di Fernando SavaterSOMMARIO: dalla storia della scoperta, dell'uso e del successivo divieto della cocaina emergono le buone ragioni per legalizzarla.
(Notizie Radicali n· 51 dell'11 marzo 1988 da El Pais Domingo)
L'anno di grazia 1533 don Francisco Pizarro, conquistatore del Perù per la corona di Spagna, trovò che in quelle terre tutti masticavano le foglie di una pianta che più tardi la pedanteria scientifica avrebbe chiamato Erythrixylon Coca. Gli Incas preferivano chiamarla »Mama Cuca e la utilizzavano come simbolo della loro divina maestà: secondo quanto racconta l'inca Garcilaso, furono i figli del sole a far loro dono di questa pianta meravigliosa che sazia gli affamati, dà energie nuove a chi è stanco o esaurito e fa dimenticare le pene agli infelici. Pertanto, le immagini degli dei venivano sempre rappresentate con una guancia gonfia, per significare che i fortunati stavano masticando eternamente foglie di coca.
Le virtù euforizzanti e ricostituenti della coca ebbero presto occasione di essere più evidenziate grazie ai conquistatori, che obbligavano ai lavori forzati gli indigeni e li ricompensavano con foglie di tale pianta. Questo regime fece deteriorare notevolmente la salute dei peruviani, e ciò indusse alcuni ecclesiastici benpensanti a raccomandare la proscrizione della coca, »poiché non è altro che un'idolatria, opera del diavolo. Fortifica soltanto in apparenza e rafforza le superstizioni, oltre a danneggiare la salute . Pochi anni più tardi, verso la metà del secolo XVI, il secondo Concilio di Lima proibì l'uso della coca a peruviani, cileni e boliviani. Questa santa assemblea dimenticò di proibire anche i lavori forzati, cosa che forse avrebbe contribuito in modo più decisivo a tonificare gli indios. Ma non dimentichiamo che questo mondo è una valle di lacrime e che noi non stiamo qui per godere, ma per meritare il cielo a forza di sofferenze. Il principale risultato di tale proibizione fu che il monopolio
della coca divenne commercio statale e continuò ad esserlo fino al secolo XVIII in cui tornò in mani private.
Come tutte le altre droghe, la cocaina, derivato sintetico delle foglie di coca, è terribilmente dannosa per la salute, anche per chi non è costretto ai lavori forzati. Ciò non hanno mai saputo gli indios che hanno masticato »mama cuca per secoli prima dell'arrivo degli spagnoli; e oggi non preoccupa le migliaia di funzionari, politici, artisti, sportivi, medici, sacerdoti, professori, poliziotti che la consumano regolarmente e con entusiasmo.
Gli effetti nell'organismo della cocaina possono essere più o meno orripilanti, ma al contrario le sue conseguenze economiche sono molto benefiche per chi con essa commercia. In quanto alle conseguenze politiche di questo salutare e insalubre commercio, queste sono palesemente nefaste, per lo meno in due maniere fondamentali: una, propria dei paesi produttori e sottosviluppati; un'altra, caratteristica dei paesi consumatori e sviluppati.
Prendiamo, per esempio, il caso della Colombia, il cui ordinamento istituzionale è semidistrutto dal colossale gangsterismo dei trafficanti: assassinii di politici e giuristi di rilievo, corruzione generalizzata eccetera. Come si può risolvere questa situazione? Il senso comune lo dice, senza ombra di dubbio: perseguendo sempre di più i grandi spacciatori. Sebbene finora questa politica non abbia ottenuto altro che aumentare i prezzi del prodotto, moltiplicare la criminalità e creare una variante specifica di terrorismo, i risultati positivi devono essere dietro l'angolo, ben si vede! Alcuni sconsiderati ricordano che negli anni settanta le mafie colombiane mettevano tutto il loro impegno nella produzione di marijuana -la splendida Santa Marta Gold, per esempio- finché una legislazione permissiva aprì la strada alla produzione autoctona in California e da un giorno all'altro finì il commercio degli spacciatori.
Questi destabilizzatori che hanno buona memoria osano supporre che il giorno in cui nelle Montagne Rocciose, o in qualsiasi altra porzione di terra Usa si cominci a coltivare legalmente la coca, finirà ugualmente la mafia della cocaina che distrugge la Colombia. Vedete bene a quali assurde conclusioni porta l'assenza di un retto e proibizionista senso morale.
E gli effetti politici nei paesi consumatori? Non bisogna far altro che guardare con attenzione un significativo reportage sul tema, premiato non molto tempo fa dalla Tve (Televisione spagnola n.d.r.), per rendersi conto di come vanno le cose. Vi si possono vedere poliziotti americani travestiti da spacciatori che offrono droga ai passanti: chi accettava era immediatamente arrestato, o -per raccontarla nel modo del premiato soggettista- »i viziosi credevano di aver la loro dose, ma su essi calava il peso della legge . Il pubblico soddisfatto a casa sua, senza scandalizzarsi di come la polizia inventa falsi delitti e propina reali castighi.
Contro la droga tutto vale -come in altro campo contro il terrorismo-; è persino lecito dimenticare i principi fondamentali dello Stato di diritto. Non solo chi fa la legge trova l'inganno, ma chi ha la funzione di farla rispettare truffa nel suo lavoro, con il beneplacito dei cittadini, che per il solo fatto di essere complici di qualcosa di simile perdono ogni diritto a tale denominazione.
Certamente, la droga uccide: i primi che uccide sono il senso comune e il senso civico. Grazie a questi due delitti si mantiene la proibizione e continua a prosperare il narco-traffico.