutiamo un'azione dello Stato, dobbiamo considerare da un lato se i risultati che esso si propone siano tali che il loro perseguimento possa essere correttamente affidato allo Stato: inoltre dobbiamo valutare se l'azione conseguirà realmente quei risultati. I dati di fatto riguardano l'alcol, il tabacco e le droghe sollevano due questioni molto differenti: una di natura etica e l'altra di opportunità. La questione etica riguarda la legittimità dell'uso dell'apparato statale per impedire agli individui di bere, fumare, consumare droghe. Quasi tutti risponderebbero con un sì condizionato con riferimento ai bambini; quasi tutti risponderebbero con un sì incondizionato se si trattasse di impedire ai consumatori di alcol, tabacco, droghe di danneggiare dei terzi. Ma, per quanto riguarda gli stessi consumatori, la risposta è molto meno chiara. Sicuramente è corretto e importante cercare di ragionare con il potenziale schiavo di una di queste sostanze, esporgli le conseguenze, pregare con lui e per lui. Ma

abbiamo il diritto di usare la forza direttamente o indirettamente ad un uomo adulto di bere, di fumare, di consumare droghe? La nostra risposta è no. Ma concediamo subito che la questione etica è complessa e che su di essa uomini di buona volontà sono spesso in disaccordo.

Fortunatamente, la risposta alla questione etica non è necessaria per prendere posizione circa le politiche, poiché la risposta circa la capacità dell'azione dello Stato per impedire il consumo di queste sostanze è chiara. La proibizione -di bere come di fumare o di assumere stupefacenti- è un tentativo di cura che, secondo noi, peggiora le cose sia per chi ne è schiavo sia per gli altri. Dunque, anche chi ritiene eticamente giustificata la proibizione da parte dello Stato dell'assunzione di stupefacenti, dovrebbe ammettere che l'adozione di tali misure è sconsigliabile per considerazioni di opportunità.

Prendiamo, innanzitutto, il tossicodipendente. La legalizzazione della droga potrebbe aumentare il numero dei tossicodipendenti, ma non è sicuro. Il frutto proibito è affascinante, soprattutto per i giovani. Una considerazione ancora più importante è che molte persone sono deliberatamente spinte a diventare tossicodipendenti dagli spacciatori, che danno ai probabili candidati la prima dose gratuitamente. Allo spacciatore rende comportarsi così, perché una volta agganciato, il tossicomane è un consumatore obbligato. Se le droghe fossero legalmente disponibili, ogni possibile profitto da questa inumana attività sparirebbe in larga misura, perché il tossicodipendente potrebbe comperare da una fonte meno cara.

Qualunque cosa accada al numero totale dei tossicodipendenti -e alla possibilità di incremento di quel numero- il singolo tossicomane avrebbe netti vantaggi dalla legalizzazione della droga. Oggi le droghe sono sia estremamente care sia di qualità molto incerta. I tossicomani sono spinti a collegarsi con criminali per ottenere la droga e diventano criminali essi stessi per finanziare l'abitudine. Corrono costantemente rischi di morte e di malattia.

Prendiamo ora la situazione dei non tossicodipendenti. Ciò che ci danneggia nell'abitudine di altri all'uso delle droghe deriva principalmente dal fatto che le droghe sono illegali. Si stima che da un terzo a metà di tutti i reati di natura violenta o contro la proprietà negli Stati Uniti siano commessi o da tossicomani dediti ad attività criminali per finanziare la loro abitudine, o da scontri fra gruppi rivali di spacciatori o nel corso dell'importazione e della distribuzione di droghe illegali. Con la legalizzazione delle droghe, la criminalità di strada crollerebbe immediatamente. Di più, tossicomani e spacciatori non sono i soli ad essere corrotti. Quando sono in gioco somme immense, è inevitabile che qualche poliziotto relativamente sottopagato o qualche altro funzionario pubblico -anche tra quelli ben pagati- soccomba alla tentazione del facile arricchimento.

Il caso più chiaro è quello della marijuana, il cui uso è diventato abbastanza diffuso da ricalcare il modello che si sviluppò con la proibizione degli alcoolici. In California, la marijuana è diventata la più importante (o la seconda) coltivazione industriale. In grandi aree dello Stato, i tutori dell'ordine hanno trovato un modus vivendi con i coltivatori e raccoglitori di marijuana molto simile a quello dei tutori dell'ordine verso i distillatori clandestini e i contrabbandieri di alcoolici degli anni '20. Si sono dovute allestire squadre speciali dotate di elicotteri per la localizzazione dei campi di marijuana e per compiere raid per distruggerli, proprio come negli anni '20 squadre speciali avevano il compito di far applicare la proibizione degli alcoolici. E proprio come i contrabbandieri di liquori dovevano proteggersi dagli hijackers (rapinatori di merci contrabbandate n.d.t.), così i coltivatori di marijuana devono proteggere le proprie colture illegali, ponendo uomini armati a guardia dei campi. n

e derivano inevitabilmente degli scontri a fuoco, come all'epoca del proibizionismo.

Durante il proibizionismo, sia i contrabbandieri sia i produttori in proprio di gin usavano talvolta alcol metilico o altre sostanze che trasformavano il prodotto in un potente veleno, tale da causare l'intossicazione quando non la morte di chi lo avesse bevuto. Attualmente sta accadendo la stessa cosa in maniera anche più riprovevole. Il governo degli Stati Uniti ha indotto molti governi esteri a usare aeroplani per spargere paraquat -un pericoloso veleno- sui campi nei quali cresce la marijuana. La stessa cosa è stata fatta recentemente in Georgia. Lo scopo è rendere la marijuana inutilizzabile. Ma non c'è evidentemente nessun modo per impedire che la marijuana contaminata raggiunga il mercato e faccia del male a chi la usa. E non c'è nemmeno alcuna certezza che la mira del pilota sia sufficientemente accurata da garantire che del paraquat non cada su piante diverse dalla marijuana. Scoppierebbe uno scandalo di proporzioni gigantesche se si venisse a sapere che funzionari di governo hanno deliberatamente

avvelenato una parte del cibo destinati ai detenuti che stanno scontando una condanna. Ma certamente, è una pratica ancora più atroce e del tutto ingiustificabile quella di spargere deliberatamente veleno sui raccolti, rischiando di fare del male a cittadini che possono anche essere esenti da ogni infrazione della legge e che non hanno mai avuto a che fare con la giustizia.

Alcuni dei sostenitori della legalizzazione della marijuana hanno affermato che fumare marijuana non fa male. Noi non siamo competenti a giudicare su questo problema così dibattuto, anche se troviamo persuasive le prove che conosciamo secondo le quali la marijuana è una sostanza dannosa. Eppure, per quanto paradossale ciò possa sembrare, la nostra convinzione che sia auspicabile legalizzare la marijuana e tutte le altre droghe non dipende dal fatto che la marijuana e le altre droghe siano dannose o innocue. Per quanto le droghe siano dannose per coloro che le usano, è nostra ponderata opinione che cercare di proibirne l'uso fa ancora più male sia a chi le usa sia a noi.

La legalizzazione delle droghe ridurrebbe simultaneamente il numero dei delitti e migliorerebbe il rispetto della legge. E' difficile immaginare qualunque altro singolo provvedimento che possa dare un maggior contributo alla promozione della legge e dell'ordine. Ma, si può obiettare, dobbiamo accettare la sconfitta? Perché non porre fine semplicemente al traffico di droga? Questo è il punto sul quale l'esperienza sia con il proibizionismo sia, negli anni recenti, con la droga, è più consistente.

Non si può porre fine al traffico di droga. Possiamo riuscire a stroncare il traffico di oppio dalla Turchia; ma il papavero da oppio cresce in innumerevoli altri posti.

Con la cooperazione della Francia possiamo fare di Marsiglia un posto pericoloso per la manifattura di eroina: ma le semplici operazioni di fabbricazione possono svolgersi in innumerevoli altri posti. Possiamo riuscire a persuadere il messico a spruzzare, o a consentirci di spruzzare, paraquat sui campi di marijuana, ma la marijuana può crescere quasi dovunque. Possiamo riuscire a cooperare con la Colombia per ridurre l'ingresso di cocaina: ma non è un successo facile da ottenere in un paese in cui le esportazioni sono un fattore decisivo per l'economia. Finche vi sono collegate grosse somme di denaro -e non può essere altrimenti se le droghe sono illegali- è letteralmente impossibile arrestare il traffico o anche soltanto ottenere una seria riduzione della sua ampiezza. Nel campo degli stupefacenti, come in altre aree, la persuasione e l'esempio sono probabilmente più efficaci dell'uso della forza per plasmare gli altri a nostra immagine.

Il consumo di stupefacenti non è la sola area in cui la criminalità potrebbe essere ridotta legalizzando attività che ora sono illegali, ma è sicuramente la più ovvia e la più importante. La nostra insistenza qui si basa non solo sulla gravità crescente della criminalità associata alla droga, ma anche sulla convinzione che, sollevando la nostra polizia e la nostra magistratura dal dovere di combattere battaglie perdute contro la droga, queste saranno in grado di mettere tutte le loro energie e le loro strutture al servizio della lotta contro altre forme di criminalità. Potremmo così ottenere non uno ma due risultati positivi: ridurre l'attività criminale direttamente e, nello stesso tempo, aumentare l'efficacia della tutela dell'ordine pubblico e della prevenzione del crimine.

 
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