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Negri Giovanni - 7 dicembre 1987
L'Europa del diritto e della nonviolenza
intervento precongressuale di Giovanni Negri

SOMMARIO: Il segretario del Pr Giovanni Negri apre il dibattito precongressuale indicando le questioni che dovranno essere discusse e decise nel corso del congresso di Bologna: il partito trasnazionale non deve avere una caratteristica elettorale nazionale; il Pr deve costituirsi come organizzazione transpartitica per la riforma democratica del sistema politico.

(Notizie Radicali n· 283 del 7 dicembre 1987)

La giusta decisione di rinviare il Congresso di rifondazione ha permesso a ciascun radicale di disporre di elementi di conoscenza, analisi e giudizio indispensabili per affrontare un dibattito e una scelta che si annunciano, ormai con ogni evidenza, tanto delicati quanto decisivi per la storia del Partito radicale.

Credo perciò doveroso intervenire ora -a poche settimane dall'appuntamento di Bologna- in un dibattito precongressuale fin qui inevitabilmente generico: la somma di tante saggezze, altrettante astrattezze e molti silenzi non fa ancora un vero confronto fra progetti politici e rischia, per contro, di esser sostituita da un mero esercizio dialettico o addirittura ideologico.

Vediamo allora di mettere alcuni punti fermi che mi sembrano incontrovertibili:

1) Questo è un partito che oggi dispone di una rete politica, di relazioni e di contatti in dieci paesi europei dell'Ovest e dell'Est. Per quanto minima e, per il momento, insufficientemente organizzata, questa rete costituisce una base credibile per il lancio del progetto transnazionale e per la definitiva collocazione del soggetto politico Partito radicale in questa nuova dimensione. Aggiungo inoltre che a fronte di tale rete minima l'idea-forza di un partito e di un »luogo della politica effettivamente transnazionali riscuote un'attenzione e un dibattito -anche sulla scorta del patrimonio delle lotte radicali in Italia- che indicano tutte le sue potenzialità.

2) Questo è un partito che ha combattuto e vinto la sfida della sua sopravvivenza, posta esplicitamente nelle mani della gente. Il che è significativo non tanto e solo perché il Partito radicale è stato »condannato a vita ed è formato dai »diecimila iscritti , ma perché dimostra che il Pr è capace di riunire uno straordinario mosaico di intelligenze, energie, esperienze tra loro diversissime. La campagna per i »diecimila iscritti dimostra insomma molto di più: il Partito radicale è un partito della vera società civile (con il suo bello e il suo brutto, con i suoi pregi e le sue tragedie, ma così è nella realtà e non nelle sue interessate deformazioni di chi piega le parole »società civile al suo uso e consumo). Un partito di cittadini che, già in quanto tale, non è purtroppo assimilabile ad alcun altro partito; vive di tutto fuorché di potere e all'atto della conferma della sua esistenza ha investito lo straordinario patrimonio di risorse dei »diecimila iscritti -ancora in larga parte inesplorato- nel du

plice obiettivo che abbiamo ritenuto prioritario per chiunque intenda essere un riformatore di questa società e del suo tempo piuttosto che un conservatore, un rivoluzionista o un riformista a parole: il concepimento di un partito transnazionale (presupposto obbligato per far nascere istituzioni e diritto transnazionale) e la riforma democratica della partitocrazia italiana.

3) Questo è un partito che cambia l'Italia. Lo ha fatto il 14 giugno, perché senza la sua politica non vi sarebbe stato alcun 14 giugno. Lo ha fatto l'8 novembre, perché senza i suoi referendum non vi sarebbe stato alcun 8 novembre. Idee create e realizzate dai radicali non più tardi di venti mesi fa marcano oggi in profondità il diritto positivo del nostro paese e producono indirizzi politici con i quali tutti, anche se male, devono fare i conti. Il referendum sulla giustizia, in particolare, non è soltanto decisivo per la questione della responsabilità civile del giudice o della »giustizia malata , ma perché pone in definitiva a un sistema politico-istituzionale in crisi la ancor più rilevante e generale questione delle regole e del diritto.

Un partito che cambia l'Italia, un partito che vive e si rafforza, un partito che può già credibilmente assumere un'identità, una natura, una storia transnazionale. Tutto bene, dunque? Niente affatto. Tutto è anzi difficilissimo. Se infatti sono veri questi tre punti, altrettanto incontrovertibili mi sembrano i due seguenti.

1) Per essere all'altezza della »sfida transnazionale il Partito radicale deve compiere una scelta drammatica che non può avere mezze misure. Non si tratta certo di fare una chiesuola o una bottegguccia elettorale, buona per l'1 o il 2 per cento in questo o in quel paese (Italia compresa) alle elezioni europee o nazionali. Riuscire nell'intento del partito transnazionale non significa infatti altro che costruire il contraltare politico di quei grandi poteri (economici, energetici, militari, dell'informazione) che transnazionali già sono, e lo sono così prepotentemente da creare mercati e clienti sempre più transnazionali, con un profitto tanto ingente da condizionare classi politiche, burocrazie, istituzioni e Stati che non a caso si vogliono solo e soltanto nazionali.

Non mi si fraintenda. Non intendo dire che c'è il »grande fratello o il Sim (Sistema imperialista delle multinazionali) delle risoluzioni strategiche di buona memoria. Intendo semplicemente constatare che un'Europa economica già c'è e sempre più ci sarà, che i grandi mercanti e i grandi mercati dell'economia e dell'energia, delle armi e della fame già ci sono. Noi stessi ne siamo clienti o vittime, la nostra stessa vita non dipende ormai da scelte nazionali che molto marginalmente. Ma se sempre più si dilata il mercato transnazionale sempre meno si vogliono poteri, elezioni, istituzioni e diritto transnazionali, in grado di ricondurre alla politica le grandi scelte. Intendo semplicemente constatare che se l'alternativa contemporanea -come molti autorevoli osservatori tutt'altro che radicali affermano- è fra nuova schiavitù e nuova democrazia, la democrazia del duemila e del »villaggio globale non può certo fondarsi su partiti e istituzioni nazionali. Occorre creare una dimensione politica diversa. E chi ma

i può cimentarsi in un'impresa da pionieri di questo genere? Chi può costruire non il partito tradizionale ma il contraltare politico di prestigio ed azione, la »società fabiana europea capace -con grandi campagne civili e di opinione- di imporre una svolta alle classi dirigenti? Lo faranno forse le elefantiache ed inutili internazionali dei partiti, siano esse democristiane, socialiste, comuniste e liberali? Lo faranno forse una politica, una cultura verde già in crisi sul piano internazionale, con un pacifismo neutralista che è il prodotto dei missili, un antinuclearismo sconfitto che è il prodotto del riciclaggio dei fallimenti movimentisti dal dopoguerra a oggi?

Credo di no. E credo (non per presunzione, ma perché ci siamo condannati dalla nostra storia e dalla nostra coscienza) che questa nuova frontiera la possa solo aprire il partito che è già »il sale dell'Europa . E chi se non il partito di tutti i refuznik e delle grandi vittorie dei diritti civili, del Manifesto dei Nobel e di una porno-star, dei referendum e del nucleare seppellito solo dove questo partito ha potuto agire, dei ministri del terzo mondo e dei senza-patria obiettori di coscienza, può oggi costituirsi in partito transnazionale e convincere della necessità, »qui e subito , della fondazione degli Stati Uniti d'Europa, affinche nasca l'Europa del diritto e dei diritti come soggetto politico capace di affermare al suo interno e verso le superpotenze una cultura, un diritto e un umanesimo a prescindere dai quali non vi è alcun possibile disegno di civilizzazione? Perciò la campagna per i valori e le speranze dei radicali nella sua dimensione transnazionale non può precedere o seguire quella per le is

tituzioni europee, i referendum consultivi per i poteri costituenti al Parlamento di Strasburgo, l'elezione diretta del presidente del Consiglio europeo: è un tutt'uno. Il prezzo di una simile sfida transnazionale è, per il partito che intende assumerla, assai elevato. Il Partito radicale che si rifonda nella dimensione transnazionale, almeno tendenzialmente non può avere alcuna caratteristica elettorale in nessuno Stato nazionale, ha come suo scopo esclusivo un'azione politica transnazionale, deve selezionare con precisione le sue campagne annuali sulla base delle quali raccogliere ovunque iscrizioni e dotarsi dei suoi strumenti di riflessione e comunicazione.

Queste a grandi linee mi pare che siano le dimensioni di lotta, l'organizzazione flessibile, le conseguenze, gli scopi politici transnazionali del Pr che si rifonda in tale dimensione, adeguando ad essa sia il suo statuto e i suoi organi che il proprio simbolo (adottando ad esempio l'emblema di Gandhi). Una scelta che mi pare tanto poco astratta quanto drammaticamente concreta nella sua difficoltà e ambizione.

2) Anche per essere all'altezza della sfida della riforma democratica del sistema politico italiano il Partito radicale è chiamato a compiere scelte di coraggio. E' ormai evidente la superfluità e il semplice valore attivistico di qualsiasi battaglia italiana (parlamentare e non, per la giustizia o »verde , sulla sanità o le pensioni) se disancorata dall'analisi e dal progetto riformatore che sono da tempo al centro dell'iniziativa radicale. Se non si è (o non si vuole essere) consapevoli che è necessario passare ad una riforma politica dei partiti anziché a controriformette elettorali ed istituzionali che aumentano il potere partitocratico e aggravano perciò le gravi malattie e cause di fondo della crisi che oggi tutti denunciano, si rischia di essere storicamente sconfitti. Lo abbiamo già detto anche ai compagni comunisti, socialisti, ai verdi: non bastano a nostro avviso né le tattiche esasperate del giorno per giorno né il vuoto di progetto politico riempito da graziose e inutili »piccole competenze amb

ientaliste per aggirare questo nodo. Ma è inutile negare che il filo dell'unità laica attorno al disegno di riforma democratica di un sistema impotente e in crisi appare (almeno al momento) spezzato dal demitismo, interrotto dallo scasso delle elezioni anticipate voluto proprio dal segretario della Dc e proprio contro questa speranza, la sua politica, i suoi referendum. Silenziosi di fronte all'attacco dell'istituto del referendum cui si è assistito dopo l'8 novembre, protagonisti con il Psi della proposta di controriformetta dello sbarramento del 5%, alle prese con un governo che è lo specchio dell'inconsistenza, laici e socialisti non sembrano cercare quei dialoghi e progetti comuni che, unici, potrebbero fare di essi i protagonisti della svolta, del passaggio dalla partitocrazia libanesizzata alla democrazia politica.

Il Partito radicale e il suo leader, che pure hanno tutto il merito di avere ideato e intessuto questa politica, vedono negata e colpita la propria identità e la propria immagine. Partito dei cittadini e non di potere, irriducibili della democrazia, inacquistabili se non sul piano dei valori e delle idee (che sono anzi abituati a regalare) i radicali sono a tal punto anomali ed indigesti, a tal punto »luterani in terra di controriforma , così autentico partito di governo e di cambiamento in un paese eternamente e formalmente »governato da chi ha il solo merito politico di controllare tessere e mazzette, da suscitare nel sistema dell'informazione e di potere quei riflessi di esclusione, rimozione, abrogazione che ci avevano giustamente condotto a fotografare la situazione italiana con la risoluzione di Firenze sulla cessazione del partito. Sarebbe però un grave errore rispondere ad essi con istinti e riflessi identici, della stessa razza politica e culturale, chiudendosi in settarismi, falsi orgogli, difese

dei piccoli averi. E' per questo che ritengo che i »radicali italiani debbano ormai di fatto costituire l'associazione, la lega, il movimento (a carattere non partitico) per la riforma democratica del sistema politico). Di tutto il sistema politico: dagli istituti di democrazia diretta all'uninominale all'inglese (cioè la riforma dei partiti) per il Parlamento, alla riforma di enti locali ridotti oggi a filiali provinciali, comunali e regionali della partitocrazia, della sua occupazione e del suo potere. Un'impresa anch'essa sicuramente difficile, che mi pare tuttavia corrisponda pienamente sia alle ragioni profonde del nostro essere radicali sia alle attese di tutti coloro che nel nostro paese non intendono sottostare al gioco e all'ipoteca della partitocrazia, del suo sistema e degli espedienti ai quali pare oggi maldestramente costretta per difendere i suoi indifendibili equilibri. Un'impresa che ha anch'essa, come quella del partito transnazionale, il suo scopo preciso, la necessità di organizzarsi, sel

ezionare campagne, ricevere adesioni e utilizzare gli strumenti che più riterrà opportuni e autonomamente definirà. Anche tale scelta mi pare assai poco astratta e molto concreta nella sua finalità.

Nell'intervista di agosto che apriva il dibattito precongressuale, a proposito dell'impegno sproporzionato che in prospettiva avrebbe dovuto vedere i radicali impegnati sia per il partito transnazionale che per la riforma democratica, dicevo che »per me la priorità è tutto questo, altrimenti vale assai poco. Se le energie non bastano vuol dire che occorre cercarne altre; del resto già erano inadeguate per il partito delle poche migliaia di iscritti, a maggior ragione il problema si pone adesso, rispetto al percorso che giustamente ha già imboccato il partito dei diecimila iscritti. Non risolveremo le nostre difficoltà tagliando la politica... Si possono immaginare nuovi organi, funzioni diversificate, diversi impieghi e investimenti delle risorse finanziarie che riflettano questo progetto politico, paradossalmente è persino pensabile un doppio partito. Ma il progetto politico è uno solo e lo vinciamo o lo perdiamo tutto assieme. Questa è almeno la mia opinione, poi i dibattiti precongressuali e i congressi s

i fanno per confrontare le opinioni .

Devo dire che a tutt'oggi la mia opinione è rimasta immutata. Semmai si è rafforzata la convinzione (anche alla luce di queste settimane, fra una campagna referendaria i Italia e assemblee di iscritti da Barcellona ad Istambul) dell'indispensabilità di due effettivi centri di iniziativa politica, due forme organizzative, due classi dirigenti che liberino maggiori energie e responsabilità, del tutto autonome l'una dall'altra.

Dunque un Partito radicale, in quanto tale soggetto politico rifondato in senso transnazionale, e in Italia una libera associazione realmente »transpartitica per la riforma democratica aperta alle esperienze più diverse che intendono però unirsi attorno ad un comune obbiettivo. Due strumenti, entrambi senza scopi elettoralistici e di potere, per affrontare una strada difficile e forse non breve che tuttavia mi pare l'unica oggi adeguata alle ragioni ed alle speranze radicali. E' sulla base di queste convinzioni che presenteremo sia al Consiglio federale che al Congresso le linee politiche e statutarie di rifondazione del Partito radicale.

 
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