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Arnao Giancarlo - 1 giugno 1988
LE ULTIME RICERCHE SULLA CANNABIS
A cura di Giancarlo Arnao

SOMMARIO: Scheda sugli effetti dei derivati della canapa indiana sul sistema immunitario, sull'apparato respiratorio, sul sistema cardiocircolatorio e sulla capacità di guida.

Il "Journal of Psychoactive Drugs" di San Francisco ha dedicato il suo numero di gennaio-marzo ad una rassegna monografica delle ultime ricerche sulla marijuana. Tali ricerche riguardano gli argomenti più controversi sull'uso della sostanza, e cioè:

a) gli effetti sul sistema immunitario;

b) gli effetti sul sistema respiratorio;

c) gli effetti sul sistema cardiovascolare;

d) gli effetti sulla capacità di guida dei veicoli.

A) EFFETTI SUL SISTEMA IMMUNITARIO

L'ipotesi che la marijuana danneggi il sistema immunitario è stata proposta da diversi AA già negli anni 70, attraverso ricerche di laboratorio che erano state messe in discussione per la metodologia adottata (cfr. Arnao: "Erba proibita", Feltrinelli

1982, pp.105-107 e 213).

Sul JPD l'argomento viene affrontato da due studi, rispettivamente di Hollister (docente di psichiatria e farmacologia alla Texas University) e di Wallace-Tashkin-Oishi-Barbers (in una ricerca sovvenzionata dal National Institute of Drug Abuse).

RICERCA DI HOLLISTER - Gli effetti sulla funzione immunitaria vengono valutati in base a quattro parametri: immunità cellulare mediata, meccanismi bio-umorali, difesa cellulare e attività immunogenetica.

L'Autore arriva alle seguenti conclusioni:

"Nonostante la letteratura piuttosto vasta sviluppatasi negli ultimi 15 anni, un effetto dei cannabinoidi sul sistema immunitario è ancora da dimostrare. Le prove sono contraddittorie, in quanto si è stabilito un certo livello di attività immunosoppressiva soltanto da esperimenti in vitro, falsati dagli altissimi dosaggi impiegati, e dalla mancanza di confronti con possibili effetti analoghi di altre sostanze. Più gli studi sperimentali si sono avvicinati alle reali situazioni cliniche, meno convincente era l'evidenza di un effetto immuno- soppressivo" (Hollister: "Marijuana and Immunity", in "Journal of Psychoactive Drugs", vol.20/1, Jan-Mar 1988, p.7).

D'altra parte, l'interesse dei ricercatori, che era stato molto attivo negli anni 70, è svanito negli anni 80. Il che dimostrerebbe, secondo l'Autore, che ulteriori studi su questo soggetto non hanno prospettive di novità interessanti.

Rispetto al rapporto fra uso di cannabis e AIDS, l'Autore scrive che "non vi è alcuna prova clinica né alcun dato epidemiologico che dimostri un legame fra uso di marijuana da una parte e contagio con l'HIV o sviluppo dell'AIDS dall'altra" ( op.cit. p.5).

Anche per i soggetti affetti da HIV, non vi è alcuna prova che l'uso di marijuana o di alcool aumenti il rischio di contrarre l'AIDS (op.cit.,p. 7).

RICERCA DI WALLACE, TASHKIN, OISHI, BARBERS - In questa ricerca gli effetti della marijuana vengono confrontati con quelli del tabacco. La funzione immunitaria viene valutata analizzando l'attività linfocitaria. Sono stati considerati tre gruppi di soggetti:

NS: non fumatori

TS: fumatori di solo tabacco, consumo medio di un pacchetto al giorno per 24 anni

MS: fumatori di marijuana, consumo medio di almeno 10 spinelli alla settimana per almeno 5 anni

MTS: fumatori di marijuana (in dosaggi analoghi al gruppo precedente) e di tabacco (un pacchetto al giorno per almeno 16 anni).

La ricerca ha dimostrato che l'uso di marijuana, a differenza di quello del tabacco, non ha un'azione inibitoria della risposta immunitaria. Questa differenza viene spiegata dagli AA con diverse ipotesi:

a) che la marijuana non contenga gli agenti immunosoppressivi del tabacco;

b) che la marijuana contenga fattori che contrastano l'attività immunosoppressiva;

c) che la differenza di risposta dipenda dai dosaggi, i quali, pur corrispondendo alle modalità di uso più diffuse, sono per il tabacco superiori a quelli della marijuana.

Ciò significa in pratica che dosaggi di marijuana pari a quelli

adottati dai ricercatori non determinano alcuna attività immunosoppressiva.

B) EFFETTI SULL'APPARATO RESPIRATORIO

Gli effetti sull'apparato respiratorio sono stati analizzati da ricerche di Tashkin-Simmons-Clark (dell'UCLA) e di Fligiel- Venkat-Gong-Tashkin (sovvenzionata dal NIDA).

RICERCA DI TASHKIN, SIMMONS, CLARK - Questo studio prende in esame la iper-reattività bronchiale (sintomo di sofferenza dell'apparato respiratorio e fattore di rischio per l'instaurarsi di malattia cronica ostruttiva) comparativamente in tre gruppi di soggetti:

1) MS: fumatori di marijuana in dosaggi equivalenti a 3,3 spinelli al giorno per 20 anni;

2) TS: fumatori di tabacco in dosaggi equivalenti a 1,14 pacchetti al giorno per 20 anni;

3) MTS: fumatori di tabacco (0,76 pacchetti al giorno per 20 anni) e di marijuana (2,6 spinelli al giorno per 20 anni).

La iperreattività bronchiale si è rilevata soltanto nel gruppo

MTS. Sul piano pratico, ciò significa che questo tipo di rischi

non viene provocato con livelli di uso pari a quello indicato. C'è però un aumento di iperreattività se tabacco e marijuana vengono usati assieme, anche in dosaggi inferiori a quelli che risultano innocui se le sostanze vengono assunte separatamente (Tashkin et al: "Effects of Habitual Smoking of Marijuana Alone and with Tobacco on Nonspecific Airways Hyperreactivity", su op. cit., pp. 21-25).

RICERCA DI FLIGIEL, VENKAT, GONG, TASHKIN - attraverso una serie

di esami istologici, esamina la patologia bronchiale di tre gruppi di soggetti:

MS: consumatori di marijuana che hanno fumato almeno uno spinello nell'ultimo mese e una media di uno spinello al giorno per almeno tre anni nel passato;

TS: soggetti che hanno fumato almeno una sigaretta al giorno per più di un anno;

MTS: soggetti che hanno fumato marijuana e tabacco.

Dall'analisi complessiva dei risultati, gli AA concludono che "il fumo di marijuana può essere altrettanto e forse anche più dannoso del fumo di tabacco per l'epitelio respiratorio" (p.41).Il massimo livello di tossicità è stato rilevato nel gruppo MTS.

Dai dosaggi analizzati nella ricerca, risulta chiaramente che il confronto fra marijuana e tabacco va inteso a parità di sostanza fumata, e non ai livelli di uso più comuni delle rispettive sostanze. Sul piano pratico, questa ricerca dimostra che il fumo di marijuana danneggia l'epitelio respiratorio in misura pari o forse superiore a quella determinata da quantitativi equivalenti di fumo di tabacco. D'altra parte, gli AA affermano che la potenzialità di queste alterazioni come fattori di rischio di malattia cronica o di cancro del polmone è tuttora sconosciuta, seppure non impossibile (Fligiel et al: "Bronchial Pathology in Chronic Marijuana Smokers" in op.cit., pp. 33-42).

C) EFFETTI SUL SISTEMA CARDIOCIRCOLATORIO

RICERCA DI TASHKIN, WU, DJAHED Lo sviluppo di ossido di carbonio (CO) è uno degli effetti collaterali della combustione, ed è una delle componenti di tutte le sostanze che vengono fumate. l'CO, a contatto col sangue, si lega con l'emoglobina, formando carbossiemoglobina (COHb), che è un importante fattore di rischio per la malattia coronarica.

La ricerca ha valutato l'incidenza di questo rischio misurando i livelli di COHb nei fumatori di tabacco e di marijuana; sono stati analizzati separatamente gli effetti acuti (aumento immediato e transitorio della COHb provocato direttamente dalla singola dose) e gli effetti cronici (aumento permanente provocato dall'accumulo delle dosi).

Sono stati analizzati tre gruppi di soggetti:

MS (n. 115): fumatori di sola marijuana, a dosaggi equivalenti a 2,8 spinelli al giorno;

TS (n.52): fumatori di tabacco con dosaggi di un pacchetto al giorno;

MTS (n.104): fumatori di marijuana e tabacco (2,7 spinelli e 13 sigarette al giorno).

Ne è risultato che l'effetto acuto era per i MS quattro volte superiore a quello dei TS. Ciò sarebbe dovuto, secondo gli AA, al fatto che la marijuana viene aspirata più a fondo e più a lungo del tabacco. Poiché d'altra parte uno degli effetti del THC è quello di aumentare la frequenza delle pulsazioni, ciò significa un aumento di rischio di crisi acuta per coloro che hanno una preesistente situazione di sofferenza delle arterie coronariche.

Gli effetti cronici sono invece inferiori per i MS, in cui il livello di COHb è inferiore a quello dei TS e dei MTS. Secondo gli AA, ciò dipende essenzialmente dalla differenza di dosaggio: i TS, a differenza dei MS, fumano ad intervalli troppo brevi per permettere uno smaltimento della COHb. Sul piano pratico, ciò determina un più alto livello di rischio cronico, cioè permanente, nei TS e nei MTS.

La frequenza e la profondità dell'aspirazione, e il lasso di tempo in cui il fumo viene trattenuto nei polmoni sono quindi i fattori determinanti del rischio di aumento di COHb per uso di marijuana fumata. Il rischio è indipendente dalla potenza farmacologica, e cioè dal tasso di THC, ma è legato alla quantità di sostanza fumata.

La possibilità di aumentare la COHb appare, sul piano pratico, l'unico rischio realmente dimostrato dell'uso di cannabis fumata, limitatamente ai soggetti affetti da patologia coronarica.

Dal contesto della ricerca si può dedurre che tale rischio potrebbe essere ridotto (a) limitando la quantità di sostanza fumata (ad esempio evitando di fumare marijuana assieme al tabacco) e (b) fumando con una tecnica che attenui l'impatto del fumo sull'assorbimento polmonare (Tashkin et al: "Acute and Chronic Effects of Marijuama Smoking Compared with Tobacco Smoking on Blood Carboxyemoglobin Levels", su op.cit., pp. 27-31).

C) EFFETTI SULLA CAPACITA' DI GUIDA.

In che misura l'uso di cannabis incide sulla capacità di guida? A tutto il 1982, pochi studi avevano indagato a fondo la questione (cfr. Arnao 1982, pp.93-98 e p.220).

Una ricerca di Gieringer ha cercato di approfondire l'argomento, analizzando criticamente tutti gli studi finora eseguiti.

L'A inizia con una breve rassegna delle ricerche di laboratorio.

Studi al simulatore hanno constatato generalmente una diminuzione della capacità di guida, ma anche una tendenza ad abbassare la velocità e ad evitare comportamenti rischiosi; al contrario dell'alcool, che , come è noto, induce alla guida veloce e spericolata. Altra importante differenza sta nel tempo di reazione che con l'uso di alcool aumenta, e con quello di cannabis rimane inalterato.

Questi dati trovano conferma in una ricerca di Hansteen - Miller - Lonero - Reid, in cui 38 soggetti, sottoposti a diversi dosaggi di cannabis e di alcool, hanno affrontato prove di guida su vere auto in percorsi obbligati. Ne è risultato che un dosaggio di 5.9 - 6.8 mg di THC (pari a uno spinello di 600-700 mg di marijuana all'1%), determina complessivamente una diminuzione della capacità di guida di livello inferiore ad un dosaggio di alcool corrispondente ad una alcolemia dello 0.07% (due bicchieri di vino), inferiore al limite (0.08) tollerato dalla legge dei paesi occidentali (cfr. Hansteen et al:"Effects of Cannabis and Alcohol on Automobile Driving and Psychomotor Tracking" in Dornbush - Freedman - Fink [a cura di]: "Chronic Cannabis Use", New York Academy of Science, 1976)

Gieringer prende poi in esame una serie di ricerche basate sulla ricerca dei metaboliti della cannabis e di altre droghe nel sangue in casi di incidenti stradali.

Fra il 1978 e il 1981 Mason - McBay hanno eseguito in North Carolina uno studio su 600 vittime di incidenti definiti "one car" (che hanno cioè coinvolto soltanto una automobile, e sono quindi avvenuti per responsabilità preminente di chi era alla guida). L'esame del sangue ha rilevato:

- THC in livelli ematici superiori a 3ng/ml nel 7,8% dei casi, di cui il 5,3% (sul totale dei casi) aveva anche tassi alcolemici superiori al 0,10%;

- alcool presente nel sangue nel 79,3% dei casi;

- metaqualone presente nel 6,2%, e barbiturici nel 3% dei casi.

Una ricerca di Cimbura in Ontario su 1169 soggetti (autisti o pedoni) coinvolti in incidenti mortali fra il 1982 e il 1984 ha riscontrato:

- nel 10,9% dei soggetti presenza nel sangue di THC a livelli superiori a 1 ng/ml; fra questi nel 7,4% (sul totale dei casi) vi era anche un tasso di alcool superiore allo 0,08%; - nel 57,1% alcool presente nel sangue.

Una ricerca di Williams et al su 440 autisti (di età fra i 25 e i 34 anni) deceduti per incidenti stradali in California fra il 1982 e il 1983 ha riscontrato:

- THC a livelli di 0,2-0,9 ng/ml nel 14% dei casi;

- THC fra 1 e 1.9 ng/ml nell'8%;

- THC fra 2 e 4.9 ng/ml nel 9.6;

- THC di 5 ng/ml e oltre nel 5.2%

- fra i soggetti positivi per il THC (complessivamente il 37%) il 25% (sul totale) aveva un tasso alcolemico superiore a 0,10%, il 5% un tasso alcolemico inferiore a 0.10% e il 7% (sul totale) presenza nel sangue di altre droghe;

- alcool da solo nel 70% dei casi;

- cocaina da sola nell'11% dei casi.

Questi dati vanno interpretati tenendo presenti alcuni parametri di valutazione.

Riguardo all'alcool, la maggior parte degli incidenti stradali avviene con tassi fra lo 0.08 e lo 0.10% (cfr. Canadian Government Commission of Inquiry: "Final Report", p.394), e questi valori vanno quindi considerati indicativi di alterazione della capacità di guida.

I livelli ematici di THC partono da valori di circa 50 ng/ml subito dopo l'assunzione, rimangono attorno ai 10 ng fino alla seconda ora, per scendere sotto 1 ng/ml dopo tre-quattro ore (cfr. King - Teale - Marks: "Aspetti biochimici della cannabis" in Graham [a cura di]: Hashish e marijuana", Newton Compton 1979, p.109 e Morgan: "Marijuana Metabolism in the Context of Urine Testing for Cannabinoid Metabolite" in JPD, vol 20/1, 1988,pp.108-109). Poiché il periodo di effetto psicoattivo della cannabis è generalmente valutato non superiore alle tre ore (cfr. Weil - Zinberg - Nielsen: "Clinical and Psychological Effects of Marijuana in Man" in Grupp [a cura di]: "Marijuana", Merril 1971, p.164), si può ragionevolmente ritenere che livelli inferiori ai 3 ng/ml corrispondono ad uno stato di intossicazione molto leggero: ciò spiega tra l'altro perché la ricerca di Mason abbia considerato soltanto i tassi superiori ai 3 ng/ml come possibili causa di incidente. Inoltre, Gieringer fa notare come tassi di THC fi

no a 2,5 ng/ml possano realizzarsi anche molte ore dopo l'uso, quindi non dimostrino uno stato di intossicazione in atto.

D'altra parte, l'intossicazione da marijuana non è necessariamente la causa degli incidenti. La ricerca di Williams ha cercato di chiarire questo dato essenziale, attraverso una serie di parametri che quantificavano la responsabilità dei soggetti nella dinamica dell'incidente. L'"indice di responsabilità", è stato cosi' valutato:

- i guidatori che erano sotto l'effetto dell'alcool assieme ad altre droghe erano responsabili nel 95% dei casi;

- i guidatori sotto l'effetto di alcool nel 92%;

- i guidatori che non avevano usato alcuna droga nel 71%;

- i guidatori sotto l'effetto di marijuana nel 53%.

Da questi dati risulta che l'intossicazione con marijuana si è concretata come fattore di rischio con una incidenza inferiore ai casi in cui i soggetti non erano sotto l'effetto di alcuna droga.

Valutando complessivamente le ricerche prese in esame, Gieringer stima che nell'8-11% dei casi di mortalità vi era un livello di THC indicativo di un effettivo stato di intossicazione in atto, cioè superiore a 2,0-3,0 ng/ml, ma soltanto nel 2,8 -4,8% un livello superiore a 5 ng/ml, indicativo di una effettiva e rilevante alterazione delle capacità.

D'altra parte, il fatto che dall'81 all'87% dei soggetti positivi per THC erano anche positivi per l'alcool, porta l'incidenza dei casi in cui era presente soltanto THC a valori di 1,8% per tassi indicativi di intossicazione e di 0,54% per tassi superiori a 5 ng/ml. Ciò induce l'A a ritenere che gran parte degli incidenti dei soggetti positivi per THC non dipende dalla cannabis ma dall'alcool, a a concludere che:

"la marijuana di per sé sembra essere un fattore di rischio minore o irrilevante negli incidenti mortali.(...) Non è probabile che l'eliminazione della marijuana possa avere un impatto favorevole sulla sicurezza pubblica fino a che i consumatori continueranno ad usare altre droghe, e in particolare l'alcool.(...) In questa luce, è ironico che la corrente tecnologia di ricerca di droghe nelle urine rifletta un pregiudizio opposto, essendo altamente intollerante con la marijuana ma non con l'alcool.(...) La diffusione dei test sulla marijuana sembra basarsi su profondi pregiudizi sociali e politici più che su una effettiva evidenza scientifica". (p.100)

CANNABIS E VIOLENZA

CANNABIS FARMACOLOGIA

vedi Drug Policy 1989-1990 pp 352-353

DOSE LETALE: vedi Drug Policy 1989-1990 pp 352-353

vedi anche Grinspoon "Marijuana reconsidered" pp 252-253

La dose letale è di 20-40 Kg.

FATTORE DI SICUREZZA (RAPPORTO DOSE EFFICACE/DOSE LETALE): CONFRONTO ALCOL-CANNABIS

Per la cannabis è 1/20.000 - 1/40.000

ALCOL dose EFFICACE CONCENTRAZIONE EMATICA 0.05-0.10%

DOSE letale 0.4-0.5%

FATTORE DI SICUREZZA = DA 4 A 10

(FONTE: Mikuriya su "New Physician" 1969)

dose letale secondo Milam-Ketcham:

0.3 dose minima letale / 0.4 dose media per coma / 0.5 dose media per effetti negativi su funzione cardiaca e respiratoria / 0.6 dose letale per la maggioranza dei casi

livello di 0.2 corrisponde all'ingestione di 8 lattine di birra da parte di un soggetto maschio del peso di 68 kg

(Milam-Ketcham: "Under the influence" 1981 books n.415)

DATI USA SU MORTALITA' E RICOVERI DI EMERGENZA PER CANNABIS

1982 DAWN 199.000 casi in USA

casi di ricoveri di emergenza

5295 di cui solo il 22% non associato ad altre sostanze (1164)

(NIDA RM 61,p.18)

1985 DAWN

casi di morte con "menzione" di sola cannabis: 1, contro 29 per aspirina e 48 per tranquillanti

(NIDA: Annual data 1985 , pp. 58 e 64 n.628)

ricoveri di emergenza 1338 casi per cannabis da sola, contro 5451 casi per tranquillanti e 26889 per aspirina

1987 DAWN

casi di morte collegati con cannabis da sola: 0 contro 30 per aspirina e 11 per tranquillanti

ricoveri: 1744 casi per cannabis da sola contro 2627 per aspirina (NIDA: Annual Data 1987)

 
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