di Fernando Savater (da El Paìs)SOMMARIO: Nonostante la storia del continente europeo porti con sé un pesante fardello di responsabilità non sempre piacevoli, è oggi immaginabile un modello di Europa più esaltante di quello puramente nostalgico. E' l'Europa dell'universalità dei diritti individuali e della possibilità di farla finita con la rigida divisione del globo in due sfere di influenza reciprocamente limitate.
(Notizie Radicali n·122 del 15 giugno 988)
A volte è molto curioso soffermarsi sul mutamento semantico di certe parole. Prendiamo, per esempio, la voce greca extasis. In epoca classica servì per designare il conflitto armato di carattere civile, la guerra fraticida che paralizza la vita armonica della città; più avanti extasis diventò una sorta di stupore o rapimento che immobilizza l'attività umana e assorbe il soggetto nella contemplazione ineffabile; oggi, in greco moderno sono dette extasis le fermate d'autobus. Il termine, come si vede, è andato migliorando: è passato dall'atroce al beatifico, per poi sfociare nell'utile. Non mi importerebbe se la parola Europa avesse una sorte simile, ma per il momento abbiamo percorso solo metà del cammino.
Europa è stato l'emblema di battaglie internazionali per l'egemonia e di imprese sanguinarie imperialistiche; ora siamo entrati in una fase mistico-nostalgica, ed Europa è il nome decadente di una rovinosa impresa di fasti culturali. Manca il terzo passo: il meno esaltante, ma il più necessario, quello in cui Europa diventerà la denominazione di una discreta e prestigiosa ragione sociale. Gli intellettuali, compreso me, riuniti a Berlino ovest qualche giorno fa per girare intorno a tali questioni, erano più propensi a deplorare la fase feroce dell'Europa e a mostrare rimpianto per la non chiara spinta creativa, piuttosto che a proporre una qualche soluzione utilitaria per un'Europa funzionale. L'amabile titolo del nostro incontro dice tutto: »Un sogno per l'Europa, un'Europa di sogno (e non ha senso che la prima di queste opzioni deve essere espressa in tedesco e la seconda in francese). Abbiamo ascoltato atti di contrizione sugli arbitri del colonialismo; si è parlato dell'Europa-museo e persino dell'Europ
a-boutique, meno gloriose ma di molto preferibili all'Europa-campo di battaglia.
Parafrasando la bella espressione che Kundera applicò in uno dei suoi saggi a Praga, l'Europa sembra essere un »poema che si dilegua , e ciò che la rende simpatica e perfino affascinante è proprio la sua blanda fragilità.
Tuttavia, l'Europa è una grande potenza economica soprattutto se la si confronta con tanti paesi dell'Africa e dell'America latina.
E l'Europa è un'impresa nel senso che va oltre l'accezione commerciale del termine, l'impresa dell'universalità dei diritti individuali e della possibilità di finirla con l'ostilità bipolare dei blocchi, senza sostituirli con l'imbrigliamento dell'atomizzazione nazionalista. E' immaginabile una concezione più corroborante dell'Europa di quella puramente nostalgica, senza che ciò significhi ricadere nei vecchi usi predatori.
Tra l'interesse coloniale verso gli altri popoli del mondo e il disinteresse conformista e scostante di fronte ad un mondo dolente -ma che oramai non può essere sottomesso a dominio- vi è un'amplia gamma politica che è opportuno rivendicare. Dico politica e non culturale. Insistere sull'unità culturale dell'Europa è superfluo, perché nessun europeo colto rifiuta Shakespeare in nome di Tolstoj, nè pensa che, avendo Rembrandt, ormai non ha bisogno di Velasquez, o che la predilezione per Mozart gli impedisce di godere di Purcell o Rossini. Ritornare enfaticamente sulla missione culturale dell'Europa è ridondante perché il successo universale della ragione e della destrezza europea sono ormai così innegabilmente opprimenti che è impudico (e forse controproducente) insistervi.
Quando si menziona la parola politica in relazione all'Europa -soprattutto se si pronuncia a Berlino e in un incontro di intellettuali al quale tanti che avrebbero dovuto partecipare non hanno potuto farlo per il veto dei loro governi- viene fuori il tema della divisione Est-Ovest.
E' una questione che non può essere minimizzata; mentre gli idioti dell'Occidente sostengono che le loro democrazie formali sono propense a gareggiare nella corsa, i più rassegnati dell'Est già hanno iniziato da tempo a gareggiare in direzione Ovest. Sembra felicemente irreversibile, tuttavia, l'affossarsi di alcune strutture repressive che sono fallite con molto più scalpore in campo economico che in quello delle libertà pubbliche.
Tutti i testimoni, compresi i meno fiduciosi, hanno affermato che il processo antitotalitario è già un fatto di maggiore o minore solidità in tutti i paesi che la spartizione di Yalta ha destinato all'egemonia sovietica. In ogni caso, mentre si chiarisce la portata ed il ritmo di questo auspicabile disgelo, sarebbe bene occuparsi delle altre divisioni dell'Europa -in pratica ne abbiamo, soltanto all'Ovest, per lo meno 12- e tra i paesi che sono apparentemente uniti e che formano causa comune.
Oggi, malgrado gli sforzi europeisti e le istituzioni della Comunità europea, la realtà palpabile è l'esistenza di dodici economie diverse e persino contrapposte, dodici politiche estere, dodici burocrazie destinate ad intralciarsi le une con le altre. L'anno prossimo si eleggerà con suffragio diretto un nuovo Parlamento europeo, ma le sue attribuzioni si vedranno mutilate da un consiglio che, come oggi, continuerà ad imporre la visione dei governi nazionali e non le prospettive sovranazionali di cui i cittadini hanno bisogno. Finche non vi sarà un'unità politica nella Comunità europea, l'unità economica è un sogno impotente... e costoso. Miliardi di eurodollari necessari per combattere la disoccupazione, per il rilancio dell'economia delle zone europee meno privilegiate e per aiutare senza falsa carità il Terzo mondo sono sperperati dalla moltiplicazione non necessaria di funzioni e dagli scontri fra gretti protezionismi nazionali. Credo sia più proficuo impostare questi temi e mobilitare i cittadini di ogn
i paese perché sollecitino i loro Parlamenti a risolverli, piuttosto che indirizzarsi nei nebulosi misteri dell'identità europea.
In cerca della più emancipatrice funzionalità, gli obiettivi dell'Europa a cui apparteniamo e sulle cui strutture possiamo influire si delineano con plausibile chiarezza: un solo Parlamento e un solo governo per la Comunità europea, una sola moneta, un autentico Trattato di Unione europea. Non è la grande Europa hitleriana, né l'Europa imperiale di Le Pen, né la blanda Europa della cartolina illustrata e dei miseri baratti: ma l'Europa ragionevole che meglio potrebbe aiutarci e che meglio potremmo aiutare.
Un'Europa multirazziale e pluriculturale, basata sul rispetto dei diversi, ma non sull'esaltazione statalista delle differenze.
Già da tempo Toynbee notò che le nazioni moderne sono composte da tribalismo e democrazia; oggi in Europa è evidente che il primo dei due cospira contro la realizzazione effettiva della seconda e che è necessario prendere misure transnazionali per porvi rimedio.