Favola purtroppo seria di Sandro TessariSOMMARIO: Il racconto della discussione che si è svolta nella Commissione industria della Camera dei deputati in sede di esame della legge che concede risarcimenti ai comuni che ospitano centrali nucleari.
Qui comincia l'avventura...
Il presidente della Commissione dette lettura di una proposta di legge per rendere più rapido e deciso l'avvio del piano nucleare. Erano anni che tutte le leggi si impantanavano nelle ostilità delle regioni, nella diffidenza dei comuni, nella collera dei cittadini. Come se non bastasse radicali ed ecologisti si erano messi ad agitare gli animi per cui sembrava sempre più difficile potere mettere l'Italia in linea con i paesi più moderni ed emancipati.
Si era così fatta strada, nei più, l'idea che bisognasse stralciare da quell'ammasso di articoli, di leggi enfatiche, di enunciazioni solenni, un solo articolo -snello- che prevedesse un congruo risarcimento ai comuni che avessero ospitato le nuove centrali nucleari. Questo era il fatto e, su questa necessità, subito convennero tutti i commissari ad eccezione del nostro "ostruttore" che, appunto in quella occasione, annunciò il suo ostruzionismo. Diceva -l'ingenuo- che questa norma legalizzava le tangenti e non sapeva -forse per l'età o per il furore antinucleare che lo accecava- che da anni lo Stato dava congrui contributi ai comuni per il disturbo creato dai grossi impianti di produzione di energia elettrica. Ma procediamo per gradi.
1· aprile 82: il pesce è radioattivo
Il 1· aprile del 1982 i commissari, scherzosi, prepararono il pesce di rito all'ostruttore decidendo che, trattandosi di una modesta leggina, era meglio evitare l'esame solenne dell'Assemblea con tutti i deputati. Molto meglio votarla in Commissione, tra pochi intimi. Questo, tra l'altro, offriva indubbi vantaggi: maggior discrezione -data la delicatezza dell'argomento-, niente giornalisti, niente tribune con il pubblico emozionabile, niente pubblicità. Furono quindi sgominati sul nascere tutti i tentativi dell'ostruttore di portare le telecamere, i giornalisti, i curiosi, di fare insomma, della Commissione, un palcoscenico.
I suoi argomenti erano piuttosto sempliciotti anche se sembravano sensati. Se il nucleare -diceva- è bello, pulito, necessario all'economia e al progresso che necessità avete di inondare di miliardi i comuni che lo ospiteranno? Volete forse comprare la loro paura, le loro preoccupazioni o addirittura la loro salute? E poi, che senso hanno tutti questi sotterfugi, questa clandestinità, questo lavorare a "porte chiuse"? Qualche deputato scherzò sull'ignoranza dell'ostruttore: non sapeva che anche i tribunali, di tanto in tanto, celebrano processi a "porte chiuse"? Tutti risero di cuore alla battuta e con qualche gomitata ammiccante si disposero, allegri e solerti, al duro lavoro che li attendeva.
Nucleare sì, ma che non si veda
Il relatore per la maggioranza pose sul tappeto la prima questione: come titolare la legge? Proposta: contributi a favore di comuni sede di centrali nucleari. No, no, fanno in coro i diversi commissari, la parola »nucleare non deve comparire. Più indiretti bisogna essere, più sfumati, che diamine! Ci manca anche di sbattere il mostro nucleare in prima pagina sul titolo della legge! Potremo dire "termonucleari", per esempio, suggerisce qualcuno. No, no, fanno eco in molti. "Termoelettriche", questa è l'espressione giusta. Anzi, meglio di tutto "centrali elettriche", semplicemente; è più casto. Sarà anche più casto sbotta qualcuno, però la dicitura comprende anche le centrali non nucleari, quelle a carbone. Beh, fa con aria sorniona il proponente, il carbone, in fondo, anche lui ha i suoi problemi. Anche lui procura qualche fastidio ai vicini di casa... A questo punto tutti i commissari si erano messi a dir la loro sulla diversificazione, sul nucleare e sul carbone.
Il presidente ebbe un moto di sgomento: non è per caso che vi state alleando con l'ostruttore anche voi? Dopo diversi scambi di battute in linguaggio cifrato, dove ritornava costantemente un richiamo al petrolio ed ai suoi prezzi in salita, e qualche telefonata con interlocutori che rimanevano sempre nell'ombra, il relatore, che deve riferire sul testo da sottoporre al voto della Commissione, prende in mano la situazione: il nucleare e il carbone sono ugualmente meritevoli per la causa del progresso. Non penso si debba negare al secondo quello che accordiamo al primo...
Casomai qualcosina di meno. Tutti i commissari si congratulano per le parole così lapalissiane del relatore e decidono che così va bene.
Cominciano a comprare i comuni
La legge viene pertanto titolata:"Norme per l'erogazione di contributi a favore di comuni sedi di centrali elettriche alimentate con combustibili, diversi dagli idrocarburi".
La finezza di questa circonlocuzione aveva fatto scomparire sul nascere ogni sospetto che si trattasse di soldi da distribuire, così come quel richiamo così domestico alle centrali elettriche aveva allontanato i timori di un salto troppo repentino verso il futuro nucleare. Tutti i commissari si compiacquero anzi che, a questo proposito, il presidente dell'ENEL si fosse fatto parte diligente di questa preoccupazione. Aveva mandato, infatti, a tutti gli utenti, assieme alla bolletta della luce, anche una letterina in cui si faceva capire, senza dirlo apertamente, che la bolletta della luce sarebbe calata quanto più fosse cresciuto il nucleare. Per il momento era prematuro parlare di nucleare all'italiano medio. Importante era insinuargli questa convinzione rassicurante, di un nucleare prossimo venturo e comunque carico di doni.
Il solo ostruttore non apprezzò questo elegante pedagogismo promozionale dell'ENEL. Un giorno, anzi, incontratone il presidente nell'aula della Commissione, aveva rovesciato sul medesimo una tale quantità di parolacce da far arrossire le stenografe che hanno il compito di trascrivere tutto quello che i commissari dicono.
Era stato da pochi minuti raggiunto l'accordo sul titolo della legge che si notò nell'aula della Commissione un generale trambusto. Sembrava che una preoccupazione, fra tutte, avesse preso i commissari: scoprire chi erano i fortunati vincitori della lotteria che si stava allestendo. Per la prima volta i capannelli che si formano generalmente in questi frangenti non attraversavano indistintamente tutti i partiti. Sulla scelta nucleare, infatti, non c'erano mai stati dissensi o differenze tra la maggioranza e tutte le opposizioni, quelle serie. Da questo corale consenso restava fuori il solo ostruttore che, a ben vedere, non poteva essere considerato un'opposizione seria. Si poteva notare che quel naturale movimento di teste, che si incrocchiano spontaneamente in un angolo della sala o nell'altro, come fanno le onde del mare quando tira il vento, questa volta avveniva in maniera selettiva. Le teste della maggioranza sciabordavano da un lato, attorno al loro scoglio più autorevole, così per le opposizioni. Uso
qui "opposizione", come un nome d'arte per quei partiti che non fanno parte della maggioranza ma che si guardano bene dal far cadere la maggioranza medesima...
...Ma son solo comunisti questi sindaci
Dallo sciabordio della maggioranza esce un filo di voce lamentoso che appena si percepisce: ma son quasi tutti comunisti questi sindaci nucleari! Inaudito!
I comunisti, dando prova di fair play, fanno finta di non sentire. Il relatore azzarda un emendamento guardando titubante i comunisti i quali, serafici, guardano lontano. Il loro leader, la barbetta curata tutta sale e pepe, sta accendendosi la pipa di radica e scherza amabilmente con i suoi.
In paratica la maggioranza vorrebbe che i soldi andassero non solo ai comuni, un po' troppo comunisti, che ospitano le centrali ma anche a quelli contigui che sono, almeno in parte, di centro-sinistra. Tutti, con un significativo silenzio, fanno mostra di considerare così ovvia la cosa da non meritare che se ne parli neppure.
Forse -azzarda gattopardesco e distratto qualcuno- "contiguo" è termine fin troppo rigido.
Soldi contigui? No, limitrofi
Troppo restrittivo -prorompe quello che non si dovrebbe mai portare nei salotti per bene- lascia fuori troppa gente.
Qualche colpetto di tosse. Si concorda su "limitrofi". Limitrofo vuol dire vicino anche se non necessariamente contiguo. Consente una certa elegante discrezionalità.
Si arriva così al punto più crudo, quello della quantificazione del denaro. A cosa ancorare l'erogazione del contributo? Ai "chilowattora" prodotti, suggerisce qualcuno. Un certo numero di teste si addensa attorno a un telefono. D'oltrefilo viene un suggerimento: meglio ancorarli ai "chilowatt" di potenza installata. Nell'angolo della sala dove si attruppano i commissari che non sanno stare a tavola, si sente forte: con queste centrali del cacchio che stanno sempre ferme, hai voglia a contare i soldi sui chilowattora prodotti. Ancorandoli alla potenza nominale dell'impianto, i soldi ce li hai comunque, anche se la centrale sta ferma.
La parte educata della Commissione, mostrando un inequivocabile disprezzo per simili espressioni, in un soffio azzurrino che esce dalle pipe accarezzate da mani ben curate, sussurra come cosa fatta; ma sì, non creiamo contenziosi inutili; i soldi si diano e per "chilowattora" prodotti e per "potenza installata". Si passi ad altro.
Guai a scordarsi qualcuno...
Da qualche minuto un telefono continuava a strillare. Dalla cornetta uscivano ruscelli di lacrime alternati a torrenti di invettive: parlando solo di centrali in esercizio, i soldi li darete solo a quei due o tre comuni che hanno vecchie centraline mignon, bagatelle. A noi che ci stanno costruendo le megacentrali del piano energetico, non verrà in tasca una lira prima di cent'anni. Lo sanno tutti che in Italia le centrali non le vuole nessuno -continuava la voce che ormai è un dies irae- ma proprio nessuno. Siamo realistici! I soldi, se ce li date, dateceli subito, perché le rogne le abbiamo già adesso: gli ecologisti, le proteste, i contadini, i blocchi stradali e tutta la canea antinucleare!
La maggioranza si consulta con le opposizioni, le quali si consultano con la maggioranza. Ma come mai ci è sfuggito questo particolare, si domanda qualcuno battendosi la fronte. Il relatore recepisce solennemente l'istanza di base e corregge il testo che diventa: "un contributo per ciascun chilowatt di potenza nominale degli impianti in corso di costruzione".
Tutto questo parlare e decidere si svolge mentre l'ostruttore, cui nessuno bada, recita il suo monologo ostruzionistico. Il segretario della Commissione non aveva fatto in tempo a prendere in mano la penna quando da un telefono trillante, che nessuno si decideva a sollevare, esce uno spruzzo di inchiostro che su un foglio bianco prende la forma di una supplica: vi siete scordati di me. Io ancora la centrale non ce l'ho, ma avrò presto l'autorizzazione ad averla. Vi supplico, mettete dentro anche me.
Il presidente, senza prestarvi la benché minima attenzione, lascia cadere la supplica untuosa tra le mani dell'amanuense mentre partecipa sorridendo a una battuta di spirito volteggiante in fondo alla sala. Il comma viene così perfezionato specificando che i contributi, dati per gli impianti in corso di costruzione, verranno estesi anche agli impianti "che saranno successivamente autorizzati".
E le regioni?
Dove le metti le regioni?
La settimana successiva, i lavori della Commissione iniziano male. Nel cielo, nuvoloni neri non fanno presagire nulla di buono. Si corre a chiudere le finestre con le tende svolazzanti. L'unico elemento tranquillizzante è la voce monotona dell'ostruttore che continua a parlare come se il mondo non esistesse. E fuori dai vetri delle finestre, il mondo rumoreggia. Da tutte le regioni d'Italia si minaccia una marcia su Roma. Si è saputo che, con disprezzo delle istanze regionali, i soldi verranno dati solo ai comuni e ai loro limitrofi.
Non siamo noi limitrofe? Gridano le regioni. Le centrali insistono sul nostro territorio e noi insistiamo! Forse che il disturbo non tocca anche a noi?
Il relatore, la maggioranza, la minoranza, la totalità, sempre ad eccezione dell'ostruttore, che tanto non si accorge di nulla, corrono ai ripari. Recepiscono subito con fermezza perché non si creda che cedano a pressioni di sorta. In fondo si tratta solo di modificare il titolo della legge che ora recita così: "Contributi a favore dei comuni e delle regioni sede di centrali...".
Un urlo solitario squarcia la notte. Era notte perché la Commissione si era riunita alle 22 nella speranza di far cadere nel sonno l'ostruttore monologante. L'urlo scuote i commissari precettati per il turno della notte mentre erano intenti alla lettura dei romanzi che si erano portati da casa.
Ma resto esclusa solo io! Urla la solitaria voce regionale. Ma perché mai? gli fa eco, corale, la Commissione, consapevole di aver così bene distribuito la manna che era difficile che a qualcuno non ne toccasse. Ma la notte è rotta solo da singhiozzi di potenza inusitata. Almeno mille megawatt, si era indotti a pensare. Invece erano milleduecento, come poi si apprese.
Soldi una tantum
Ma sei proprio sicura di non essere a bordo? Chiede in unisono solenne la Commissione. Risposta di pianto scrosciante. E le altre regioni che son come te?, insinua la Commissione. Le altre regioni sono fortunate sbotta infine la voce straziante. Loro, le centrali, o ce le hanno nucleari o ce le hanno convertibili a carbone. I soldi quindi se li prendono comunque. E la tua com'è?, chiede la Commissione tranquillizzata dall'incipiente ragionevolezza della voce notturna. La mia, purtroppo, non è convertibile, ma proprio per niente.
I commissari roteano in giro le occhiaie pronunciate. Qualcuno butta là: e se questo è un trucco, un cavallo di Troia... Macché cavallo di Troia!, risponde uno che si è appena svegliato ma mostra di avere idee precise in proposito. Quello è un figlio di troia, se passa lui non sappiamo come si allarghi le braccia. E più si allarga, voi mi capite, meno si acchiappa...
Soldi ad personam
La regione, urlante, capisce: o adesso o mai più. Comincia a giurare che lei è sola, la negletta, e che non ci sono inganni nella richiesta assolutamente innocente, una richiesta perequativa. La Commissione, provata dalla lunga veglia, tutto sopporterebbe, tranne che apparire sperequativa. Propone quindi di inserire nel testo: "per gli impianti termoelettrici alimentati ad olio combustibile non convertibili e non previsti per il funzionamento a carbone".
Un commissario, dotato di straordinaria capacità logica, azzarda: ma così facendo, praticamente, il contributo è come se lo dessimo a tutti. La legge era nata per agevolare il nucleare: l'abbiamo allargata al carbone e adesso al petrolio. Forse si è perso il senso di intervento straordinario che doveva avere. La regione, che stava all'altro capo del telefono, capisce il pericolo che corre proprio quando sembrava che tutto stesse andando a posto e prorompe: se temete che il mio sia un trucco, ecco, potete specificare ancora... vi offro il mio identikit. Potete aggiungere: "di potenza nominale non inferiore a 1200 megawatt". Se non vi basta ancora, se temete che non di me sola si tratti, aggiungete: "impianti entrati in esercizio dopo la data del 31 dicembre 1980".
Soldi a go-go
La Commissione, a questo punto, di fronte a prove così inoppugnabili di buona fede, rassicurata che si tratta di una regalia ad personam, accetta. Però aggiunge burbera: ma mi raccomando, che sia "un contributo una tantum". Così resta stabilito.
Nel frattempo gli uffici studi dei comuni avevano fatto un po' di conti e considerata la miseria di questa regalia fanno montare una protesta di carattere tecnico. Dai quattro angoli della penisola, sindaci di tutti i colori dell'arcobaleno soffiano sul fuoco del malcontento popolare. Diffondono tra la gente l'idea che quelli della Commissione non sappiano fare di conto, non capiscano proprio nulla di finanza. Ma come si fa, diamine, a dare dei contributi fissi con questi tassi di inflazione che ci ritroviamo? Tra qualche anno ci troveremo con un pugno di mosche, mormorano da tutte le parti.
Una sussiegosa rappresentanza dell'arco costituzionale chiede di farsi sentire. Il colloquio è pieno di congiuntivi e di concetti teorici di grande respiro. Il succo, pressappoco, è questo: sì, son proprio quattro soldi... dateceli almeno indicizzati. La Commissione, che si muove in sintonia con l'arcobaleno dell'arco costituzionale, non può non convenire sulla liceità della richiesta. Così, nel testo, si precisa che i "contributi di cui... sono indicizzati".
Cenni biografici sull'ostruttore
Erano passati ormai molti mesi dall'inizio dei lavori per la redazione di questo testo di legge faticosissimo. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la legge constatava di un solo articolo ma di così densa sapienza legislativa che le stagioni passavano e i commissari non riuscivano ad arrivare al dunque. Dopo la primavera giunse l'estate. L'ostruttore, che non era mai andato a casa per timore che in sua assenza la Commissione commettesse chissà quali nefandezze, continuava imperterrito a parlare. In luglio tutti i commissari sfoggiavano eleganti e leggeri abiti di lino chiaro con camicie fresche. L'ostruttore, non essendosi potuto cambiare di abito, sudava molto con i suoi panni invernali, ma la passione che lo animava, non lo rendeva accorto di quanto andava accadendo e mutando attorno a lui. Ormai i suoi abiti si confondevano col colore verdastro del cuoio della sedia da dove non si era, per molti mesi, scollato.
... e sul Pec
Venne l'autunno con le sue piogge. Con le piogge venne anche il Pec. Nonostante l'opinione dell'ostruttore, Pec non è la sigla abbreviativa del peculato. E' una cosa diversa. Da molti anni non fa dormire gli abitanti dell'Appennino tosco-emiliano. Il Pec è strettamente connesso con il piano nucleare, ma non è esso stesso una centrale e quindi non c'era verso di inserirlo, con i suoi abitanti, nei benefici della legge. Fu, all'uopo, lanciato un appello alle più belle intelligenze del paese perché studiassero il modo di far rientrare anche il Pec nella filosofia della legge.
Questo sconosciuto... sciuta...
Dopo molto pensare si scoprì che il Pec è un reattore per la sperimentazione dei combustibili delle centrali elettriche di tipo avanzato. Questi scienziati sono straordinari: riescono a fare delle conferenze sul nucleare dandoti sempre la sensazione che si parli di altro. Hanno perfino suggerito al Comitato nazionale per l'energia nucleare di cambiare nome e look: difatti oggi l'ente che promuove il nucleare in Italia è conosciuto con il nome d'arte ENEA, che oltre a costituire un omaggio doveroso alla nobile tradizione virgiliana, si può anche codificare come Ente nazionale delle energie alternative. E tutti converranno che è molto più tranquillizzante questo stile tutto allusioni ed elusioni.
Quindi, trovato che il Pec è un reattore come gli altri reattori, anche se non produce energia elettrica, si pensò che sarebbe stato scandaloso escluderlo dalla legge. Alla Commissione, cui non verrebbe mai in mente di opporsi, in qualche modo al parere dei tecnici, la cosa appare così ovvia che si conviene subito di dare qualche soldino anche al comune che ospita un così importante reattore.
Il Pec doveva avere degli amici influenti perché subito tutti i telefoni della Commissione cominciano a trillare. Incroci di telefonate interurbane ed intercontinentali. I messaggi, che avevano tutti un tono più che supplicatorio, francamente ordinatorio, concordavano ed insistevano su un fatto: il finanziamento non doveva essere una tantum.
Ma a cosa ancorarlo se il Pec non produce elettricità e quindi non ci sono chilowattora da computare?, si chiedeva smarrita la Commissione. Che cosa si può trovare che abbia la stessa energia e vitalità crescente come quella delle turbine delle grandi centrali? In un commissario si accende la lampadina dell'intelligenza: ma certo, che diamine, come non averci pensato prima? Altro che turbine, il Pec si che è turbinoso nella crescita esponenziale dei suoi costi: ad un terzo dei lavori ha già superato di tre volte le previsioni di spesa finale.
Questa è un'idea, risposero in coro i commissari per coprire la voce dell'ostruttore che era salita di qualche decibel di troppo. Nel tradurre l'idea luminosa in pratica, a qualche commissario venne il dubbio che la cosa fosse un tantino demenziale, ma dal momento che nessun commissario sembrava conoscere bene il Pec, il suggerimento venne accolto anche in considerazione del fatto che la richiesta di emolumenti sembrava modesta e quasi timida: solo il 5 per mille delle spese. Una sciocchezza.
Erano tutti così felici di aver trovato un intelligente soluzione ad un così delicato problema tecnico, con la scienza strettamente connesso, che nessuno badava alle imprecazioni dell'ostruttore.
D'un tratto un commissario che stava al telefono getta la cornetta come se scottasse. Dalla cornetta che saltellava rabbiosa sul tavolo escono fiumi di insolenze: siete degli analfabeti! Grida la voce all'indirizzo dei commissari. Ma non sapete che il Pec costerà molto più di una centrale? E soprattutto il suo costo sarà eterno? Come eterno?, azzarda smarrito qualche commissario. Perché non potrà mai essere completato, continua implacabile la cornetta. Altrimenti si scoprirà l'inganno, che il Pec non serve a nulla, che è già fuori tempo, che è già obsoleto. Obsoleto?, fanno eco sempre più impacciati i commissari che pensavano al Pec come a qualcosa di molto avanguardistico.
L'ultima risposta della cornetta chiarisce l'equivoco. Sì, il Pec è come la tela di Penelope: non deve mai finire. Durando eterno nel tempo, il Pec risolve molti problemi: dà lavoro ai giovani, allevia il disagio del Mezzogiorno, alimenta le industrie che ricevono gli appalti (quelle per costruire e quelle per demolire: una specie di industria perpetua). E come gran finale adesso alimenterà anche il comune che lo ospita. Eternamente.
Ma di che sesso è sto' Pec?
I commissari si guardano tra loro un po' imbarazzati. Si domandano a vicenda: ma tu cosa sai di questo benedetto Pec? Ma le risposte sono del tipo: vuoi dire "benedetta", perché Pec è una centrale e quindi femminile. Incerti anche sul sesso del Pec, i commissari sprofondano nell'avvilimento. Da quanti anni è in piedi? Ma non è in piedi, perché non è finita, dunque è seduta. Sì, d'accordo, ma quando cominciò tutto questo? Panico profondo in Commissione. Nessuno ricordava quando fosse stata messa la prima pietra, né chi fosse stato il ministro inaugurale che aveva dato il primo colpo di cazzuola. La cosa stava veramente prendendo una brutta piega. Il presidente, con mossa maliziosa, mette la cornetta davanti all'altoparlante che mandava a tutto volume l'intervento fiume dell'ostruttore il quale, peraltro, non avendo molti argomenti, insisteva su un concetto monotematico: Pec-peculato. Pec-peccato, Pec-peculato, ripeteva ossessivamente che pareva quasi tartagliasse. Quando poi variò in "Pec-pacchia", un commiss
ario gli fece notare che non aveva proprio orecchio per la rima. Il presidente sperava che con la mossa del telefono l'anonimo interlocutore si rendesse conto che in Commissione c'era anche chi del Pec diceva un gran male.
A toglierlo da questo qui pro quo fu un sussurrio che veniva da dietro le spesse tende di velluto davanti alla porta di ingresso. Tra le amplie pieghe di quelle tende, fin dall'inizio della discussione della legge, si era andato annidando tutta una serie curiosa di personaggi dalle etichette più strane.
Scherzosamente erano chiamati gli amici dell'atomo, perché avevano un tale attaccamento alla legge che avevano deciso -in questo molto simili all'ostruttore- di non abbandonare la trincea fino a quando la scienza non avesse trionfato. Anche loro, così, bivaccavano come l'ostruttore, senza mai andare a casa, senza cambiarsi la camicia. La sera, si cucinavano un ovetto su un fornelletto alimentato da una piccola centralina atomica tascabile. Come spesso succede, questi opposti irriducibili avevano finito quasi per fraternizzare. Qualche volta gli amici dell'atomo avevano offerto la loro centralina atomica all'ostruttore perché si scaldasse un po' di caffè ma ne avevano sempre ricevuto un rifiuto cortese. L'ostruttore riteneva di non dover mai smentire la sua fede nelle energie rinnovabili. Così, lui utilizzava una rudimentale turbina mossa dalla cascata irruente dei fiumi di sudore che gli colavano dalla fronte durante i suoi inesauribili e concitati monologhi. Ognuno a modo suo puntava all'autosufficienza ene
rgetica e alla non dipendenza dall'estero per gli approvvigionamenti.
Ha anche degli amici
Gli amici dell'atomo spiegano al presidente che chi minaccia tuoni e fulmini al telefono è il comune limitrofo al Pec. Il quale, a nome di tutti i limitrofi, chiede l'estensione del beneficio in conformità con la filosofia della legge. Il presidente riferisce al relatore il quale relaziona ai commissari: è solo un problema perequativo, fanno tutti in coro. Ma è chiaro che è stata una svista, la nostra, aggiunge un commissario con la quinta marcia. Non essendo il Pec una centrale, è chiaro che il concetto di limitrofo, che valeva per i comuni con le centrali, qui non si applica se non si esplicita. Si espliciti, ordunque, fa soddisfatto il presidente. Così la Commissione nella sua sapienza salomonica decide di accogliere la richiesta dei limitrofi. E la legge distribuirà equamente i contributi al comune che ospita il Pec e "agli altri comuni limitrofi".
e sono limitrofi...
Ma i problemi, lungi dall'apparir composti, si affacciavano via via sempre più scomposti. Riesplode la disputa che era già esplosa in occasione della dotta discettazione sull'ambiguità semantica del concetto di "limitrofo". Alla fine il relatore, che nel gioco delle parti rappresenta la maggioranza di governo, consapevole che se si barricava dietro un'interpretazione riduttiva del concetto di limitrofo avrebbe finito per dare soldi solo a qualche sindaco comunista -che vuoi trovare d'altro nell'Appennino tosco-emiliano?- decide per il pluralismo semantico. Il testo di legge pertanto recherà la significativa esplicitazione: "comuni limitrofi interessati".
e interessati...
I commissari del loggione esplodono: e voglio vedere io se qualche comune dell'intero arco appenninico non è interessato a partecipare alla spartizione di questa vera manna dal cielo!
Vengo anch'io? Bah, perché no?!
Nella fantasia dei commissari si accendono le luci delle grandi battaglie ideali. Lotte intercomunali: io sono limitrofo; non, tu no. Ma io sono interessato, come dice la legge. Insomma una vera guerra tra chi è limitrofo ed interessato e chi è meno limitrofo e magari più interessato. Ad un certo punto, come sempre accade in queste situazioni, la sapienza esce fuori con la semplicità della verità. A decidere chi sia veramente "comune limitrofo interessato" veramente disinteressato sarà un tribunale superiore, quello della regione, sanzionano i commissari che non essendo mai stati a fare picnic sul Brasimone -qualcuno continuava a parlare di Trasimeno- non sanno che l'area dei comuni limitrofi ed interessati alla distribuzione di pubblico denaro investe più di una regione.
Non hai fatto in tempo a sedare la rissa tra i comuni che già esplode la rissa tra le regioni che sono ambedue limitrofe ed ambedue interessate alla questione.
Ma la fantasia del legislatore è infinita. Non si arresta mai alla prima difficoltà. C'era in realtà un piccolo problema che dava fastidio ai partiti della maggioranza ed era che ambedue le regioni cui sarebbe andato il finanziamento erano rosse. La cosa era inequivocabilmente fastidiosa. Perché, in fondo, il governo, che rosso non è, deve, con la sua maggioranza, dare dei soldi a due regioni rosse che litigheranno continuamente per rivendicare la loro maggior limitrofità e interesse ai soldi del Pec? La soluzione è come l'uovo di Colombo. E la maggioranza confezionerà il testo: "Ove l'intesa non venga raggiunta sarà provveduto con decreto del ministro per l'industria". Questo almeno è di sicura fede, sbotta qualcuno. I comunisti sono felici. In cuor loro pensano che non litigheranno mai per non dare pretesto al ministro di mettere il naso in cose che sono solo tosco-emiliane.
Largo alle »opere civili
Alla fine, rileggendo l'intero comma, qualcuno, dopo rapidi calcoli e ripensando che è difficile trovare non solo nell'Appennino tosco-emiliano qualche comune che non sia in qualche modo interessato oltreché a ricevere il sussidio anche dagli eventuali guasti o fughe radioattive o trasporto di materiali pericolosi, ha pensato bene di arrotondare l'obolo del 5 per mille ancorandolo, oltreché al costo del reattore, che è cifra a tutti sconosciuta -sembra aggirarsi intorno ad un numero imprecisato di migliaia di miliardi- anche al costo "delle spese da sostenere per le opere civili".
Come ognuno può ben vedere nel concetto "opere civili" non è racchiusa una cosa specifica ma qualunque cosa sia fattibile o pensabile; strade, ponti, viadotti aerei, autostrade a sedici carreggiate. Chi potrebbe negare a queste costosissime cose il diritto di essere considerate opere civili e quindi produttrici di quel beneficio del 5 per mille di cui parla la legge?
Tutti i commissari a questo punto sono presi da invidia per non essere sindaci di uno dei comunelli del Pec su cui sarebbe ricaduta una tale abbondante pioggia di oro.
Straordinaria intuizione, questa, delle opere civili! Demolire una casa e costruirne un'altra per non meglio precisate esigenze del reattore. Chi può dire in fondo di conoscere le esigenze di un reattore così strano ed anomalo come il Pec? Ma perché limitarsi ad una casa? Spostare interi villaggi, comuni, cittadine, tutto può rientrare nel concetto di "opere civili": spostare a valle i paesini sprofondati nei fondovalle. Magnifico, magnifico, esclamano tutti rapiti. Questa è la vera pietra filosofale!
La 393 non è un ambo secco?
Ad un certo punto tra i commissari si diffonde un po' di imbarazzo. L'ostruttore aveva preso minacciosamente ad agitare come una bandiera un foglio di carta. La "393", la "393" urlava con la sua voce stentorea, senza bisogno, dacché in Commissione si sente benissimo anche parlando sottovoce.
I commissari parlano spesso, per comodità ed economia di discorso, dando i numeri delle leggi cui si riferiscono e tutti capiscono o fingono di capire perché non è simpatico far mostra di non saper riconoscere una legge dal suo numero. Nessuno in realtà sapeva bene cosa volesse dire quel "393" così urlato, ma la sensazione diffusa era che evocasse qualcosa di sgradevole, una parente impresentabile che si tiene in cucina quando arrivano gli ospiti di riguardo, qualcosa del genere. Il presidente, interpretando una diffusa esigenza di essere tratti fuori da quella situazione di incertezza, fa sospendere la seduta. I quindici telefoni disseminati per la stanza vengono presi d'assalto. Incomincia una serie concitatissima di conversazioni, quasi tutte cifrate come sanno fare i più bravi agenti di borsa nelle giornate del listino caldo.
Macché, è solo il doppio contributo
Alla ripresa dei lavori, il relatore per la maggioranza, con solenne compunzione ringrazia l'ostruttore per quel richiamo alla "393". Se non fosse stato per la sua straordinaria memoria la Commissione avrebbe corso il rischio di dare due volte il contributo statale a certi comuni in cambio dello stesso "disagio", per usare una parola che sintetizzi tutte le seccature cui va incontro un comune che generosamente offra la sua ospitalità ad una centrale. Mentre un contenuto senso di apprezzamento si poteva leggere sul volto di molti commissari, qualcuno anche annuente all'indirizzo dell'ostruttore, la voce impassibile del segretario dava lettura del testo che tutti speravano, almeno per questo comma, avrebbe avuto il consenso unanime della Commissione: "L'individuazione dei comuni destinatari dei contributi e la ripartizione del contributo tra gli stessi, nonché l'accertamento della sussistenza dei requisiti per l'erogazione dei contributi previsti dall'articolo 15 della legge 2 agosto 1975, n. 393 sono disposti
con decreto del presidente della giunta regionale".
Tutti d'accordo. Anzi d'accordissimo
L'ostruttore, che almeno per una volta sperava di poter votare normalmente come tutti gli altri, senza essere sempre costretto ad opporre la sua diversità, tentò di dire che quella dicitura non solo non impediva affatto al presidente della giunta di dare il doppio contributo, ma addirittura lo autorizzava: fu sommerso da un coro di "ma non sei mai contento!", "ma tu hai dei problemi", "ma che diamine!".
Mentre i commissari procedevano compatti alla votazione, una voce dal fondo, canzonatoria, apostrofò l'ostruttore: ma ti pare che un presidente di giunta regionale dia due volte i soldi ad un sindaco? Eh, eh, bisognerebbe che fosse del suo partito, della sua corrente, della sua sottocorrente... e questo, in termini di probabilità, è davvero molto, ma molto poco probabile.
Al tempo in cui si svolsero le fantasie di cui parlo la nube di Chernobyl non aveva ancora fatto il giro del pianeta per cui tutti i commissari, ad eccezione dell'ostruttore, una fresca mattina di novembre, traendo dal profondo del cuore un sospiro, votarono a favore della legge. Nessuno ricordava bene chi fosse stato il primo a dire che votare per il nucleare voleva dire votare per la scienza, per la ragione, per il progresso, così tutti avevano ripetuto quel concetto convinti che l'unanimità fosse quasi sinonimo di verità.
E l'ostruttore chi se lo ricorda?
La presenza dell'ostruttore era da tutti considerata ininfluente ai fini di quello che doveva ritenersi, comunque, un voto unanimistico. E poi in fondo che cosa può mai rappresentare quell'unico voto contrario alla legge, a petto dei 27 voti favorevoli di tutto lo schieramento politico? Anzi, qualcuno insinuò che l'ostruttore non avrebbe nemmeno potuto partecipare materialmente al voto, quella mattina del 10 novembre 1982. Dopo tanti mesi di permanenza sulla sedia si era come amalgamato con essa. Si era fuso e confuso nell'arredo della bella stanza della Commissione. Quell'unico voto contrario forse gli è stato concesso alla memoria. Ma che fosse puramente simbolico si evinse dal fatto che dopo di allora nessuno parlò più di quella legge e soprattutto si cancellò il ricordo che qualcuno potesse essersi mai opposto a una legge così sintonicamente proiettata sul futuro più radioso dell'umanità.