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Baget Bozzo Gianni - 31 agosto 1987
Droga: e poi venne la domanda di Pannella
di Gianni Baget Bozzo

SOMMARIO: Commentando la proposta di Marco Pannella per la legalizzazione del mercato delle droghe, l'autore rileva che nel dibattito pubblico è stata censurata la riflessione sulle ragioni che spingono all'uso di stupefacenti. In una società dove prevale la solitudine, la droga diviene un tentativo di ricerca di senso, un modo di evasione della "coscienza infelice". La droga è divenuta quindi una parte del nostro costume. La domanda e la proposta di Pannella diviene quindi pienamente legittima perché solleva con un linguaggio nuovo il problema dei diritti civili e del fallimento delle crociate repressive.

(Notizie Radicali n· 200 del 31 agosto 1987 da "La Repubblica del 23 agosto 1987)

Non si può negare a Marco Pannella la capacità di mettere a fuoco i problemi morali reali: quasi da solo egli è riuscito a creare una sensibilità nuova ed un linguaggio diverso dalla nostra cultura per quello che riguarda i diritti civili. I diritti civili sono quelli che non hanno per oggetto una contropartita economica ma la tutela della libertà dell'uomo e della uguaglianza dei cittadini. Il linguaggio dei diritti civili ha trasceso il linguaggio di classe, che era quello in cui i cattolici e sinistra storica avevano raggiunto la loro comune espressione. In questo modo egli ha dato un nuovo senso alla parola laicità.

Le stesse tematiche ambientali si sono innestate sul tronco dei diritti civili: e non a caso Giorgio Ruffolo, attuale ministro socialista per l'Ambiente, le ha elencate, proprio su Repubblica, insieme a molte altre, come il contenuto di una grande riforma politica e sociale. Il nuovo vicesegretario del Pci Occhetto ha espresso la proposta della riforma voluta dal Pci nella forma dei nuovi diritti del cittadino. Dico questo perché le dimensioni spettacolari in cui Pannella è maestro fanno dimenticare spesso che esse non sono mai fine a se stesse.

Anche la proposta sulla liberalizzazione della droga non può essere iscritta nel semplice registro della spettacolarità. Essa serve a richiamare la nostra attenzione su un fatto: il fallimento della politica repressiva della droga. Chiunque può oggi, praticamente a qualunque età, drogarsi come e quando vuole. Le carceri divengono luogo di corruzione e arruolamento. Le più potenti organizzazioni criminali del nostro tempo, le mafie italiane e cinesi, si sono impadronite di un mercato e lo tutelano con l'omicidio costante. La droga, mescolata, conduce al rischio di morte e alla morte effettiva.

Criminalità, assassinio, morte per droga alterata, diffusione generale della droga, uso perverso del carcere e dell'ospedale: questi sono i frutti della penalizzazione della droga. Le politiche delle rimozioni delle piantagioni non riescono non solo in America Latina ma nemmeno in Turchia e in Thailandia. Questi paesi sono nell'area politica dell'occidente, il più afflitto dalla piaga della droga. In tali circostanze fare il bilancio della politica repressiva è perlomeno doveroso.

Ci sono certo molte difficoltà che si oppongono a una politica di depenalizzazione della droga: forse non ultima la potenza degli stessi interessi che ne sostengono il mercato. Ma la difficoltà maggiore è il pregiudizio: cioè l'idea per cui non penalizzare la droga significa accettarne la normalità e sovvertire così le basi culturali e morali di una civiltà della produzione e del consumo, che richiede comportamenti prevedibili.

Ormai nella nostra cultura vi è un riflesso di ordine che si muove in misura sempre crescente. L'Occidente teme di aver scatenato Acheronte e di dover perciò tornare a modelli coercitivi, almeno interiormente. Di qui una certa forma di rinascita del religioso e del morale. La libertà è accettata oggi solo come fatto politico, esteriore, e non come realtà interiore. Ci troviamo di fronte ad una certa ripresa di calvinismo: libertà di azione ma non di sentimento. In realtà, al contrario, la droga è diventata una parte del nostro costume: al punto tale che il suo consumo stesso si è ad un tempo diffuso e limitato. L'individuo stesso è riuscito in parte a controllare personalmente il suo bisogno di evasione.

La normalizzazione della droga, tanto temuta, è di fatto già avvenuta: ed è proprio questo che ha finito per dare al consumo di essa una figura diversa. A questo punto è perfino giusto chiedersi se i mali sociali maggiori derivino dalla droga o dal modo in cui essa è stata culturalmente e socialmente gestita. L'uso della droga è stato criminalizzato prima culturalmente che penalmente. E' stata censurata la domanda: perché un uomo si droga? Il porsi questa domanda è invece al centro di ogni azione di recupero dei drogati. Chi vuole aiutare un drogato deve accettare interiormente e in via di metodo il fatto che la droga abbia avuto per lui un senso. E' da quel punto che la ricerca di un nuovo senso può iniziare. Ma la domanda collettiva non è mai stata posta ed è questa: quale significato ha nella nostra cultura e nella nostra civiltà l'uso della droga? Qui, su un piano della cultura di legittimazione, dell'etica comune insomma, si è stabilito che la droga è un male in sé. E' ben singolare: dominati dall'unive

rso filosofico dell'esistenzialismo e saturi di un linguaggio che parlava di crisi della civiltà, non si afferrava che il singolo poteva veramente vivere una situazione di totale solitudine. In quelle condizioni, la droga diviene un tentativo di ricerca di senso, un modo di evasione della "coscienza infelice". Ma la "coscienza infelice" del nostro tempo ha prodotto meno danni all'umanità che la coscienza morale rigogliosa dei primi decenni del secolo, cui dobbiamo, in nome dei valori sacri, due guerre mondiali e milioni di morti. Il drogato non è una figura anomala: è l'espressione di uno dei modi della ricerca di senso della "coscienza infelice". Capire dunque che il drogarsi non è una mera anomalia è la condizione per impostare un atteggiamento di solidarietà umana. E' una delle cose migliori che sono sorte in questi anni sono le lotte per il recupero dei drogati: per il superamento della solitudine. Molti credenti hanno trovato in esse il senso della loro fede, molti non credenti hanno trovato in esse il

significato della loro vita. La risposta efficace non è dunque stata la repressione. E' in questo quadro che la domanda di Pannella trova la sua radicale legittimità.

 
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