di Marco TaradashSOMMARIO: Attraverso l'esempio di una conferenza stampa di Marco Pannella sul ruolo della Fiat in Italia completamente ignorata da mezzi di comunicazione, l'autore denuncia il linciaggio di cui è fatto oggetto il Partito radicale da parte dei mass media.
(Notizie Radicali n· 165 del 21 luglio 1987)
Un esempio per tutti. Pochi giorni prima del 14 giugno, a ridosso delle elezioni, Marco Pannella convocava una conferenza stampa per annunciare una serie di iniziative a tutto campo del Partito radicale contro la Fiat di Gianni Agnelli. Pannella è esasperato dall'atteggiamento dei giornali di proprietà Fiat, in particolare della Stampa, e vuole comunicare alcune cose.
1) Annunciare un ricorso contro una sentenza molto discutibile ("automobilistica") del Tribunale di Milano che ha negato quanto balza agli occhi di tutti -e in specie del garante dell'editoria, promotore dell'azione giudiziaria: la concentrazione in atto fra La Stampa e i giornali del gruppo Rizzoli- Corriere della Sera (controllato dalla Fiat).
2) Denunciare l'ipocrisia di chi, come Cesare Romiti, amministratore delegato della Fiat, lancia una crociata moralistica contro le "scorrerie dei finanzieri senza scrupolo", quando proprio il clan Agnelli ha compiuto mesi fa la più indecente delle speculazioni: ha riacquistato le azioni libiche a prezzi fuori mercato, scaricandone il costo sulle banche amiche e sui piccoli e medi azionisti della Fiat, e congelando la Borsa, con grave danno per l'intera economia italiana.
3) Dare infine l'allarme sul ruolo strategico acquisito dalla Fiat nella politica militare nazionale attraverso una miriade di fabbriche di armamenti controllate.
E' un episodio di una campagna elettorale lunga e complicata come quella italiana, forse più stravagante, forse più interessante di tanti altri. C'è da aspettarsi una certa curiosità della stampa, visto il bersaglio polemico inconsueto individuato dai radicali. Sorpresa: alla conferenza stampa è presente un giornalista soltanto, dell'Agenzia Italia (più tardi raggiunto da un collega dell'Ansa). Dei redattori politici e economici dei quotidiani, nessuna traccia. Se l'intento principale era, come recitava il titolo della conferenza stampa, quello di dimostrare "lo strapotere della Fiat sulla stampa italiana", non c'è che dire, il risultato era stato raggiunto. Solo che non lo avrebbero mai saputo coloro ai quali il Pr voleva rivolgersi, i mitici abitanti dell'Opinione Pubblica, per i quali il retrobottega dell'Avvocato Agnelli è rimasto tabù.
Aveva invece saputo tutto, l'opinione pubblica, della candidata radicale Cicciolina e delle sue esibizioni in campagna elettorale e nelle balere della provincia italiana. Intendiamoci: quella candidatura faceva notizia, e la candidata cercava notizia. Però il modo in cui la "notizia" è stata confezionata, offerta e promossa corrisponde perfettamente al modo in cui la "notizia" è stata rimossa e negata nel caso Agnelli di cui sopra. Di fronte alle poltrone vuote della conferenza stampa sulla Fiat risulta facile contestare i giornali in termini di pura quantità: mi dai zero di informazione, non sei neppure stampa velinara, sei peggio. Anche perché le cose dette dai radicali avrebbero dovuto essere -in un normale sistema editoriale- già da tempo scritte e discusse dalla stampa indipendente. E invece silenzio. Sul caso Cicciolina al contrario i giornali investono al massimo: quasi altrettanto spazio che sull'intera campagna elettorale del Pr, e nell'ultima porzione della campagna elettorale, quasi tutto lo spazi
o riservato ai radicali. Un riflesso obbligato? I lettori (un italiano su nove, il tasso più basso di tutta la Cee) vogliono questo? Vogliamo essere generosi, parlare per assurdo: concediamoglielo. Spiegateci però come è possibile che sull'intera stampa italiana -senza eccezione alcuna- nessuno accetti di prendere la candidatura di Cicciolina per quello che è, secondo le intenzioni proclamate dei radicali: un gesto di non discriminazione, frutto della natura libertaria del Partito radicale, tradottosi nell'inserimento del nome di un'iscritta al Pr in ordine alfabetico al numero 49 del suo collegio di appartenenza. La candidatura viene invece stravolta in quello che non è: una provocazione antisistema, uno sberleffo al Parlamento.
Piovono i commenti, e tutti trasudano sdegno. Capofila è -immancabilmente- La Repubblica. Prima pagina, corsivo non firmato: perfino Toni Negri, perfino Enzo Tortora potevamo capire, ma Cicciolina no, siamo al pitale dannunziano lanciato su Montecitorio! A parte che Negri La Repubblica lo aveva lapidato come l'assassino di Aldo Moro sin da un minuto dopo l'arresto, e poi i radicali con lui: a parte che Tortora La Repubblica l'aveva massacrato come drogato e spacciatore fin dal giorno dell'arresto, e poi i radicali con lui; e a parte che non era stato D'Annunzio a lanciare il pitale, l'intenzione di Repubblica era chiara: far rileggere la storia delle lotte politiche radicali attraverso la lente deformata della "candidata di bandiera Ilona Staller". E chi si chiama a rinforzo? Nientepopodimenoché a Silvia Costa, quella delle "cose che contano" -i pupi sederinod'oro, la mamma tutta cosmopolitan e famigliacristiana, il papà pastabarilla. Costa ci spiega come il divorzio, l'aborto e tutto il resto delle lotte po
litiche radicali siano il frutto di una visione ludica, individualista e sessista eccetera eccetera. Contemporaneamente La Stampa riscopre il Pr (nei confronti del quale la sua censura raggiunge livelli paradossali: dopo l'elezione del presidente della Camera sarà l'unico giornale a non riferire dei 51 voti raccolti da Pannella): tre articoli di prima pagina a distanza di pochi giorni, quando nelle prime tre settimane di maggio (prima che esplodesse il caso Staller) il quotidiano torinese aveva informato sul Pr per l'1,5% dello spazio dedicato alla campagna elettorale, contro il 31,2 della Dc, il 20,5 del Pci, il 13,1 del Psi, 11,1 dei Verdi, il 6,4 del Pri, il 4,8 del Psdi, il 3,7 di Dp, il 3,6 del Pli, il 2,6 del Msi, e persino l'1,6 della Svp. Buon ultimo arriva Claudio Rinaldi, il direttore di Panorama a correggere, con furore islamico, persino il suo maestro Scalfari: sono gli stessi radicali di sempre, eversori, provocatori, destabilizzatori. Insomma i soliti radicalfascisti, radicalbrigatisti, radical
mafiosi, oggi pornoradicali. E poi, dopo il voltafaccia di Bertuzzi, anche radicalpartitocrati!
Che cosa significa tutto questo? Che si è realizzato un complotto ai danni dei radicali? Che si è colto un facile pretesto per compiere una vendetta attesa da tanto tempo? Certo, non si può escludere qualche microcomplotto redazionale e forse anche qualche maxicomplotto editoriale; e la vendetta erano in molti a covarla (non a caso abbiamo ritrovato sul caso Staller tante firme che avevamo ben conosciuto ai tempi del caso Tortora). Ma più probabilmente una lettura incrociata delle due vicende esemplari che abbiamo descritto ci fa ritrovare quello che è il vizio strutturale della stampa italiana: una stampa che non sa e non può essere indipendente e oscilla pendolarmente fra la soggezione al potere economico (industriale e finanziario) e quella al potere politico. E che perciò si prende qualche libertà soltanto sulle strade periferiche del giornalismo: ad esempio il sesso, che ci viene venduto a piene pagine, ora con frivola spregiudicatezza ora con untuosa ipocrisia.
Una stampa che non sa e non può fare davvero informazione politica ed economica, per i mille legami fra i suoi padroni e le segreterie di partito, i vertici delle banche, i consigli di amministrazione delle grandi aziende. E che perciò riduce l'informazione politica (quella economica è ancor peggio), ad una pletorica, sofisticata, impareggiabile descrizione della vita quotidiana di Ciriaco De Mita, Alessandro Natta, Bettino Craxi, Giovanni Spadolini e di tutto il personale politico che gravita intorno a quattro o cinque palazzi del centro storico romano. Di cui si celebrano fatti e misfatti ora con frivola spregiudicatezza ora con untuosa ipocrisia. Le cose concrete, le iniziative, i valori, le istituzioni, il buon andamento della res publica sono estranei alla stampa italiana, nel suo complesso: è come se le cose importanti e vere della società italiana si svolgessero a porte chiuse. La riforma della stampa e del giornalismo fa, nel nostro paese, tutt'uno con la riforma della politica: la ricostruzione dell
a politica passa, lo sappiamo bene, anche per queste porte.