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Pietrosanti Paolo, Novelli Ivan - 30 settembre 1987
Paula Cooper: giustizia, non vendetta
Di Paolo Pietrosanti e Ivan Novelli

SOMMARIO: Le ragioni della campagna contro la pena di morte e per la salvezza di Paula Cooper.

"Ognuno ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della persona... Nessuno sarà sottoposto a tortura o altro trattamento o punizione crudele, inumana o degradante".

Sono molti i principi contenuti nella Dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo che da quando -il 10 dicembre 1948- furono proclamati dall'Assemblea delle Nazioni Unite sono rimasti lettera morta. Quello riportato è di certo tra i più sistematicamente violati.

Il motivo per cui ci siamo mobilitati e ci stiamo mobilitando per la vita di Paula Cooper e per l'abrogazione della lugubre e barbara sanzione è nell'affermazione necessaria del diritto alla vita di ciascun abitante del pianeta.

La credibilità e l'efficacia di questa battaglia passa necessariamente attraverso l'affermazione di questo principio quale primaria argomentazione da sostenere.

Certo, nel caso della giovanissima americana di Gary (Indiana) non può non affermarsi anche la radicale assurdità di condannare a morte una persona che ha commesso un pur orrendo delitto all'età di quindici anni; così come non può non considerarsi il fatto che l'infanzia di Paula è stata piuttosto subita che vissuta.

Ma il principio di ogni campagna contro la pena di morte non può non essere l'affermazione del non uccidere, comunque.

La pena di morte è irreversibile; ma è comminata ed eseguita da uomini fallibili in base a procedure di legge che, per quanto "perfette", sono anch'esse fallibili.

E' provato che la pena capitale non agisce come deterrente nei confronti della criminalità più di quanto non agisca la previsione di pene detentive. Semmai è realisticamente presumibile che il fatto che un ordinamento preveda la pena capitale acuisca e radicalizzi la criminalità.

Quale sia il reato commesso, quale sia il mezzo attraverso cui una pena di morte viene eseguita, essa costituisce una punizione inumana, crudele, degradante.

Ci capita sovente di ripeterla; e vogliamo farlo anche qui. Ripetere una frase di Giorgio Del Vecchio: se con onestà intellettuale si guardasse nel libro dell'Umanità, la Storia dei delitti commessi si vedrebbe non essere peggiore della Storia delle pene comminate. E' una storia che continua, in tutto il mondo. Negli ultimi decenni in cui la pena capitale è in vigore sono cresciuti in numero, e hanno raggiunto la quota di circa 120. (E ci si riferisce ai paesi in cui si può essere messi a morte per delitti comuni).

Questo 1987 sembra essere l'anno dell'assassinio legale, stando alle notizie che si moltiplicano su esecuzioni e condanne.

Ma è l'anno in cui in Europa, almeno, si è ulteriormente sviluppato il dibattito sulla pena di morte vigente in 39 dei 50 Stati Uniti d'America.

Grazie a Paula Cooper, grazie all'attenzione sulle condanne inflitte da giudici Usa a minorenni. Ma è troppo facile essere contrari all'omicidio legale di Paula Cooper. Sulla stampa italiana si sono levate voci in sua difesa, nella difesa del principio elementare di civiltà e umanità che l'esecuzione della giovane americana infrangerebbe. Ma non una voce si è levata per criticare la decisione della Corte Suprema di Washington che ha disposto l'estradizione del boia nazista di Tartu Karl Linnas; estradizione dagli Usa -dove era stata scoperta dopo decenni la sua identità reale- in Urss, dove Linnas era stato condannato a morte in contumacia. Non un commento, non un corsivo; soltanto fredda cronaca.

E' troppo facile. Civiltà è essere diversi da chi uccide. Dovremo essere in grado di continuare con Paula Cooper viva e dopo Paula Cooper la nostra campagna contro la pena di morte. Come radicali, con il Coordinamento Non Uccidere che insieme a Carcere e Comunità abbiamo promosso coinvolgendo oltre cinquanta organizzazioni, le più diverse per intendimenti e dimensioni.

Dovremmo soprattutto essere in grado di convincere chiunque affermi che "talvolta" la pena di morte è "giusta" e "necessaria". A meno che qualcuno sappia dire con certezza quale sia il limite oggettivo e soggettivo superato il quale sia giusto condannare un singolo essere umano a morire. Il problema è tutto in quel limite. E non esiste un solo giurista, un solo legislatore, un solo giudice al mondo che ragionevolmente e credibilmente sia in grado di fissarlo.

 
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