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Pannella Marco - 6 aprile 1988
Craxi: leader del nuovo o capofazione del vecchio
di Marco Pannella

SOMMARIO: Il riproporsi di una vecchia formula, il pentapartito, senza un cambiamento vero, senza un governo, un progetto, un programma diversi e migliori, non può che continuare a determinare un ulteriore consumarsi delle tre forze laiche minori a favore delle maggiori. Bettino Craxi può oggi assumere la leadership di un'area politica ben precisa, costruendo le basi per una alleanza futura che punti ad una chiara alternativa di governo.

(Notizie Radicali n.87 del 28 aprile 1988)

La duratura ostilità del Psi, di Craxi, a qualsiasi assunzione di responsabilità di governo da parte dei radicali (soprattutto) e verdi; l'anatema di conservatorismo improvvisamente lanciato contro gli alleati laici del Pli e del Pri; la mancata preferenza per il concepimento debole di governi deboli a maggioranze deboli; il surgelamento di qualsiasi dibattito democratico e istituzionale interno, di partito e di area; le sortite su leggi elettorali con sbarramenti inutili e maramaldeschi; la sottovalutazione della gravità della liquidazione del risultato del referendum sulla responsabilità civile diretta dei magistrati; l'»usa e getta del »polo riformista del 20% con socialdemocratici e radicali, tutto questo »insieme degli ultimi nove mesi politici si può anche comprendere; ma è urgente superarlo. E' meglio tornare alla politica degli anni precedenti.

Se si trattasse solamente di ingenerosità non ci sarebbe troppo da protestare. L'ingenerosità, in questo campo, è del tutto legittima: può anche essere espressione di una più profonda e rigorosa moralità della politica che ha da essere tributaria di alta »moralità . Lo ammetto tanto più volentieri quanto meno ne sono personalmente capace, e invidioso di chi invece lo sia.

Avevamo impiegato insieme molte energie e nutrito e suscitato non poche speranze, perché liberalsocialisti e socialdemocratici, autonomisti e ambientalisti, federalisti e democratici-laici, socialisti, repubblicani, radicali e liberali, questo coacervo di diversità (più supposte o ereditate che reali e necessarie) cominciasse a pensare e operare per un comune cammino e, anche, per una comune casa. Senza gli eventi tristi e violenti dello scorso anno, stavamo progredendo rapidamente in questa direzione, consapevoli che si trattava di costruire -in attesa di meglio- fors'anche il »primo polo dell'attuale sistema politico italiano, in attesa di e per riformarlo.

E, nell'ultimo lustro, i laici erano cresciuti di peso specifico, invertendo una tendenza che sembrava irreversibile. Urge -ora- in proposito essere lucidi e franchi. Nessuno, nessuno di noi ha il merito di avere determinato da solo questa virtualità: reso possibile (dopo decenni) questo dover-essere. Nessuno di noi si illuda, dunque, di poter da solo procedere su questa strada, e arrivarne al termine.

Ma anche a voler restare più modesti, più legati all'attualità, comprendo meno ancora le scelte che sembrano andare subendo gli amici liberali e socialdemocratici, e anche quelli del Pri. Senza un cambiamento vero, senza un governo, un progetto, un programma il più possibile diversi e migliori, mi pare chiaro che il ripetersi di questo tardo-pentapartito, il suo ulteriore »consumarsi non può che continuare a determinare che un ulteriore consumarsi delle sue tre forze minori, a favore -forse ed in parte- dell'una o dell'altra delle maggiori, o di entrambe, o, ancor di più, degli »esterni al pentapartito stesso.

Perché, allora, questa rassegnata accettazione di un mediocre governo, che mai corrisponde agli interessi di un Paese, e meno che mai oggi in Italia? Se questa è per ora la preferenza netta della stessa Dc e del Psi, un governo senz'anima di progetto, di tensione programmatica e unitaria, di ambizioni perse per il Paese, perché mai si dovrebbe subirla?

Uniti, uniti nelle difficoltà e nelle sventure possibili di ogni giorno, ma uniti -tutti e ciascuno- nella probabilità di grandi vittorie civili e istituzionali, occorrerebbe subito azzerare questa crisi, puntare ad un grande, forte governo De Mita, con tutti i segretari ed i leader delle sette componenti (da noi da un anno indicate, a seguito dei risultati elettorali) con un progetto »come di legislatura ; con un programma che affronti subito e coraggiosamente, in via prioritaria, l'asportazione del tumore da Terzo mondo del debito pubblico che sta divorando i tessuti della nostra economia, quel milione di miliardi di debito pubblico consolidato, i cui interessi distruggono il reddito nazionale, e grava con decine di milioni di debito su ogni famiglia italiana. Non è decoroso, non è possibile, rimandare alla legislatura successiva, al 1992 (quando la giungla del mercato unico europeo, se non vi sarà l'unità politica, rischierà di sommergerci) questa battaglia. Con la riforma della pubblica amministrazione,

del piano energetico, della politica ambientalista, della amministrazione giudiziaria, dello Stato e del mercato in funzione europea, con impegni puntuali, perentori, con lessico di governo e non di consumo e di sgangherata gestione, l'eptapartito può forse oggi consentire di andare avanti, camminando con le due gambe, democristiana e laica, in assoluta parità di forza. Si chiede dunque di usare e rispettare il senso del »mandato pieno dato dal capo dello Stato al presidente incaricato. Non si abbia timore di impiegare molte altre settimane: meglio una crisi lunga, ma seria, che un governo sempre in crisi.

Per finire: Bettino Craxi, di tutti noi, senza che io scorga eccezione alcuna, è oggi il più attrezzato, capace per assicurare da subito nel governo De Mita, e nel Paese, la leadership laica e riformatrice; all'opposizione, o ai massimi livelli dell'istituzione. L'evoluzione, la forza politica, elettorale, ideale del Psi e le sue personali capacità mi sembra lo indichino chiaramente.

Sta a lui scegliere una volta per tutte: e nel senso degli interessi generali e delle speranze e del progetto comune o no. Ma deve scegliere: o potente capo di una potente fazione del vecchio regime partitocratico, o leader laico e democratico del grande movimento riformatore, di quella sorta di nuova lega che nei fatti possiamo già tutti essere, fornite a noi stessi e al Paese; strumento inevitabile, punto necessario di riferimento, leva adeguata per garantire nell'umiltà quotidiana l'obiettivo finale di una società di diritto, europea, di classica democrazia politica, di un nostro New Deal, con la grande coalizione che, tra quattro anni, dovrà conclusivamente proporla al Paese.

(dal Corriere della Sera del 6 aprile 1988)

 
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