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Ripollés José Luis Dìez - 15 giugno 1988
Droga: la opcion depenalizadora
di José Luis Dìez Ripollés

SOMMARIO: José Luis Dìez Ripollés, docente di diritto penale all'Università di Malaga, propone una depenalizzazione del traffico controllato di droghe, che dovrà continuare ad essere perseguito penalmente nella misura in cui attenti alla libertà individuale o all'ordine socio-economico

(Notizie Radicali n· 122 del 15 giungo 1988 da El Pais del 31 maggio 1988);

Un approccio penalistico alla questione del traffico e del consumo delle droghe deve partire dalla distinzione tra l'uso e l'abuso delle stesse, considerando il primo come un comportamento suscettibile di valutazione positiva nella misura in cui favorisca l'autorealizzazione dell'individuo e le possibilità di intercomunicazione personale. Non basta quindi un atteggiamento di rassegnazione derivante dalla constatazione del radicamento del consumo di droghe in ogni tipo di cultura e dalla convinzione che mai sparirà completamente dalle nostre società. Ancor meno vale partire dall'attuale generalizzata tendenza internazionale alla repressione indiscriminata del traffico e persino del consumo.

La prima questione da risolvere è che cosa si vuole proteggere con la repressione del traffico di droga. L'opinione più diffusa, che fa riferimento alla salute pubblica, deve essere riconsiderata: la tutela penale della salute pubblica deve essere basata, con la significativa eccezione del traffico di droga, sul principio di non causare danni -o impedire miglioramenti- alla salute di una pluralità di persone che non vogliono subirli (i danni) o rinunziare a conseguirli (i miglioramenti). Del resto, si riscontra un'analogia inaccettabile con le malattie infettive nell'affermazione per cui ci troviamo di fronte ad un problema di salute pubblica quando si sostiene che il consumo di droghe è contagioso, risultando quindi irrilevante la volizione del danno da parte di colui che tale consumo provoca.

Si va progressivamente consolidando l'idea che la questione centrale non risieda nel danno diretto alla salute, bensì nella perdita dell'autonomia personale del consumatore. Il concetto stesso di droga, i criteri di distinzione tra droghe pesanti e leggere, le circostanze aggravanti in caso di coinvolgimento di minori, le nuove aggravanti introdotte per la somministrazione di droga a persone prive -quali ne siano le cause- della piena capacità decisionale mostrano che ciò che dà specificità al fenomeno sociale del traffico e del consumo di tali sostanze è la dipendenza che producono in coloro che le consumano.

Se così è, bisogna seguire ed approfondire una direzione e abbandonare l'altra.

Effettivamente è necessario distinguere da ogni punto di vista fra le droghe che provocano la dipendenza sia fisica che psichica e quelle che provocano soltanto quest'ultima. Dall'altro lato va cancellata l'attuale distinzione tra droghe legali e illegali: tale distinzione non trova giustificazione nei loro effetti né nella loro scala di nocività. Le tesi fondate sul radicamento culturale di certe droghe nella nostra società hanno perso la loro validità a seguito dell'internazionalizzazione della politica della droga, trasformandosi in una nuova forma di oppressione culturale ed economica operata dai paesi più ricchi: obbligano a reprimere il traffico e il consumo di quelle droghe di culture diverse dalla loro, mentre alimentano il consumo di nuove droghe, proprio della cultura occidentale. A loro volta, le evidenti somiglianze fra entrambi i tipi di droga ostacolano la efficacia di qualsiasi politica preventiva che pretenda di mantenere la distinzione.

Le diverse conseguenze rispetto all'integrazione sociale dei consumatori delle une e delle altre discendono semplicemente dal loro diverso trattamento legale.

Ciononostante, il problema droga presenta in questo momento un altro aspetto: il sorgere di gigantesche, onnipotenti organizzazioni di narcotrafficanti dall'enorme potere economico derivante dall'elevatissimo profitto frutto del proibizionismo, sta già minando l'organizzazione istituzionale di vari Stati e minaccia di estendersi rapidamente a molti altri. Ciò impone di analizzare questo fenomeno come minaccioso almeno per la struttura socio-economica di un determinato paese, se non addirittura per i suoi fondamenti costituzionali.

Le riflessioni fin qui svolte consigliano di reagire all'abuso piuttosto che all'uso di droghe. Ritengo che la politica repressiva abbia dimostrato chiaramente la sua inefficacia. E' necessario porre in atto azioni di tipo preventivo e assistenziale che incidano sulla domanda di droga, piuttosto che sull'offerta; al contrario di quanto fa la politica di repressione. Sul contenuto della maggior parte delle misure preventive ed assistenziali che agiscono sulla domanda vi è amplio consenso, derivante dall'esperienza accumulata in vari paesi. Non si deve dimenticare in ogni modo che il successo nella diminuzione della domanda è strettamente collegato alla capacità di collocare il problema all'interno dell'offerta di un modello di vita basato sull'autonomia personale, e a livello di attività non istituzionale sviluppato dalla società civile, parallelamente al miglioramento del livello generale delle condizioni di vita.

Un'ulteriore questione riguarda l'opportunità di abbandonare totalmente la repressione o cambiare totalmente la configurazione penale, essendo pienamente coscienti che la soluzione all'abuso delle droghe può essere conseguita soltanto dal momento in cui la società e i suoi singoli membri si convincano della sua svantaggiosità, cosa che si può ottenere soltanto con gli strumenti appena sopra indicati.

A mio avviso, la qualificazione penale continuerebbe ad aver senso soltanto nei seguenti termini: in primo luogo, se si intende garantire con la previsione di pene il controllo amministrativo della produzione e della vendita delle droghe, così come della loro qualità -come si fa per i prodotti alimentari o farmaceutici, che possono a determinate condizioni essere nocivi per la salute; in secondo luogo, includendo fra i delitti contro la libertà individuale alcune norme che puniscano la somministrazione di droga a persone prive in maniera evidente di sufficiente capacità decisionale- il cui consenso, quindi, deve considerarsi inefficace. Andrebbero stabilite distinzioni o previsioni di impunità a seconda del tipo e della intensità della dipendenza prodotta dalla sostanza. In ogni caso si dovrebbe pensare di lasciare penalmente irrilevante il traffico tra adulti consenzienti.

Senza dubbio queste previsioni penali inciderebbero soprattutto sui livelli di traffico più vicini ai consumatori.

I livelli alti di traffico richiedono invece un trattamento penale diverso. E' necessario trarre le dovute conseguenze dall'opinione -diffusa nei fori internazionali- della minaccia istituzionale costituita da queste organizzazioni. Oltre al loro indebolimento che sarebbe conseguente ad una parziale depenalizzazione, va tenuto in conto il campo dei delitti contro l'ordine socio-economico: si stanno attualmente sviluppando manovre monopolistiche o oligopolistiche che interessano soprattutto i settori della libera concorrenza e comportano la violazione massiccia delle leggi sul contrabbando e sul controllo dei cambi, per non parlare degli effetti, più generali, prodotti sull'intero sistema finanziario.

Dovrebbero prevedersi strumenti giuridici che si occupino in modo specifico della vera natura di questa delinquenza, piuttosto che semplici sanzioni non in grado di colpire quelle specifiche condotte delinquenziali.

La mia proposta prevede in primo luogo una depenalizzazione del traffico controllato di droghe, che dovrà continuare ad essere perseguito penalmente nella misura in cui attenti alla libertà individuale o all'ordine socio-economico (nel senso sopra illustrato).

Una tale opzione soddisferebbe tanto la necessità di protezione dell'ordine giuridico, quanto la ricerca di soluzioni più efficaci al problema.

La posizione degli organismi delle Nazioni Unite e di molti governi occidentali -fra i quali disgraziatamente si annovera il nostro- è molto lontana da quanto sopra proposto. La riforma dell'articolo 344 del codice penale, realizzata nel 1983, la presentazione di un convincente rapporto al Senato, redatto da una commissione speciale d'inchiesta nel 1985, e l'approvazione del piano nazionale sulla droga quest'anno avevano trasformato la politica spagnola su questo problema in una delle più razionali d'Europa, accanto a quella olandese. Si era optato per un'alternativa fondamentalmente di prevenzione, ed era stato elaborato un prudente e moderno piano nazionale che poggiava su quei presupposti. Tuttavia, quasi contemporaneamente si diede inizio ai lavori delle Nazioni Unite in vista dell'elaborazione di una nuova convenzione internazionale che fisserebbe pene per il traffico di droga di severità finora sconosciuta, che -se accettate nella loro integrità- porterebbero ad una normativa chiaramente incompatibile

con la nostra Costituzione.

Inoltre, cominciarono a prender piede alcuni equivoci, e a formularsi ingiuste critiche nei confronti della riforma spagnola del 1983: presumibilmente ci furono pressioni internazionali, giacchè la Spagna e l'Olanda (come si dimostrò durante la sessione del Parlamento europeo sul rapporto Stewart-Clark nell'ottobre 1986) si trovarono ad essere considerate le pecore nere della lotta europea contro la droga. Tutto questo, unito a ragioni interne, potrebbe spiegare il deciso cambio di direzione che si avverte nell'attuale atteggiamento del governo spagnolo, che ha preso forma nella recente riforma del codice penale in materia di traffico illegale di droga.

Questa riforma dà prima di tutto per esaurito (in senso negativo) il dibattito sull'opportunità di depenalizzare parzialmente il traffico di droga, prescindendo dal fatto che nelle sessione del Parlamento europeo sopra menzionate il gruppo parlamentare europeo socialista -unitamente a quello comunista e al gruppo »Arcobaleno - appoggiarono, qualificandolo come urgente, tale dibattito. Questo implica allo stesso tempo -stante la stretta relazione tra i differenti aspetti in questione- mettere in pericolo i risultati che si stavano ottenendo con l'azione di prevenzione e di assistenza sviluppata a seguito del piano nazionale sulla droga che veniva ad essere incompatibile con una severa repressione quale quella decisa.

In termini strettamente giuridico-penali va lodata all'interno della riforma la estensione della sospensione condizionale della pena (benché si sarebbe potuta prevedere ancora più ampiamente), e la introduzione di nuove forme di sequestro e custodia cautelare, che dovrebbero affrontare i livelli alti del traffico con una visione socio-economica del problema, e che sono state formulate in modo più circoscritto e migliore di quanto prevedono gli organismi dell'Onu. Tuttavia la smisurata estensione della fattispecie allontana definitivamente le possibilità di successo, riportandoci ad una situazione peggiore di quella anteriore al 1983.

In conclusione, si sta eludendo l'autentico dibattito, probabilmente perché manca la sufficiente energia politica per spiegare ai cittadini i vantaggi che a medio e lungo termine deriverebbero dalla opzione di depenalizzare il traffico e prevenire il consumo di droga, e per affrontare i prevedibili periodi di impazienza che nascerebbero nella società fino al momento in cui si cominciassero ad apprezzare gli effetti di tale opzione, con il costo politico che comporterebbe.

 
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