di Agostino VivianiSOMMARIO: Malgrado la Corte Costituzionale stessa abbia chiarito che il magistrato non può considerarsi "legibus soluto" e, quindi, che anche per esso debbano valere regole e limiti di comportamento, le pressioni della magistratura sono valse a far sì che il Parlamento non abbia mai legiferato in materia di responsabilità civile del giudice.
(Notizie Radicali n.200 del 31 agosto 1987)
Il referendum che ha suscitato maggiore attenzione e più aspre discussioni è quello concernente la responsabilità civile del magistrato. Vuol dire che gli interessi che esso coinvolge sono notevoli e ben radicati. I proponenti il referendum, dunque, hanno posto il dito su di un'autentica piaga. Di qui la inderogabile necessità di approfondire il problema e di discutere le ragioni del pro e del contro con rigorosa obiettività.
Partiamo da un principio del tutto pacifico del nostro sistema: chi per dolo o per colpa produce un danno ingiusto è tenuto a risarcirlo (articolo 2043 c.c). Questa regola -la cui fondatezza non è mai stata posta in discussione- vale in ogni campo, per qualsiasi funzione, per qualunque impiego, per ogni prestazione di opera. In alcuni casi, tuttavia, la responsabilità è più contenuta. E' così per i pubblici dipendenti che rispondono solo per dolo o colpa grave; la stessa limitazione si ha nel campo del lavoro autonomo, se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà (si pensi all'opera del cardiochirurgo). Pertanto, in alcuni casi, responsabilità civile contenuta, mai eliminata.
Si pone, così, una precisa domanda: è concepibile che per il magistrato si faccia una eccezione, e così mostruosa, da liberarlo dalla responsabilità civile in ogni caso e, cioè, anche quando egli arrechi danno ingiusto per dolo o colpa grave? Vediamo cosa significano le due cose.
Il dolo si ha quando si agisce intenzionalmente; quando, cioè, il danno ingiusto è causato volontariamente. E' il caso del magistrato che, di proposito, ignora una norma di legge, oppure trascura l'esame della documentazione di causa, per danneggiare un utente della giustizia. Colpa grave si ha, invece, quando il danno è prodotto per una imperdonabile imperizia (asineria) o per una mancanza di diligenza particolarmente grave. Esempio: non effettuare indagini elementari prima di emettere un provvedimento di cattura. Ancora: il giudice respinge una domanda perché in atti non esiste un documento che, invece, fa bella mostra di sé nel fascicolo di parte.
In casi di questo genere, come può sostenersi che il magistrato non debba rispondere di un comportamento così gravemente violatore del diritto altrui? Eppure c'è chi lo sostiene. Vediamo come e perché. Si obietta che la responsabilità civile verrebbe ad offendere il principio costituzionale della indipendenza e della autonomia della magistratura. Facile è rispondere che -così ragionando- si confonde l'indipendenza con l'arbitrio. Infatti, la Costituzione afferma esplicitamente che "i giudici sono soggetti soltanto alla legge" (articolo 101 Costituzione); ma alla legge, sì! Ed allora occorre stabilire come la società possa essere garantita sull'osservanza di questa dipendenza dalla legge e quali interventi possano esserci a questo proposito. Non è un caso che il citato articolo 101 inizi con un'affermazione troppo spesso e troppo facilmente dimenticata: "la giustizia è amministrata in nome del popolo". Il che segna un legame insuperabile con la sovrana volontà popolare. Del resto, chi legga la Costituzione co
n animo sgombro da interessate prevenzioni sa che, con la normativa in esame si è inteso liberare la magistratura dalla dipendenza dall'esecutivo e non certamente da ogni responsabilità. Il che non è possibile, almeno per chi non dimentichi che la Costituzione è un insieme di armoniosi principi che vanno letti e interpretati nel loro complesso. Non vale prendere una norma, dimenticandone l'origine e la collocazione sistematica, distorcendo a proprio vantaggio il significato. Infatti, chi esamina la situazione con un minimo di serietà (non occorre neppure la obiettività) si accorge subito che la Costituzione pone anche altri principi, alcuni addirittura di carattere generale. Tra gli altri (parte prima "Diritti e doveri dei cittadini", titolo primo "Rapporti civili") proprio quello concernente la diretta responsabilità dei "funzionari" e dei "dipendenti dello Stato e degli Enti pubblici", "secondo le leggi penali, civili" "e amministrative" per gli "atti compiuti in violazione di diritti" (articolo 28 Costitu
zione). La parte più retriva della magistratura (è storia vecchia), pur di conservare l'inconcepibile privilegio, sostenne che la magistratura non rientra né nella categoria dei "funzionari" né in quella dei "dipendenti dello Stato ". Ci fu allora chi si domandò polemicamente chi fosse a dare al magistrato gli stipendi (ormai ben congrui) di cui gode. Ma -a parte la pur legittima battuta- fu giocoforza far osservare a chi cercava di violentare anche la Costituzione, per la difesa, per di più ottusa, di interessi egoistici, che la Costituzione aveva altre norme, fra cui l'articolo 98, che pone esplicitamente tra "i pubblici impiegati" anche i magistrati. Tuttavia, neppure di fronte ad una dizione così chiara ci si arrese. Ed allora ecco il ricorso alla Corte Costituzionale che -con sentenza 14 marzo 1968 n. 2- ha detto una parola ferma, autorevole, definitiva. Si legge, infatti, nella detta sentenza: "L'articolo 28 della Costituzione, che dichiara responsabile della violazione di diritti soggettivi tanto funz
ionari e dipendenti quanto lo Stato, ha ad oggetto non solo l'attività degli uffici amministrativi, ma anche quella degli uffici giudiziari. Non giova invocare, in contrario, l'autonomia e l'indipendenza della magistratura e del giudice che non pongono l'una (la magistratura) "al di là dello Stato, quasi legibus soluta", né l'altro (il giudice) "fuori della organizzazione statale". A questo punto, appare indiscutibile che il legislatore ordinario avrebbe dovuto provvedere -adempimento di un obbligo costituzionale- a regolamentare la responsabilità civile del magistrato.
Stabilito il principio che anche il magistrato risponde civilmente del danno ingiusto prodotto, si è cercato di giustificare altrimenti la pretesa irresponsabilità. Si dice, a questo proposito, che la responsabilizzazione del magistrato creerebbe una magistratura conformista, che non compirebbe più il suo dovere.
Quanto questo argomento sia deteriore, non occorre illustrarlo. Ci sono magistrati che nel loro lavoro hanno di mira soltanto la giustizia, e che non temono affatto la loro responsabilizzazione anche in sede civile; anzi, l'auspicano, sia pure costituendo in genere una maggioranza silenziosa.