SOMMARIO: Il testo dei due referendum sulla giustizia (responsabilità civile del magistrato e Inquirente), i buoni motivi che ci sono per votare sì.
(Notizie Radicali n· 200 del 31 agosto 1987)
Giustizia 1
RESPONSABILITA' CIVILE DEL MAGISTRATO
»Volete voi l'abrogazione degli articoli 55, 56 e 74 del Codice di procedura Civile approvato con regio decreto 28 ottobre 1940, n. 1143?
Con l'attuale normativa del Codice di procedura civile in vigore dal 1943 e, per inciso, eredità delle leggi fasciste e del regime poliziesco che gli necessita, nessun magistrato è mai stato condannato al risarcimento del danno civile prodotto. Questo si spiega perché gli articoli 55, 56, e 74, di cui chiediamo l'abrogazione con questo referendum, prevedono speciali limitazioni della responsabilità del magistrato per il danno causato illegittimamente nell'esercizio delle sue funzioni. Infatti, non solo il magistrato riceve un trattamento differenziale e di favore rispetto a qualsiasi altro operatore pubblico, ma viene anche sottratto a quel giudizio di responsabilità che tutela il cittadino dall'esercizio errato o dannoso di alcune delicatissime funzioni private (basta pensare alla responsabilità del medico, dell'ingegnere, del biologo, del chimico...).
Infatti l'articolo 55 del codice di procedura civile recita: "Il giudice è civilmente responsabile soltanto in due ipotesi: 1) quando nell'esercizio delle sue funzioni è imputabile per dolo, frode o concussione; 2) quando senza giusto motivo rifiuta, omette o ritarda di provvedere sulle domande o istanze di parte e, in generale, di compiere un atto del suo ministero". Significa cioè, che il magistrato risponde "solamente" quando produca un danno con dolo, frode o concussione e non quando ciò accada per ignoranza delle leggi, per incompetenza e asineria.
Il paradosso cui si assiste è che la legge non ammette ignoranza se non quella dei suoi massimi amministratori. Il magistrato, insomma, non risponde per colpa grave e gode di un privilegio ingiusto di cui non gode nessun altro operatore pubblico. Il secondo comma dell'articolo 55 rincara la dose poiché, mentre sembra indicare le responsabilità del magistrato che non provveda tempestivamente all'esercizio delle sue funzioni, stabilisce, per contro, che le ipotesi di rifiuto, ritardo ed omissione "possono aversi per avverate solo quando la parte (e cioè chi agisce per conto della parte in causa) ha depositato in cancelleria istanza al giudice per ottenere il provvedimento o l'atto e sono decorsi inutilmente dieci giorni dal deposito". Questa messa in mora è un privilegio straordinario che non è previsto per nessun altro funzionario delle Stato e che non trova nessun altra spiegazione alla propria esistenza se non nella dilatazione della tutela alla irresponsabilità del magistrato.
L'articolo 56 recita: "La domanda per la dichiarazione di responsabilità del giudice non può essere proposta senza l'autorizzazione del ministro di Grazia e Giustizia". Con questo articolo si sottrae al cittadino il diritto sancito dalla Costituzione, ed esteso a tutti, di agire in sede civile e penale per tutelarsi rispetto al danno subito.
Per altro, non si comprende come mai i magistrati che tanto invocano l'autonomia e l'indipendenza del proprio potere non chiedano essi stessi l'abrogazione di un articolo che li "sottopone" all'autorizzazione a procedere e, ovviamente, alla tutela di un organo dell'esecutivo. Con buona pace della separatezza dei poteri(!), l'articolo 74 estende i privilegi sulla responsabilità del giudice al pubblico ministero.
L'insieme di questa norma disegna un'area di privilegio e di irresponsabilità che noi chiediamo sia cancellata con l'abrogazione degli articoli 55, 56 e 74 del codice di procedura civile.
Giustizia 2
INQUIRENTE PER I PROCEDIMENTI DI ACCUSA
»Volete voi l'abrogazione degli articoli 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7 e 8 della legge 10 maggio 1978, n. 170 recante: "Nuove norme sui procedimenti d'accusa di cui alla legge 25 gennaio 1962, n. 20"?
L'articolo 96 della Costituzione disciplina la procedura per i reati commessi dai membri del governo: "Il presidente del Consiglio dei ministri e i ministri sono messi in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune per i reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni".
Con questo articolo la Costituzione voleva, giustamente, tutelare l'esecutivo da persecuzioni politiche immotivate e mascherate e prevedere nello stesso tempo giustizia severissima per i reati ministeriali. Attualmente le disposizioni costituzionali sono applicate con la legge 10 maggio 1978 n· 170 (di cui chiediamo l'abrogazione) e dal regolamento parlamentare dei procedimenti di accusa.
Sulla base di queste normative opera la "Commissione inquirente per i giudizi di accusa contro i ministri" nella quale sono presenti i partiti in proporzione agli eletti in Parlamento. La Commissione, cioè, esercita funzioni giudiziarie non solo al fine di riferire alle Camere riunite, a cui viene sottoposta la proposta finale, ma anche per quanto riguarda la ammissibilità di prove e di testimoni. Questa funzione della commissione, che come si vede è molto estesa oltre che decisiva per l'acquisizione degli elementi conoscitivi sui casi che esamina, è sottoposta ai patteggiamenti e ai ricatti partitocratici. La conseguenza è che, quando il lavoro istruttorio arriva in aula (se non viene archiviato prima con il voto dei 4/5 dei commissari) manca di tutti gli elementi necessari per una reale valutazione dei fatti. Quello che si vuole ottenere con il referendum abrogativo è che il lavoro istruttorio sulle responsabilità dei ministri venga affidato ad un organo veramente imparziale, capace di raccogliere prove,
di ascoltare testimonianze e di formulare proposte alle Camere che siano libere da pressioni politiche e da volontà strumentalizzatrici. Allo stato attuale queste garanzie non esistono e la Commissione inquirente funziona per "assolvere" i ministri ladri e corrotti.
A memoria d'uomo, infatti, l'unica caso di processo per i reati ministeriali giunto a sentenza è stato il caso Lockheed. Tutti ricorderanno la portata dello scandalo di fronte al quale la commissione, assediata dall'opinione pubblica, non ha potuto insabbiare.
I casi, invece, di archiviazione sono 140 nelle sole due ultime legislature. Di queste 140 -ripetiamo tutte archiviate- 26 hanno avuto la maggioranza dei 4/5 dei commissari e non c'è stato neppure il voto di aula, per 6 erano trascorsi i termini della denuncia o era morto l'inquisito e per 9 la commissione si è dichiarata incompetente.
A questo ultimo gruppo appartiene il caso Valpreda per i quali furono denunciati per falsa testimonianza e favoreggiamento Tanassi, Andreotti e Rumor, oltre all'allora ministro della Giustizia Mario Zagari. In quel caso la commissione deliberò l'archiviazione per i ministri e trasmise gli atti alla Procura della Repubblica di Milano per tutti gli altri. Come a dire che ravvisava i reati ma che copriva con l'immunità i ministri.
Ma vediamo alcuni altri casi esemplari:
Caso traghetti d'oro: Non si procede e si archivia per il ministro della Marina mercantile Gioia, si trasmettono gli invece atti alla Procura della Repubblica di Messina per tutti gli altri imputati.
Corruzione e malcostume: Archiviata la denuncia riferita a De Mita allora ministro per il Mezzogiorno.
Caso Sindona: Archiviate due denunce a carico di Andreotti, allora presidente del Consiglio, per i rapporti con il bancarottiere.
Caso P2: Archiviate due differenti denunce sulla responsabilità di Andreotti, allora ministro della Difesa, e di Tanassi ministro per la Finanza per la nomina del generale piduista Raffaele Giudice a comandante della Guardia di Finanza.
Caso P2: Insabbiate due denunce contro Spadolini, allora presidente del Consiglio, per le attività illegali del Sismi (servizio segreto militare) nel recupero dell'archivio di Gelli.
Caso P2: Insabbiata la denuncia contro Andreotti, allora ministro della Difesa, accusato di aver favorito (peculato e corruzione) le forniture di materassi permaflex alle Forze armate tramite Licio Gelli.
Caso Fioroni: Archiviata la denuncia contro Spadolini, allora presidente del Consiglio, Rognoni, ministro degli Interni e Darida, ministro di Grazia e Giustizia, per aver favorito la fuga all'estero di Carlo Fioroni fornendogli, per giunta, un passaporto falso...
Nelle ultime due legislature il solo Andreotti è stato "salvato dalla Commissione ben 14 volte.
Dieci ragioni per la responsabilità civile del magistrato
1. Le norme da abrogare sono incostituzionali. L'articolo 28 della Costituzione stabilisce che tutti i dipendenti dello Stato sono responsabili direttamente per i danni arrecati ai cittadini nell'esercizio delle loro funzioni e la Corte Costituzionale ha già precisato che questa norma riguarda anche i magistrati. Tuttavia gli articoli da abrogare restringono la responsabilità civile dei giudici al punto di renderla di fatto inesistente. Inoltre la Costituzione, articolo 24, stabilisce che tutti possono agire in giudizio per far valere i propri diritti, ed invece l'articolo 56 cpc, uno di quelli da abrogare, impone che non si possono chiedere i danni ai magistrati senza l'autorizzazione del ministro di Grazia e Giustizia.
2. Non ci deve essere potere senza responsabilità. La Costituzione dice, articolo 101 comma 2·, che i giudici sono soggetti soltanto alla legge. Ma non si è soggetti alla legge se, violandola, non si deve darne conto e risarcire chi ne sia stato danneggiato.
3. Non è giusto che ogni altro dipendente dallo Stato sia tenuto a risarcire il danno quando lo abbia provocato per dolo o colpa grave e non lo sia invece il magistrato, che può disporre della vita, dell'onore, dei beni di tanti cittadini e che, per la sua indipendenza, non è soggetto a condizionamenti e che se sbaglia, non è certo per aver dovuto sottostare ad ordini e pressioni.
4. Occorre riaffermare che vogliamo una giustizia a misura del cittadino e non a misura del magistrato. I magistrati che considerano la giustizia non un meccanismo per l'applicazione della legge, cui essi sono soggetti, ma un mezzo di "promozione sociale", al di là della pura applicazione della legge e quindi dei diritti dei cittadini, debbono sapere che promozione sociale (cioè politica) non può essere fatta a spese del cittadino, dei suoi diritti, della sua libertà, così come garantiti dalle leggi.
5. I buoni magistrati, imparziali, diligenti, preparati, rispettosi della legge e dei diritti altrui, non hanno nulla da temere dall'abrogazione delle leggi che oggi garantiscono l'irresponsabilità civile dei giudici.
6. L'indipendenza dei magistrati non è affatto messa in pericolo dalla loro responsabilità diretta nei confronti dei danneggiati, tanto più che l'azione di responsabilità non deve essere esercitata avanti a un tribunale speciale, ma davanti ad organi ordinari della giurisdizione, davanti cioè a degli altri magistrati, appartenenti allo stesso ordine giudiziario. I magistrati che dicono che essere esposti ad azioni giudiziarie toglierebbe loro serenità e libertà di agire secondo giustizia, dicono, in sostanza, che non ci si può fidare dei giudici e della giustizia.
7. Contro il referendum e l'abrogazione delle norme limitative della responsabilità civile dei giudici si è scatenata una campagna sulla base di speciose argomentazioni che identificano indipendenza ed irresponsabilità del magistrato e pretendono di fare della Magistratura un corpo separato al di fuori della stessa organizzazione statale e che, di contro, sostengono che il cittadino non abbia diritti nei confronti del magistrato, tenuto a rispondere, in pratica, solo alla sua corporazione. Se queste concezioni vincessero, sarebbe stravolto ogni ordinamento democratico.
8. Quale alternativa al referendum sono state proposte altre soluzioni, come quella compresa nel cosiddetto pacchetto Rognoni, assolutamente inconcludenti, incostituzionali, complicate e tali da costituire inammissibili privilegi per i giudici.
9. Le ingiustizie, le negligenze, le ostentate manifestazioni di prepotere di alcuni giudici hanno raggiunto livelli insopportabili e rischiano di coinvolgere il prestigio e di vanificare il buon lavoro della maggioranza dei giudici, mentre i rimedi dell'azione disciplinare si sono dimostrati assolutamente inadeguati, specie di fronte alla violazione di diritti fondamentali dei cittadini.
10. Per evitare i referendum ed in particolare questo referendum, si è voluto ricorrere allo scioglimento anticipato delle Camere ed anche una clamorosa vittoria del SI è una buona risposta a chi ha voluto tale scioglimento.
Dieci ragioni contro la commissione inquirente
1. Le norme da abrogare sono incostituzionali. La Costituzione prevede che il Parlamento possa mettere in stato di accusa il Presidente del Consiglio ed i ministri per i reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni. Con legge costituzionale è stabilito che in tali casi il Parlamento decide su relazione di una commissione bicamerale composta di dieci deputati e di dieci senatori (Legge costituzionale 11 marzo 1953 n.1 articolo 12). Con le norme che il referendum intende abrogare la Commissione da referente è trasformata in inquirente ed in giudicante, con attribuzione di poteri che non ha o non dovrebbe avere neppure il Parlamento in seduta plenaria e pubblica.
2. La commissione inquirente è sempre stata la commissione degli insabbiamenti, realizzata con i pretesti e gli espedienti meno decenti e ciò in favore non solo dei ministri, ma anche di quanti avevano il privilegio di essere accusati di reati in concorso con un ministro.
3. Le norme soggette a referendum sono il frutto di una sostanziale truffa contro i cittadini, che nel 1978 furono espropriati, con l'approvazione della legge 10 maggio 1978 n. 170. della possibilità di esprimersi con il referendum promosso dai radicali sulla commissione inquirente, allora regolata dalla legge 25 gennaio 1962 n. 20, i cui articoli, sottoposti a referendum, furono sostituiti lasciandone intatto il contenuto sostanziale ed il meccanismo insabbiatorio.
4. Non è giusto che esista una giustizia speciale per i ministri, non solo nella fase delle decisioni finali e delle valutazioni del loro operato alla stregua della Costituzione, ma anche nella raccolta delle prove. Se essere soggetti a possibili abusi di giudici ordinari può essere preoccupante, questa preoccupazione non deve valere solo per i ministri e per chi possa essere accusato insieme a loro. Le garanzie debbono valere per tutti.
5. Il Parlamento non è riuscito a dare una soluzione al problema dell'Inquirente e dei procedimenti relativi ai ministri. Tutti, o quasi, riconoscono che l'Inquirente, così come è, non va e che bisogna cambiare il sistema, ma nessuno vuole arrivare veramente ad una conclusione. L'unica riforma varata dal Parlamento è stata quella del 1978, che, oltre a scippare il referendum, non è servita a nulla ed ha lasciato tutto come prima.
6. La "questione morale" non si affronta con le declamazioni, ma esige che siano rimossi gli strumenti con i quali le immoralità più gravi della vita pubblica sono state puntualmente coperte e protette.
7. E' ora che il popolo dica la sa sulla "questione morale", determinando l'eliminazione degli strumenti di protezione dei prevaricatori e dando forza ad un movimento di pulizia e di giustizia.
8. La crisi della giustizia, l'affievolirsi delle garanzie, la giustizia ingiusta non si superano se la stessa giustizia non riguarda anche i ministri e la classe politica.
9. Non si può avere fiducia nella Magistratura ordinaria quando giudica i cittadini comuni, sostenendo poi che sarebbe imprudente e pericoloso affidare alla stessa Magistratura la sorte dei ministri.
10. Una grande vittoria del Sì in questo referendum imporrà ai partiti, ai governi, al Parlamento di affrontare a fondo le riforme per una giustizia giusta.
Per una Giustizia Giusta
La giustizia in Italia è in crisi. E la crisi minaccia non solo i cittadini che vedono trasformata l'istituzione che dovrebbe tutelare le libertà e i diritti individuali in un universo travagliato da passioni e da ideologie politiche, ma anche lo stesso equilibrio tra i poteri, quella divisione dei compiti tra legislazione, esecuzione e applicazione delle leggi che costituisce la caratteristica fondamentale di una democrazia ispirata al primato della libertà.
La malattia della giustizia è grave. Ecco cinque sintomi di fondo:
1. La politicizzazione. Negli Stati moderni e nell'Italia disegnata dalla Costituzione l'amministrazione della giustizia deve, prima di ogni cosa, essere assolutamente indipendente e dipendere dalla sola legge. A contrastare questo modello e questa aspettativa sta una realtà completamente diversa. La realtà di un ordine giudiziari travagliato da scontri politici, frammentato in fazioni e in veri e propri partitini. Il giudice, come ogni altro cittadino, ha il diritto di professare fedi politiche (anche se i sistemi moderni e quello italiano prevedono la possibilità per la legge di limitare il diritto a militare nei partiti per i giudici come per altri funzionari addetti a delicati settori). Diverso tuttavia il caso in cui l'opinione politica rappresenta la maschera che copre la costituzione di un gruppo e di correnti il cui scopo è la tutela di interessi palesi ed occulti degli associati. La particizzazione dei giudici ha abbastanza poco di "ideale". La politicità si traduce in una scarsa adesione ai valori
e in una grande attenzione agli interessi dei singoli e di gruppo. Troppe volte i partiti dei giudici concepiscono il proprio ruolo come quello puramente sindacalistico e corporativo di difesa degli associati: difesa nelle carriere, nelle scalate, nelle cordate, difesa persino quando si tratta di infliggere una sanzione disciplinare per episodi che offuscano gravemente l'immagine della giustizia e che ledono i diritti del cittadino.
La Costituzione italiana parla di un giudice che dipende solo dalla legge. Il compito si fa difficile quando, accanto alla legge, si ergono nuovi poteri non previsti, e anzi condannati dal nostro ordinamento: il potere delle fazioni, il potere delle correnti, il potere dei gruppuscoli che agitano il giudiziario. Ciò può provocare meccanismi di doppia obbedienza, assolutamente inconcepibili in uno Stato di diritto. Ciò può mortificare quella maggioranza di giudici che concepiscono il proprio ruolo come un ruolo realmente indipendente e che non vorrebbero sottostare alla nuova gerarchia costituita dal pullulare delle fazioni.
2. La supplenza. Il giudice politicizzato è anche un giudice che spesso è portato ad uscire dal proprio ruolo, a sostituirsi con compiti previsti per altri organi. Negli ultimi quindici anni abbiamo visto il proliferare di forme di allargamento in proprio delle competenze. Si è assistito al fenomeno di giudici che si sostituiscono agli amministratori pubblici pretendendo di dettare le regole di gestione di delicati settori dell'amministrazione statale e locale e persino di delicati settori della gestione pubblica dell'economia.
Così come si è assistito al fenomeno di giudici che si considerano sindacalisti pretendendo di ergersi al livello di un organo alternativo di protezione del lavoro (una funzione ben contraddittoria: per una efficace tutela del lavoro occorre infatti attivare il principio democratico, principio che non sta alla base della selezione dei giudici). O al fenomeno di giudici che si considerano imprenditori pretendendo di dettare le buone regole dell'azienda.
Nel quadro di queste patologiche forme di supplenza si assiste anche, a volte, al fenomeno del giudice che sostituisce il poliziotto, del magistrato inquirente che abbandona il proprio ruolo di esaminatore imparziale di prove per scegliere un ruolo, che l'ordinamento affida ad altri organi, di ricercatore di una verità precostituita.
Con tutto questo si assiste ad una mortificazione del principio democratico e all'umiliazione di un libero svolgimento della società civile. Il giudice che si fa amministratore e si sostituisce alla decisione politica è infatti una figura irresponsabile che non è chiamata a rendere conto del proprio operato di fronte ai naturali destinatari dell'azione politica ed amministrativa. Il giudice che si fa sindacalista e imprenditore minaccia il principio della libera associazione tesa a tutelare i diritti del lavoro e quel principio di autonoma iniziativa che sta alla base delle società moderne. Il giudice che si fa o si crede "poliziotto" minaccia il principio della parzialità della magistratura che dovrebbe rappresentare la prima garanzia del cittadino.
3. Le manette facili. Nell'ultimo quindicennio il fenomeno della presenza in carcere di imputati in attesa di giudizio ha assunto dimensioni preoccupanti. Circa due terzi della popolazione detenuta sono rappresentati da cittadini nei cui confronti non è stata emessa una sentenza definitiva me nei confronti dei quali è solo in corso una istruttoria o un processo. Ogni moderno sistema giudiziario ha certo bisogno di impedire che l'accusato di gravi reati si sottragga alla giustizia fuggendo prima della sentenza definitiva. Ma la maggioranza dei casi di detenzione preventiva riguarda altre ipotesi. Casi nei quali non esiste alcun pericolo di fuga, casi a volte nei quali la sentenza definitiva sarà sicuramente così lieve da non dover comportare nessuna forma di detenzione.
La detenzione preventiva sta trasformandosi. Da strumento di tutela della società contro i pericoli di fuga dell'accusato di gravi delitti essa passa ad essere uno strumento di pressione sull'imputato al fine di ottenere collaborazione con il singolo inquirente o magari un salutare, quanto opinabile, "pentimento". Anche le manette facili sono un corollario della partiticità e dello spirito di fazione che si è diffuso nel giudiziario. Chi gioca con disinvoltura sulla libertà del cittadino si sente spesso coperto da una rete di solidarietà associative e partitiche. Ogni mezzo sembra giustificato quando il fine è quello di far trionfare una verità comoda ad una parte politica o comoda ad una strategia di affermazione (o di sopraffazione) politica.
4. Il protagonismo. E' un sintomo lieve ma non meno pericoloso. Si è in presenza di una propensione dei giudici a cercarsi un ruolo da prima pagina. Tesi spesso preconcette o sofisticati "teoremi" devono trionfare per garantire all''"inventore" il diritto alla notorietà. Anche qui si è in presenza di una grave perdita di imparzialità. L'amore per il protagonismo porta a gravi deviazioni. A scegliere la causa e il processo dotato di risonanza, lasciando magari indietro la trattazione di questioni che riguardano persone "oscure" ma che pure hanno diritto ad una rapida definizione dei propri diritti e della propria posizione di fronte alla giustizia. A preferire il risultato esemplare, e dotato quindi di risonanza, nei confronti della figura "esemplare", di un tipo di imputato dotato di notorietà e di simbolicità.
Che dire poi del pullulare di notizie e istruttorie segrete che costellano i giornali? La giustizia a volte interviene. Ma sempre e solo per colpire il cronista incolpevole della rivelazione. Ma esiste un secondo e un terzo livello. La responsabilità di chi passa la notizia o di chi non si preoccupa -con sospetta buona fede- di garantire la riservatezza di delicati atti giudiziari.
5. Il corporativismo. Le fazioni presenti nella magistratura concepiscono la propria funzione come un monopolio: ogni decisione presa dalla istituzioni democratiche in materia di giustizia deve venire dal seno stesso della comunità formata dai gruppuscoli di magistrati. Le fazioni e i partitini non si limitano a fare quello che fanno altri sindacalisti: difendere cioè il salario degli iscritti o le condizioni di lavoro.
Essi pretendono di monopolizzare le decisioni di giustizia. Un organo che si è attribuito compiti sempre nuovi, senza avere la necessaria legittimazione democratica e senza essere dotato di responsabilità, pretende di impedire al Parlamento e agli altri organi dello Stato di intervenire in materie che riguardano i diritti di tutti i cittadini.
Il corporativismo diviene a volte qualcosa di peggio. Esso si trasforma nella pretesa di prevaricare sugli altri organi dello Stato, di imporre soltanto quella legislazione che non alteri il sistema di rapporti presenti in un universo frazionato e, contro la Costituzione, partitizzato.
a cura del Comitato promotore dei referendum sulla giustizia
Può accadere anche a te
Decine di arrestati per omonimia, tutti in carcere per mesi, colpevoli di portare il cognome "sbagliato". Donne nubili costrette agli arresti perché accusate di complicità con un marito mai avuto. Un ragazzo definito dal procuratore capo di Napoli "colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio" dell'assassinio del giornalista Siani, scampato all'ergastolo solo perché un vigile gli aveva verbalizzato una multa all'ora dell'omicidio. Un sarto suicidatosi in carcere a Napoli, la cui innocenza è documentata dopo pochi giorni. Vite distrutte: rovinato il lavoro, rovinati gli affetti, rovinata la stima. Chi paga per tutto questo? Nessuno. Né lo Stato né il magistrato che ha agito persino con colpa grave rispondono civilmente di queste ingiustizie. Il cittadino non ha alcuna tutela: può solo sperare di non incappare in questo modo di "fare giustizia".
Ecco perché il referendum sulla responsabilità civile del giudice: un istituto che esiste in tutti i paesi civili (dove il giudice è elettivo, oppure lo Stato risarcisce il cittadino e poi si rifa' sul magistrato, ma comunque vi sono forme di controllo e di responsabilità) deve essere urgentemente introdotto anche nel nostro. Qualche magistrato troppo forte del suo potere ha detto che questi referendum sulla responsabilità civile e sul Consiglio superiore della magistratura sono "un attacco all'indipendenza della magistratura". E' la stessa, scomposta reazione che si è avuta contro il Parlamento europeo quando si è espresso sul caso Tortora o contro il Presidente della repubblica nella polemica contro il Consiglio superiore della magistratura. Soprattutto è una bugia: è con l'attuale legge che il giudice è nelle mani del ministro di Grazia e Giustizia cui spetta il compito di decidere se si può procedere o meno nei suoi confronti: una forma di dipendenza che va soppressa. Ancora, si è detto che in caso di re
sponsabilità civile il giudice si sentirebbe condizionato nel suo mestiere, quasi che in tutti i mestieri chi sbaglia per colpa grave non ne risponda e non paghi. Avviene per l'ingegnere che costruisce male una diga che crollerà, avviene per il chirurgo che "dimentica" un bisturi nel corpo del paziente; il fatto che ne debbano rispondere civilmente non li aiuta forse a fare meglio, non peggio, il loro mestiere?
In realtà, al di là delle correnti e dei clan organizzati di alcuni magistrati, questi referendum interpretano le esigenze della grande, silenziosa maggioranza dei magistrati, che non temono la responsabilità.
Sanno che più responsabilità significa più indipendenza, più autonomia reale. E questi referendum chiedono solo un giudice sereno, responsabile, autonomo, indipendente.