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Pannella Marco - 30 dicembre 1987
L'on. Scemolina e dintorni radicali
di Marco Pannella

SOMMARIO: Alla vigilia del 34· Congresso radicale di Bologna (2-6 grnnaio 1988), Marco Pannella anticipa l'elenco delle banalità e delle "letture obbligate" che monopolizzerano le cronache giornalistiche dell'assise radicale: la "crisi di isolamento" del Pr, Cicciolina, l'"opposizione" di Enzo Tortora, il "logoramento" del "leader carismatico", la divisione del gruppo dirigente fra "ultra-pannelliani", che vogliono compiere la "fuga in avanti" del trasnazionale, capeggiati da Giovanni Negri e "seri" gestori del possibile guidati da Francesco Rutelli e Masimo Teodori...

Rivolgendosi ai giornalisti, Pannella ricorda che quella del Pr è una storia ventennale più di "guerra" che di pace "per il numero di battaglie, per la vastità delle terre esplorate e percorse nella società e nelle istituzioni"; un vicenda nel corso della quale, per almeno venti volte, fu annunciata la fine dei radicali. Ma ogni volta scomparivano proprio quelli "emergenti" e potenti che questa fine prevdevano e aspicavano. E' imprudente quindi sottovalutare il tema del 34· congresso, quello della creazione di un soggetto politico internazionale, trasnazionale.

(IL GIORNALE D'ITALIA, 30 dicembre 1987)

Alcuni episodi "salienti", per la stampa, del 34· Congresso del Partito Radicale, sono già scritti nei fatti e nelle solite, obbligate loro letture: una iniziale minore affluenza di iscritti e l'assenza di prestigiose delegazioni dei partiti nazionali (non sono previsti, per una volta, interventi e saluti) che consentirà di sottolineare la "crisi di isolamento e di efficacia del Pr; il nervosismo e gli episodi relativi alla presenza della compagna Ilona Staller, come deputata accusata da molti di non esser altro che l'"on. Scemolina", difesa invece da altri; gli applausi scroscianti al preannunciato discorso di "opposizione" di Enzo Tortora; il logoramento del vecchio leader carismatico, contestato da molti o da alcuni, e il difficile "dopo-Pannella" che si delinea ("ma fino alla fine il vecchio leone..."); la "divisione" del gruppo dirigente, fra gli ultra-pannelliani che, con il Primo Segretario Giovanni Negri in testa, propongono la "fuga in avanti" del "partito transnazionale" e i "seri" gestori del poss

ibile ed anche dell'avvenire, con alla guida il presidente del gruppo Francesco Rutelli ed il "radicale storico" Massimo Teodori. E, ancora: praticamente scomparsi tanti dei "15.000", iscrittisi per impedire la scomparsa del Partito; i malumori e le contestazioni per l'"israelismo" acritico del vertice: insomma un partito alla vana e disperante ricerca di se stesso, delle sue glorie passate...Il deterioramento dei rapporti con il Psi, il rapidissimo tramonto dell'"illusione" laica, liberalsocialista, della "grande riforma" uninominalistica anglosassone, il ripiegarsi verso accordi ed intese con verdi e Dp e la troppo generica "nuova fase" che si sarebbe aperta nei rapporti con il Pci, e - per finire - gli sconsolati e inutilmente rabbiosi riflessi per la penosa liquidazione della vittoria referendaria sulla responsabilità civile dei magistrati effettuata dalla Camera con il testo legislativo votato dai cinque partiti della maggioranza e dal Pci, da quasi tutti gli indipendenti di sinistra, con la sola opposi

zione di Pr e Msi. Sullo sfondo la crisi di Radio Radicale, parallela a quella del partito.

Il resto, poco più che folklore: i refusnik, i dissidenti sovietici, i gruppetti "stranieri": portoghesi, spagnoli, francesi, belgi, turchi, polacchi, jugoslavi...

Velleità, insomma, illusioni, confusioni, provincialismi, marginalità, presunzioni, esaurimento, una realtà patetica e fastidiosa, grottesca e priva al solito di misura, alla ricerca di un qualche artificio, di una qualche trovata. Niente di nuovo, dunque.

Stretti, nella maggioranza, dagli "spazi" loro assegnati dalla dislocazione dei loro servizi, dalla prevedibile assenza di editoriali e di "concorrenza" radiotelevisiva, gli inviati e i corrispondenti avranno, al solito, un compito quasi impossibile e dovranno fare i conti con i malumori di militanti ed esponenti del Congresso. Come potrebbe mai essere altrimenti? In quest'anno, in questi due anni, quanti articoli sulla vicenda radicale, e di radicali, sono comparsi su "Alfabeta" o "Micromega", "Rinascita" o "Mondo Operaio"? Quanti interventi nella convegnistica pur folta, e analisi - che non siano state sbrigative notazioni polemiche, e perfino qualche volta positive - nei confronti del Pr?

Il "popolo" e la vicenda radicali giungono al nodo del loro 34· Congresso, in vent'anni, o in trenta se si parte dal loro primo, nel 1958. E' una storia più "di guerra" che di pace, per il numero di battaglie, per la vastità delle terre esplorate e percorse, nella società e nelle istituzioni. Dieci, venti volte, quasi sempre, con una fine preannunciata, o celebrata; ma la gran parte di coloro che la annunciavano o celebravano sono regolarmente scomparsi, mentre sembravano inossidabili, "emergenti" e potenti.

E' prudente, dunque, mi chiedo, sottovalutare, sbrigativamente, pigramente, simpaticamente o antipaticamente, questo ennesimo appuntamento, piuttosto inverosimile nell'annuncio del tema trattato, cioè la creazione di un "soggetto politico-partitico internazionale", con "campagne" di carattere "epocale" o giù di lì, annunciate per subito: gli Stati Uniti d'Europa, l'attacco al cuore del sistema "droga-armi-potere", magari la "liberazione" delle persone (e dei popoli!) "oppressi" dal sistema imperiale e sociale sovietico e post-coloniale? Mentre nessuno immagina seriamente di abbandonare le lotte - anche italiane - "per il diritto alla vita e la vita del diritto", e l'impostazione ecologista ed ambientalista radicale, su biosfera, atmosfera, acque, terra e chi ne ha più ne metta?

Ma, insomma, consentitemi di chiedermelo e di chiederlo: se tutti coloro che oggi lodano il tempo passato dei primi cinque o sei anni della solitaria battaglia per i diritti civili, divorzista, abortista, per la riforma e la certezza dei diritti e del diritto, in cui quasi tutto si giocò, avessero "allora" colto l'importanza storica di quella impostazione, di quella organizzazione e di quella lotta e l'avessero scelta come propria priorità, cosa sarebbe accaduto, nella nostra società e nella nostra politica?

E' certo probabile, probabilissimo, che il Partito Radicale "transnazionale", "transpartitico" abortisca, si risolva in babelico crollo d'una torre di vaniloquenti e superati e marginali della cronaca italiota. E' probabile che - secondo quanto, non smentito, una settimanale ha riferito - abbia ragione Massimo Teodori nel denunciare la ripetizione patetica dell'errore e dell'orrore del "Che", transitante da Cuba in altri lidi alla ricerca della rivoluzione, in realtà d'una morte "diversa" di fronte ad una vita troppo "uguale".

Ma, me lo si consenta, è anche "possibile" che così non sia. E se così non fosse non varrebbe la pena di tentare di comprendere se - di nuovo - non si rischia di ignorare, di non comprendere oggi quel che domani si indicherà come esempio di un passato glorioso ma inevitabilmente irripetibile, trascorso?

In fondo, la fine prevista e in qualche modo provocata, di quattro legislature su cinque, in pendenza di referendum "esplosivi"; certe riforme ottenute, ed altre mancate per poco (per la "distrazione" o "l'ignoranza" di troppi fra gli altri "pochi" che avrebbero altrimenti condivisa l'iniziativa), la presenza radicale non meriterebbero altra attenzione, funerali o auspici meglio meditati, compresi, illustrati?

I cronisti del Palazzo, essi stessi, sono certi di non essere in arretrato perfino rispetto agli abitanti titolari del Palazzo stesso, ieri "estranei" e nemici, e oggi così rispettosi e coinvolti nell'"alterità" radicale, non perché avvertita come in declino o non più temibile, ma come viva e rilevante, forse necessaria, mentre le certezze passate d'un futuro indeterminatamente "uguale" sono ormai crollate, così come quelle dei loro coevi rivoluzionisti e alternativisti?

 
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