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Carnovale Marco - 1 settembre 1988
NON PRIMO USO E CONGELAMENTO DELLE ARMI NUCLEARI
di Marco Carnovale

SOMMARIO: In questo paper vengono analizzate due proposte di iniziativa unilaterale per il controllo delle armi nucleari della Nato (la dottrina del non primo uso e la proposta del congelamento dell'arsenale nucleare della Nato agli attuali livelli di forza), con lo scopo di valutare se esse possano, al di là della reciprocità che potrebbe venir negoziata col Patto di Varsavia, diminuire i pericoli di conflitti in Europa e quindi meglio garantire quella sicurezza alla quale gli armamenti sono preposti.

(Irdisp Paper n. 1/88 - settembre 1988)

Nell'ambito delle possibili iniziative unilaterali (e non) che le potenze nucleari potrebbero intraprendere nel settore del controllo degli armamenti nucleari, si possono distinguere due grandi categorie: le iniziative volte al controllo della quantità e della qualità delle armi spiegate sul campo, e quelle volte al controllo dei criteri per il possibile uso delle stesse armi.

Nella prima categoria, che potremmo definire di controllo dell'"hardware" nucleare, cadono la maggioranza degli accordi sinora negoziati tra potenze nucleari esistenti (SALT, Trattato ABM) o potenziali (Trattato di Non proliferazione). In questa categoria si trovano anche quasi tutte le proposte al momento sul tavolo dei negoziati di Ginevra.

Nella seconda categoria, che potremmo definire di controllo del "software" nucleare, si trovano altre iniziative come il Trattato per la Limitazione Parziale degli Esperimenti Nucleari (LTBT, dall'inglese Limited Test Ban Treaty) ed i recenti accordi tra Nato e Patto di Varsavia (che coinvolgono però per lo più forze convenzionali) sulla regolamentazione degli spiegamenti e delle manovre di forze in Europa.

In entrambe le categorie, quasi tutti i negoziati ed i trattati per il controllo della armi nucleari, sulla scia di tutti i maggiori trattati dell'anteguerra dalla Conferenza dell'Aia in poi, sono stati sinora caratterizzati dalla ricerca di una qualche reciprocità nelle limitazioni da imporsi nell'interesse comune. La più importante eccezione a questo proposito è senza dubbio il Tnp (Trattato di Nonproliferazione), ove decine di paesi hanno unilateralmente rinunciato a dotarsi di armi nucleari. Tuttavia anche nel Tnp ai paesi militarmente nucleari (PMN) è stato richiesto l'impegno alla riduzione ed eventuale eliminazione degli arsenali esistenti ed all'assistenza nucleare a fini pacifici.

Prevalenza storica quindi del bilateralismo o del multilateralismo in materia di limitazione degli armamenti, e presenza quasi senza eccezioni di criteri di reciprocità. E' probabilmente sopratutto a causa di questa prevalenza che molti politici e studiosi ritengono il negoziato bi o multilaterale e la reciprocità una "conditio sine qua non" per la rinuncia a questo o quel sistema d'arma o per l'adozione di misure volte ad una qualche limitazione operativa della forza armata. Questa conditio è tuttavia ingiustificata, perchè è indubbio che, in tutti i paesi, innumerevoli sono state le decisioni nazionali unilaterali in materia di sicurezza nazionale che hanno coinciso con misure di controllo e di limitazione dell'apparato bellico (riduzioni, smantellamenti, rispiegamenti di armi e di uomini). Le motivazioni sono state le più disparate: costi troppo elevati, scarsa affidabilità, sostituzione con sistemi più moderni, pressioni di politica interna, ecc. Il problema non è dunque tanto distabilire se iniziative

unilaterali per il controllo e la limitazione degli armamenti potrebbero essere auspicabili, ma quali.

In questo capitolo si analizzeranno due proposte di iniziativa unilaterale per il controllo delle armi nucleari della NATO, con lo scopo di valutare se esse possano, al di là della reciprocità che potrebbe venir negoziata col Patto di Varsavia, diminuire i pericoli di conflitti in Europa e quindi meglio garantire quella sicurezza alla quale gli armamenti sono preposti.

La prima proposta, che rientra nella categoria "software" nucleare è che la Nato adotti una dottrina di non-primo uso (NFU, dall'inglese "no-first-use") nucleare. Col termine NFU si intende la rinuncia unilaterale all'opzione, in caso di crisi o di conflitto convenzionale, di ricorrere all'uso di armi nucleari prima che l'abbia fatto la parte avversa. Si vedrà come si discutono poi molte varianti di questo concetto di base, ma è bene chiarire subito che col termine "primo uso" nonò si intende "primo colpo", e cioè un attacco nucleare alle forze nucleari avversarie avente lo scopo di disarmare per guadagnare all'attaccante un vantaggio decisivo nel conflitto. La distinzione è importante soprattutto perchè il primo uso fa parte integrante della dottrina della Nato, mentre il primo colpo è ufficialmente respinto sia per quanto concerne i criteri di programmazione dell'acquisizione delle forze che nelle finalità che sipropone.

La seconda proposta, che rientra invece nella categoria dell'"hardware" nucleare, è che l'arsenale nucleare della Nato venga bloccato (o "congelato" secondo la terminologia anglosassone) agli attuali livelli di forza. Anche in questo caso, si vedrà come su un concetto di base relativamente semplice come quello di "fermarsi dove siamo" si sviluppino varianti tecnicamente complesse dovute in parte alla complessità di ciò che si vuole congelare ed in parte alla difficoltà di verifica di eventuali accordi.

Si sono scelte queste due proposte tra le moltissime iniziative unilaterali discusse da politici ed osservatori, per vari motivi. Primo, entrambe sono proposte interessanti in quanto si potrebbero definire "moderate", nel senso che non vengono avanzate da parti ideologicamente sospettabili di pregiudizio. Per esempio, NFU è appoggiata da molti dei più autorevoli esperti statunitensi vicini all'establishment, tra cui almeno un ex-segretario della difesa, Robert McNamara, che molto ha contribuito alla formazione dell'attuale strategia nucleare della Nato. Inoltre, una risoluzione di appoggio al congelamento, anche se con molte riserve, è stata adottata dalla Commissione Affari Esteri del Congresso degli Usa nel 1982 per essere poi respinta con un margine di soli due voti (204-202) dall'assemblea plenaria.(1)

Secondo, entrambe hanno avuto un ruolo importante nel dibattito sulla sicurezza che si è sviluppato negli ultimi anni sia negli Stati Uniti che in Europa occidentale (in qualche misura le proposte di congelamento hanno avuto seguito anche in qualche paese del Patto diVarsavia).

Dopo aver esposto le principali argomentazioni sia in favore che contro l'adozione delle due misure menzionate, cercherò di delinearne le prospettive future e di trarre qualche conclusione più generale per l'unilateralismo nucleare nella Nato.

Il Non-Primo Uso delle Armi Nucleari

Il dibattito sull'opportunità di riccorrere all'uso di armi nucleari nel corso di un conflitto è vecchio quanto le armi nucleari stesse. Già dalla vigilia del bombardamento di Hiroshima s'era sviluppato nei ristretti circoli americani preposti alla decisione dell'impiego contro il Giappone un dibattito sulla sua opportunità. Con l'avvento dell'era atomica e dell'acquisizione di armi nucleari da parte dei due blocchi contrapposti in Europa, la questione del primo uso si è indissolubilmente intrecciata con la ricerca di una strategia di deterrenza e di difesa nucleare per l'Alleanza.

Si può accennare che ci sono stati in passato simili dibattiti riguardo ad altre armi che, per la loro brutalità, generavano pressioni a negoziarne la messa al bando. Quest'ultima è stata spesso tanto più efficace quanto più le parti contraenti non si aspettavano benefici militari da una sua violazione, anche unilaterale ed a sorpresa. Sfortunatamente, tali accordi non sono stati molti.

Caso sintomatico ed importante fu la messa al bando nel primo dopoguerra dell'uso delle armi chimiche, che tanto orrore e tanto pochi risultati militari avevano procurato nella Grande Guerra. E' interessante notare che, forse proprio perchè non c'era poi da aspettarsi grossi vantaggi militari dal loro uso, durante la Seconda Guerra Mondiale nessun belligerante ne abbia iniziato l'uso.(2)

Il primo-uso nucleare come compensazione della apparentemente insanabile inferiorità quantitativa convenzionale che nessuno, oquasi, metteva in discussione entrava a far parte della dottrina della Nato verso la metà degli anni '50, quando diventò ovvio a tutti che ilivelli di forza convenzionale concordati nel 1952 non sarebbero statiraggiunti, e che sarebbe stato necessario acquisire più forza militare per unità di spesa ("a bigger bang for the buck", letteralmente "un botto più forte per il dollaro" come voleva un motto in voga al tempo) puntando sul nucleare.

Nel Febbraio 1952 i ministri della Nato riuniti a Lisbonaavevano concordato che per opporre un'efficace difesa alla 175 divisioni che le stime di allora attribuivano all'Urss sarebbero servite almeno 96 divisioni Nato. E' opinione dei più che quella stima fosse esageratamente allarmistica, mentre l'impegno assunto fosse comunque irragiungibile. (Cfr. David N. Schwartz: "A Historical Perspective" in John D. Steinbruner and Leon V. Sigal (eds.): Alliance Security: NATO and the No-First-Use (Washington, D.C.:Brookings, 1983), . Questo libro è forse la raccolta più completa di saggi sugli aspetti storici, politici e militari del NFU.

Nel 1954 la Nato codificò la dottrina della "rappresagliamassiccia", incorporata nel documento MC 14/2, che prevedeva l'uso del nucleare immediatamente o quasi in caso di attacco sovietico in Europa. Le autorità della Nato cercavano di convincere sia i sovietici che i molti occidentali, soprattutto in Europa, che rimanevano preoccupati della preponderanza convenzionale sovietica, che "non sitratta più di chiarire 'se saranno usate', in quanto è definitivamente certo che 'saranno usate, se saremo attaccati'", come ebbe a dire in una celeberrima conferenza l'allora vice-Comandante Supremo delle Forze Alleate in Europa (Deputy Saceur) Bernard L. Montgomery.

Non è questa la sede per una rielaborazione delle argomentazioni pro e contro il MC 14/2; basti sottolineare come l'adozione di quel documento significò l'abbandono ufficiale di ogni tentativo di raggiungere gli scopi prefissi nel 1952 a Lisbona (e cioè di rafforzare il dispositivo convenzionale fino a che esso avrebbe potuto da solo scoraggiare e se necessario fronteggiare un attacco) a favore di quello che veniva definito il "New Look", e cioè un tentativo di sviluppare alternative che potessero raggiungere gli stessi obiettivi di Lisbona ma con minore spesa. Fu presto chiaro che l'unico modo di far ciò era quello di enfatizzare il deterrente nucleare come arsenale e la minaccia del primo uso nucleare come strategia per prevenire o contrastare anche attacchi solo convenzionali.

L'idea sedusse la maggioranza degli europei. Era rassicurante pensare che si poteva ora garantirsi la propria sicurezza con la minaccia del primo uso nucleare, lasciando agli Stati Uniti la responsabilità e l'onere di gestirla. La promessa di difesa americana era non solo rassicurante ma, agli occhi degli europei, credibile, perchè i sovietici non disponevano ancora di un dispositivo nucleare equivalente con cui minacciare il territorio americano.(4)

Ma le speranze riposte nella difesa nucleare a buon mercato non durarono molto. L'accrescersi della capacità nucleare sovietica mise presto in dubbio la credibilità della difesa americana dell'Europa. Inoltre, gli studi su eventuali future battaglie nucleari in Europa e le esercitazioni Nato in cui si simulava l'uso, anche relativamente limitato, di armi nucleari per la difesa del fronte centrale, fornivano responsi tutt'altro che rassicuranti. Il danno umano e materiale, per i difensori quanto per gli attaccanti, era al di là di quanto potesse essere ragionevolmente considerato accettabile. Si prospettava per l'Europa occidentale la possibilità che, ad un attacco convenzionale sovietico, la scelta sarebbe stata tra la resa e la distruzione nucleare.

Tuttavia la maggioranza degli Europei aborriva il pensiero di dover ricominciare ad occuparsi di come si sarebbe combattuta la prossima guerra convenzionale sul continente, e preferiva continuare ad affidarsi, quasi ciecamente, agli americani.(5)

Se però gli europei preferivano ignorare il duplice problema della credibilità e della distruttività della difesa nucleare, il nodo veniva comunque al pettine in sede Nato nel 1962, quando il Segretario della Difesa americano McNamara annunciava l'abbandono della dottrina della rappresaglia massiccia a favore della "risposta flessibile", che prevedeva l'uso del nucleare solo in una fase relativamente avanzata del conflitto, ove il convenzionale non fosse bastato. Non è questa la sede per dilungarsi sul merito della nuova dottrina, che dopo prolungate resistenze europee venne adottata dall'alleanza nel 1967. Basti sottolineare che, anche se in forma meno inequivocabile diprima, rimaneva la minaccia del primo uso come parte integrante deldeterrente Nato.

Il dibattito perciò continuava a svilupparsi sul quando e sul come tale uso sarebbe stato di giovamento alla difesa della Nato se il suo effetto deterrente avesse fallito. Tale dibattito acquisiva nuovo vigore e più alto profilo anche politico quando quattro autorevolissimi esponenti americani pubblicavano un articolo in cui sostenevano che il primo uso non era in nessun caso nell'interesse della difesa dell'Europa e chiedevano che la Nato adottasse una nuova dottrina in cui lo si ripudiasse senza riserve.(6) A quell'articolo ne seguirono moltissimi altri, di molti autori europei ed americani. Il dibattito è tutt'altro che esaurito, ed anzi si è spesso colorato di pregiudizi politici che poco hanno a che fare con le considerazioni strategiche e militari che dovrebbero governare la scelta di una dottrina militare. Nelle pagine che seguono cercherò di fornire una selezione delle argomentazioni più convincenti, e meno ideologizzate, che sono state proposte da sostenitori ed oppositori dell'adozione delNFU.

I sostenitori del NFU sottolineano che in decenni di elaborazione strategica nessuno sia ancora riuscito a dimostrare in che modo le armi nucleari possano essere utilizzate operativamente ed apportare vantaggi significativi ad una eventuale difesa della Nato da un attacco del Patto di Varsavia. Si fa notare che "i primi piani di uso nucleare erano segretissimi ed altamente ipotetici",(7) in quanto, specialmente dopo la celebre (o meglio, famigerata) esercitazione "Carte Blanche"(8) non appariva più affatto scontato, come si era inizialmente speculato, che la difesa sarebbe stata avvantaggiata rispetto all'offesa dall'uso di armi nucleari contro le concentrazioni di forze convenzionali di quest'ultima.

Gli oppositori del NFU rispondono che comunque la minaccia del primo uso inserice nei calcoli sovietici un elemento di incertezza che rafforza la deterrenza,(9) e che quindi si riduce la probabilità che si scateni un conflitto, nucleare e non. Infatti, aggiungono, grazie alla minaccia del primo uso nucleare l'Europa ha goduto di quattro decenni di pace che altrimenti, alla luce delle molteplici crisi intercorse tra i due blocchi, sarebbero molto probabilmente stati interrotti da conflitti armati, se pur solo convenzionali.(10)

Oppositori e sostenitori del NFU sono in maggioranza d'accordo oggi molto più che in passato sulla necessità di rafforzare le difese convenzionali della Nato per alzare comunque la soglia nucleare, a prescindere dal fatto che si adotti o meno il NFU. Ma mentre i secondi la vorrebbero alzare ad oltranza, i primi credono che mantenere, esplicitamente, l'opzione nucleare rafforzerebbe la deterrenza, per i motivi citati sopra.(11)

Per quanto concerne specificamente la distruttività di una eventuale guerra nucleare che abbia lo scopo di difendere un certo territorio ed una certa popolazione, i proponitori del NFU sottolineano che sinora "nessuno ha fornito argomentazioni persuasive per convincere che un qualsiasi ricorso al nucleare, anche il più limitato, possa offrire una garanzia affidabile di rimanere limitato"(12) di non diventare cioè il preludio di una guerra nucleare generalizzata. Su ciò i più sono d'accordo, ma mentre per chi propone il NFU la possibilità di una guerra generalizzata è di per sé un un pericolo assolutamente da evitare, per gli oppositori del NFU questo pericolo va misurato paragonandolo a quello di altri tipi di conflitti.

In altre parole, dovendo scegliere tra una minore probabilità di conflitto nucleare (se pur più distruttivo) ed una maggiore probabilità di conflitto convenzionale (se pur meno distruttivo), gli oppositori del NFU tendono a favorire la prima,(14) mentre i sostenitori del NFU la seconda.

I sostenitori del NFU mettono in discussione anche quello che tradizionalmente era stato uno dei cavalli di battaglia dei suoi oppositori, e cioè la convenienza economica di una difesa imperniata sul nucleare. Si sostiene invece che la rinuncia al primo uso ridurrebbe di molto i requisiti nucleari in termini di livelli diforza in quanto per garantire un "secondo uso" basterebbe un deterrente minimo che potesse sopravvivere al primo uso nemico, e non servirebbe la complicata e diversificata macchina da guerra nucleare attualmente spiegata dalla Nato e che viene continuamente modernizzata. Ciò che così si risparmierebbe si potrebbe devolvere al rafforzamento dell'apparato convenzionale, contribuendo in tal modo adalzare la soglia nucleare e diminuire quindi ulteriormente il pericolodi guerra nucleare generalizzata.(15) A ciò viene risposto da coloro che credono nel primo uso e nella deterrenza nucleare ma non nel "primo colpo" (vedi sopra) e nella possibilità di una "vittoria" in caso di guerra nucleare, che a

nche una dottrina di primo uso potrebbe basarsi su un deterrente minimo, purchè invulnerabile, a patto che si prefigga solamente di scoraggiare un attacco, e non di sconfiggerlo. A chi pone il problema di cosa accadrebbe se la deterrenza fallisse, i sostenitori del deterrente minimo rispondono che, inevitabilmente, la guerra si generalizzerebbe e non ci sarebbero nè vinti nè vincitori.

Oltre alle implicazioni strategico-militari del NFU (deterrenza, difesa, controllabilità, livelli di forza, ecc.) non si possono trascurare quelli che sarebbero gli effetti della nuova dottrina sulle relazioni interatlantiche e sulla coesione dell'alleanza. Si nota a questo proposito come in prevalenza dalla fine degli anni '50, e cioè da quando i sovietici hanno acquisito la capacità di colpire il territorio americano con missili nucleari, siano stati gli americani a proporre una graduale convenzionalizzazione delle difesa dell'alleanza, ed in particolare dell'Europa. Tale preferenza americana è facilmente comprensibile, in quanto un conflitto convenzionale potrebbe toccare gli Usa, nel peggiore dei casi, solo marginalmente. Non che gli americani non siano interessati alla difesa dell'Europa ed alla prevenzione di qualunque tipo di guerra; ma, dal punto di vista americano, le guerre non sarebbero tutte uguali.(16)

Gli europei invece fanno meno discriminazioni tra guerra nucleare e convenzionale, in quanto una ennesima guerra anche "solo"convenzionale in Europa porterebbe distruzioni senza precedenti, tantoche fare distinzioni tra queste e quelle che conseguirebbero ad un conflitto nucleare perde forse del tutto di significato.

Non sorprende quindi se i sostenitori del NFU sono in maggioranza americani, mentre la maggioranza degli "establishmment" europei è contraria o, al più, scettica. Con ciò non si vuol però dire che la maggioranza degli americani (operatori militari, politici, od osservatori) sia favorevole al NFU: se così fosse, il NFU sarebbe forse già dottrina per tutta la Nato. Nè si vuol dire che la maggioranza degli europei veda con favore un uso precoce indiscriminato del nucleare.

Vanno infatti sottolineati alcuni elementi di schizofrenia che sono emersi nel tempo sia nelle posizioni degli americani che degli europei. Se è vero che gli americani tendono a ridurre l'enfasi sulla difesa nucleare è anche vero che quando di primo uso nucleare si è parlato essi hanno spinto per un uso non solo precoce ma anche massiccio, purchè finalizzato ad obiettivi strettamente militari econfinato alle operazioni militari in corso. La preoccupazione costante che sottosta a questo tipo di proposte è sempre la stessa: cercare di risolvere un problema militare al più presto, prima che il conflitto possa assumere (volenti o nolenti le parti in causa) proporzioni globali. E risolverlo localmente, per evitare finchè possibile di fornire incentivi all'Urss per allargare la geografia del conflitto per includere il nordamerica: evitare quindi finchè possibile di colpire il territorio sovietico.

Spesso non meno contraddittorie le posizioni degli europei, da una parte ansiosi sia di coinvolgere, subito e massicciamente, gli americani in un qualunque ipotetico conflitto europeo, che di assicurare la nuclearizzazione di tale conflitto (soprattutto all oscopo di scoraggiare i sovietici dallo scatenarlo) e dall'altra terrorizzati dall'eventualità di uno scambio nucleare combattuto sì dagli eserciti sovietico ed americano, ma sul territorio europeo, che lasciasse invece indenni dall'apocalisse nucleare i territori dei due paesi che di tale apocalisse sarebbero i principali esecutori, anche se non necessariamente i maggiori responsabili.(17)

Queste schizofrenie europee ed americane impongono di mantenere qualche riserva su quello che potrebbe essere l'effetto dell'adozione del NFU sull'alleanza. Molto dipenderebbe dalla contingenza di politica interna del momento nei vari paesi europei. Tuttavia, in tutta probabilità, il NFU verrebbe interpretato dalla maggior parte degli europei come un ulteriore passo americano verso la denuclearizzazione della difesa dell'Europa e, pertanto, verso la separazione di tale difesa da quella degli Usa stessi.(18) In prospettiva storica, un altro esempio di isolazionismo americano.

In conclusione, si deve ammettere che rimane molta incertezza su quelle che sarebbero le conseguenze del NFU sulla deterrenza, sulla controllabilità di un eventuale conflitto e sulla coesione dell'alleanza atlantica.(19) Tale incertezza è dovuta al fatto che non si può nè provare che in mancanza della dottrina di primo uso la cose sarebbero andate meglio in passato, nè che adottando il NFU andrebbero meglio in futuro, ma neanche il contrario. Pertanto, c'è chi suggerisce di lasciare le cose come stanno perchè non si sa come migliorarle.(20)

Chi scrive è leggermente meno agnostico. Anche se poco si può provare scientificamente, c'è molto spazio per un'analisi informata. Il problema è semmai di chiarirsi quali obiettivi la Nato si prefigge ed in quale ordine di priorità.

Per quanto riguarda la deterrenza e la controllabilità di un conflitto in Europa, è opinione diffusa che maggiore è la minaccia di uso nucleare e minore è la probabilità di scoppio di un conflitto; ma qualora un conflitto dovesse comunque scoppiare esso sarebbe meno facilmente controllabile.

Per contro, la dottrina di NFU potrebbe diminuire la probabilità di "escalation" nucleare e quindi garantire una maggiore controllabilità di un possibile conflitto a livelli più bassi di violenza; ma proprio per questo, se intesa seriamente, tale dottrina potrebbe rendere le conseguenze di un conflitto armato più calcolabilie quindi, ceteris paribus, aumentare le probabilità che esso scoppi.

E' preferibile avere una maggiore probabilità che scoppi una guerra più limitata o una minore probabilità che ne scoppi una incontrollabile o quasi? Le opinioni divergono a secondo, spesso, del punto di vista geografico: la maggior parte degli americani, almeno a livello di establishment, preferisce la prima possibilità, in quanto una guerra convenzionale o, forse, anche una nucleare limitata, lascerebbe il territorio Usa intoccato. Gli europei, che verrebbero comunque pesantemente investiti da qualunque conflitto, generalmente prediligono la seconda. E' necessario sottolineare che si parla qui di probabilità comunque mlto basse allo stato attuale delle relazioni internazionali ed in particolare dei rapporti Est-Ovest; tuttavia, il dilemma permane e la scelta è inevitabile.

Il Congelamento della Armi Nucleari

La seconda proposta di opzione unilaterale analizzata in questo capitolo è quella del congelamento degli arsenali nucleari. Il principio fondamentale che rende questa proposta intuitivamente interessante è semplice: dato che esistono negli arsenali delle superpotenze quantitativi tali di ordigni da poter soddisfare abbondantemente ogni ragionevole requisito di forza per il mantenimento di un deterrente nucleare e dato che quindi ulteriori aumenti di forza incontrerebbero utilità marginali minime se non nulle, perchè non fermare la crescita degli arsenali stessi ai livelliattuali?

Prima di passare ad analizzare una per una la argomentazioni che vengono addotte da proponitori e oppositori del "congelamento" asostegno delle rispettive posizioni, bisogna chiarire cosa si intende con questo termine. Esistono infatti svariate versioni di congelamento, per contenuti o per implicazioni. Esamineremo qui le due principali categorie nelle quali si possono raggruppare le più importanti di tali versioni. La prima categoria, che si potrebbe definire congelamento quantitativo£, indica il blocco di nuove acquisizioni negli arsenali nucleari: si propone cioè che il numero delle armi non aumenti. Il concetto è semplice, forse troppo semplice in quanto lascia troppi dettagli indefiniti. Esistono quindi delle varianti su questo tema di base. C'è il congelamento che si potrebbe definire quantitativo senza sostituzioni, che prevede il divieto di sostituire armi di nuova fabbricazione ad armi più vecchie che venissero ritirate. Un congelamento quantitativo con sostituzioni lascierebbe per contro la facoltà

alle parti contraenti di effettuare tali sostituzioni.

La seconda categoria, che si potrebbe definire congelamento qualitativo, indica il blocco dello sviluppo tecnologico applicato alle armi nucleari. Lo scopo qui è quello di prevenire larealizzazione di armi sempre più micidiali o per la loro distruttività o per caratteristiche destabilizzanti. Un congelamento qualitativo potrebbe essere a sua volta di due tipi diversi: assoluto, nel caso che nessuna modernizzazione di alcun tipo venisse permessa; o condizionale, nel caso in cui modernizzazioni venissero permesse solo se volte al fine di aumentare la stabilità complessiva dell'arsenale, per esempio aumentandone l'invulnerabilità.

Sia un congelamento quantitativo che qualitativo possono poi essere totali o parziali, a secondo che tutte le armi nucleari siano coperte ovvero che lo siano solo alcune categorie.

I vantaggi che i proponitori del congelamento indicano sono molteplici e di natura molto varia, e dipendono in larga misura da quale dei tipi di congelamento sopra descritti viene di volta in volta adottato. Esaminerò qui alcuni di questi potenziali vantaggi e li confronterò con le controargomentazioni di chi al congelamento invece si oppone. Questa rassegna raccoglie le tesi che maggiore spicco hanno avuto nel dibattito specialistico in materia. Inoltre si porrà qui particolare attenzione alle implicazioni di un congelamento unilaterale invece che reciproco con l'Unione Sovietica e/o altre potenze nucleari.(21)

Primo, il congelamento quantitativo senza sostituzioni potrebbe essere un buon terreno comune tra disarmisti e chi ha paura ched accordi che prevedano rapide riduzioni delle forze di deterrenza potrebbero in qualche modo favorire gli avversari dell'Occidente. Come ho avuto modo di indicare sopra nella discussione del NFU, c'è chi non considera l'eventuale eliminazione del deterrente nucleare come positiva, mentre il suo congelamento potrebbe essere accettato almeno da chi tra costoro al nucleare chiede solo una funzione di deterrenza pura (o "minima") e non capacità di combattere in modo militarmente efficace.

Infatti, un arsenale nucleare che venisse congelato senza la possibilità di sostituire componenti che superino il limite della loro vita operativa soffrirebbe necessariamente di una affidabilità sempre più ridotta. Tale ridotta affidabilità ridurrebbe la capacità dei possessori di quell'arsenale di lanciare un attacco di primo colpo, per il quale si richiede un'altissima affidabilità; non muterebbe invece sostanzialmente la capacità di secondo colpo, o di rappresaglia, in quanto a tale scopo basta che anche solo una percentuale ridotta degli ordigni possa essere utilizzata. I comandanti di siffatti arsenali sarebbero quindi scoraggiati a lanciare un attacco per primi, in quanto il grado di riuscita dello stesso sarebbe altamente incerto; ma saprebbero invece che l'arsenale nemico, anche se ugualmente inaffidabile, potrebbe comunque rispondere con una parte, per quanto piccola, delle forze che sopravviverebbero al primo colpo e con esse infliggere danni con tutta probabilità inaccettabili. Questa incertezza d

el'attaccante, affiancata dalla certezza del difensore, ridurrebbe le probabilità di guerra nucleare.

Chi a questo tipo di congelamento si oppone risponde che, primo, i problemi di verifica sarebbero insormontabili in quanto le componenti non-nucleari dalle quali l'affidabilità dipende sarebbero facilmente sostituibili in clandestinità da chi volesse mantenere il proprio arsenale massimamente efficiente ed avvantaggiarsi così neic onfronti di chi restasse ligio ad un accordo di congelamento senza sostituzioni. Secondo, si sostiene a volte che un'adeguata manutenzione delle forze è indispensabile a garantire la sicurezza di chi con esse o vicino ad esse lavora in tempo di pace.(22)

Va sottolineato che il congelamento senza sostituzioni unilaterale potrebbe essere accettabile dal punto di vista militare solo se venisse adottata una dottrina di rappresaglia massiccia con pochissime opzioni operative. Infatti non sarebbe possibile fare affidamento in modo credibile in una dottrina quale è quella della Nato oggi, che prevede centinaia di possibilità diverse di impiego senza un alto grado di affidabilità dei sistemi d'arma, affidabilità che, come si è detto, verrebbe inficiata da un congelamento senza sostituzioni.(23)

A tutte queste critiche rispondono i proponitori del congelamento quantitativo con sostituzioni, che potrebbe essere inoltre regolamentato per consentire l'introduzione progressiva di armi più stabilizzanti a scapito di quelle attualmente sul campo che più preoccupano per le loro caratteristiche o per il loro spiegamento.(24) Si potrebbero avere così arsenali sempre moderni, affidabili per scopi di deterrenza e progressivamente più rassicuranti contro pericoli di guerra accidentale o di tentazioni di attacco anticipatore.(26)

Altro tipo di congelamento è quello "qualitativo", che potrebbe essere a sua volta "assoluto" o "condizionale", a secondo che non si ammetta alcun ammodernamento ovvero che se ne ammettano solo quelli che potrebbero contribuire alla riduzione dei rischi.

Un congelamento qualitativo assoluto si prefiggerebbe lo scopo di fermare lo sviluppo di armi che, per vari motivi (maggiore instabilità, alto costo, ecc.), vengano considerate meno desiderabili delle odierne. Un accordo di congelamento di tal tipo consentirebbe dunque solo la sostituzione di armi obsolescenti con altre identiche in uguale numero, e causerebbe quindi di far rimanere immutata la formazione degli arsenali dal momento dell'entrata in vigore dell'accordo. Tale accordo avrebbe il vantaggio di evitare alterazioni unilaterali dell'odierno sostanziale equilibrio strategico, che verrebbe così perpetuato sine die. L'ovvio svantaggio è che si perpetuerebbero anche i difetti di tale equilibrio, in termini di instabilità, costi di manutenzione, ecc.

Un congelamento qualitativo potrebbe però essere condizionale se limitasse l'ammodernamento all'introduzione di sistemi d'arma di nuova concezione che sostituissero altri, già spiegati, che più preoccupano perchè più destabilizzanti. Per esempio, se si crede che i missili basati a terra sono destabilizzanti perchè vulnerabili, si potrebbe consentire lo spiegamento di nuovi missili basati su sottomarini per ogni missile basato a terra che venisse ritirato dal servizio.(27) Tale tipo di congelamento potrebbe essere attuato mediante la messa al bando dell'introduzione di nuovi sistemi appartenenti a ben pre-definite categorie.

Entrambi i tipi di congelamento qualitativo potrebbero essere adottati unilateralmente, ma solo se si crede che se l'altra parte non potrebbe comunque ottenere un vantaggio militarmente significativo dall'acquisizione di sistemi cui si rinunciasse unilateralmente. Il discorso torna quindi sul piano della dottrina: la capacità dell'avversario di trarre profitto da un congelamento unilaterale dipende infatti da ciò che ci si aspetta dal proprio deterrente. Se ci si prefigge un deterrente minimo con opzioni limitate e obiettivi precipuamente "countervalue",(28) non è pensabile che un congelamento unilaterale porterebbe alcun rischio. Se invece si chiede al proprio arsenale di svolgere ruoli controforza, i requisiti di efficienzam ilitare aumentano moltissimo, e c'è il rischio che l'autoimposizione di restrizioni unilaterali vanifichi le possibilità di riuscita di questo tipo di ruolo.

Conclusioni

Alla luce della discussione sul NFU e sul congelamento, emergono le seguenti tre conclusioni.

Primo, c'è senza dubbio molto spazio per iniziative unilaterali per il controllo degli armamenti nucleari, sia nel software che nell'hardware. L'unilateralismo viene troppo spesso ingiustificatamente associato con passività, indifferenza o, peggio, collaborazionismo con potenziali avversari. Il problema non è invece solo l'avversario, ma spesso è soprattutto il disaccordo che permane tra alleati, come il dibattito sul NFU ampiamente dimostra. Una iniziativa unilaterale di indubbia e continua necessità è quindi la ricerca di coesione in seno all'alleanza che sia basata sull'appianamento delle divergenze e non, come troppo spesso accade, sulla politica dello struzzo che permette di ignorare le divergenze lasciando ognuno libero di interpretare come meglio crede accordi vaghi ed ambigui. Ci si riferisce qui soprattutto al disaccordo latente e all'ambiguità sulla strategia della Nato, che determina direttamente il dibattito sul NFU.

Secondo, esistono il più delle volte elementi di incertezza considerevoli che rendono difficilissima una valutazione affidabile dei pro e dei contro di proposte di controllo unilaterale come il NFU ed il congelamento. Conseguenza di ciò è che spesso dall'incertezza nascono prese di posizione ideologizzate a priori. Per esempio, si tende spesso ad associare misure di controllo degli armamenti unilaterali con il disfattismo, oppure, per contro, l'introduzione unilaterale di nuove armi con propositi aggressivi. Gioverebbe probabilmente invece alla causa delle sicurezza comune che il dibattito divenisse invece meno ideologizzato e più incentrato sul merito delle questioni.

Terzo, anche nella migliore delle ipotesi, le misure unilaterali di controllo degli armamenti non possono bastare, da sole, a risolvere i problemi della contrapposizione di potenze nucleari con conflitti di interessi. Alla base della pace dovrà necessariamente rimanere la reciprocità di intenti delle parti in causa. Ciò è forse difficile da accettare perchè è sempre difficile ammettere di essere impotenti di fronte a problemi di importanza assoluta, come è la pace. Tuttavia, chi scrive crede che nè il NFU, nè un qualsiasi tipo di congelamento nucleare, nè alcun altro tipo di iniziativa unilaterale di software o hardware potrebbero risolvere alla base i problemi che mettono a rischio la pace.

Non è possibile provare con certezza che tali misure rafforzerebbero o indebolirebbero la stabilità in Europa, aumentando o diminuendo le probabilità che una crisi degeneri in una guerra.(29) Ci potrebbero tuttavia essere altri vantaggi, in termini di risparmio di risorse e di distensione politica, che ne potrebbero derivare. La gestione politica dell'unilateralismo potrebbe infatti essere più importante delle sue conseguenze militari. In mancanza di risposte definitive, bisogna continuare a cercarle.

Chi scrive vuole quindi infine cautelare da una parte contro i facili entusiasmi che spesso sono ricorsi tra i sostenitori dell'unilateralismo e dall'altra contro il pessimismo a priori di chi all'unilateralismo si oppone sempre e comunque come se fosse sintomo di debolezza. Le scelte unilaterali in materia di controllo degli armamenti devono essere considerate spregiudicatamente nel contesto delle scelte di sicurezza di ciascun paese, perché della politica di sicurezza fanno parte.

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1. Waller, Douglas C.: "The Impact of the Nuclear Freeze Movement on Congress", in Steve E. Miller (ed.), The Nuclear Weapons Freeze and Arms Controlò, (Cambridge, Ma.: Ballinger, 1984), p. 49.

2. Mi sono soffermato sulle armi chimiche perchè ci sono forse delle similarità tre queste e quelle nucleari di cui qui si tratta (orrore e dubbia efficacia militare) che potrebbero suggerire di trarne qualche lezione.

3. Citazione tradotta dall'inglese dall'autore. Originale citato in David N. Schwartz, op.cit.ò, p.8

4. Le prime armi nucleari operative sovietiche risalgono al 1954-1955; i primi bombardieri in grado di raggiungere il Nordamerica alla fine degli anni '50, ed i primi missili intercontinentali all'inizio degli anni '60.

5. Faceva eccezione la Francia che, all'indebolirsi della credibilità del deterrente americano, ed al rifiuto di Washington di dividere con Parigi il controllo del "grilletto" nucleare (rifiuto giustificato dal timore di essere coinvolta in un conflitto europeo senza volerlo), optava per la creazione di un arsenale nucleare proprio con cui proseguire a sostenere una dottrina di rappresaglia massiccia. Anche la Gran Bretagna disponeva di un arsenale nucleare indipendente, ma Londra decideva di continuare ad allinearsi alle scelte dottrinali americane.

6. McGeorge Bundy and others: "Nuclear Weapons and the Atlantic Alliance" in Foreign Affairsò vol. 60, n.4 (Summer 1982). McGeorgeBundy fu Assistente Speciale per la Sicurezza Nazionale dei Presidenti Kennedy e Johnson. Gli altri autorevoli cosignatari sono George F. Kennan (ex-ambasciatore a Mosca), Robert S. McNamara (ex Segretario della Difesa) e Gerard Smith (capo della delegazioneai negoziati SALT dal 1969 al 1972).

7. McGeorge Bundy ed altri, op.cit.ò, p.756.

8. Carte Blanche fu una simulazione di guerra nucleare limitata condotta nel 1955 in Germania Ovest nel corso della quale un attacco del Patto di Varsavia veniva respinto mediante l'impiego di 335 ordigni nucleari. Le stime delle vittime nella stessa Germania furono di circa 3,5 milioni di feriti e 1,7 milioni di morti. Anche tenendo conto dell'alto margine di incertezza dei calcoli, la reazione un po'in tutta la Nato fu di sbigottimento, e sorsero da allora forti dubbi sull'utilità di una risposta nucleare ad un attacco convenzionale. Cfr. William W. Kaufmann: "Nuclear Deterrence in Central Europe" in Steinbruner and Sigal (eds.), op.cit.ò, p.34.

9. Karl Kaiser ed altri: "A German Response to No-First-Use", in Foreign Affaisò, vol. 60, no.5 (Summer 1982), p.1162

10. Cfr. Karl Kaiser ed altri, op.cit.ò, p.1159. Non è certamente possibile provare, in modo scientificamente ineccepibile, che ad assicurare i 40 anni di pace in Europa siano state le armi nucleari, e tantomeno si può provare che sia stata la minaccia del primo uso. Non si può però neanche provare il contrario, e cioè che anche senza armi nucleari ci sarebbe comunque stata pace in Europa. Si può tuttavia prendere atto del fatto che svariate crisi tra Est ed Ovest si sono poi risolte pacificamente grazie, almeno in parte, alla cautela dei vari stati coinvolti. Si può ragionevolmente aggiungere che la presenza di armi nucleari ha probabilmente rafforzato, e comunque certamente non ha indebolito, tale cautela.

11. C'è anche una fascia intermedia costituita da quelli che respingono il NFU ma pure ritengono inaccettabili i rischi connessi ad un uso troppo affrettato del nucleare. Costoro propongono che la Nato adotti una dottrina di "non uso precoce" (no-early-use nella dizioneanglosassone); la Nato si impegnerebbe cioè a non usare armi nuclearise non in una fase avanzata del conflitto qualora fosse ovvio che il convenzionale non fosse bastato alla deterrenza nè alla difesa. Questa è forse delle tre la posizione più vicina alla dottrina della risposta flessibile, anche se questa sottolinea come la Nato si riserva di scegliere al momento il tipo di risposta più adeguata alla situazione.

12. McGeorge Bundy ed altri, op.cit.ò, p.757.

13. "Generalizzata" indica una guerra ove entrambi i campi ricorrano a tutte le armi a loro disposizione e dove nessun tipo di potenziali bersagli (per esempio le città) viene più risparmiato.

14. Karl Kaiser ed altri, op.cit.ò, p.1164.

15. McGeorge Bundy ed altri, op.cit.ò, p.764.

16. Graham Allison, Albert Carnesale and Joseph Nye (eds.): Hawks, Doves and Owlsò (New York: Norton, 1986) p.3. Tanto dicono tre esperti americani in questa recente pubblicazione che ad avviso di chi scrive può essere considerata rappresentativa del pensiero prevalente negli Usa a proposito, anche se, per motivi politici, raramente gli americani lo dicono esplicitamente.

17. Non è infatti difficile pensare ad una guerra nucleare generalizzata scatenata, per esempio, da un attacco nucleare francese all'Urss che, a secondo della contingenza, i sovietici potrebbero considerare alla stregua di una americano, o per scelta o per sbaglio.

18. Le forze politiche al momento al governo nei maggiori paesi dell'Europa occidentale, esclusa, forse, la Spagna, certamente interpreterebbero l'adozione del NFU in questo senso. Va ricordato comunque, al di là della prevalenza temporanea di maggioranze governative in Europa, che la percezione del pericolo di tale separazione (il termine anglosassone "decoupling" cioè "scoppiamento", anche se cacofonico rende meglio il senso di ciò che qui si intende), vera o presunta, è stata sin dalla creazione della Nato la maggiore preoccupazione degli alleati europei.

19. Peter J. Liberman Neil R. Thomason: "No-First-Use Unknowables" in Foreign Policyò, no.64 (Fall 1986), pp.31-33.

20. Lieberman Thomason, op.cit.,ò p.33.

21. Cfr. Steven E. Miller, op.cit.ò, passim.

22. Si nota come armi non efficacemente revisionate o comunque troppo vecchie hanno causato incidenti che, anche se non hanno minacciato esplosioni nucleari accidentali, ci sono andati vicino ed hanno comunque causato pericoli locali agli addetti ai lavori. Un missile (o un sommergibile) non è, in fondo, che una macchina molto complessa con tolleranze a volte molto ridotte, e come tale non adatta a sostare per anni senza le dovute manutenzioni.

23. Quanto esattamente verrebbe inficiata l'affidabilità di un arsenale nucleare dall'invecchiamento dovuto ad un congelamento senza sostituzioni è ovviamente impossibile dire, e dipenderebbe in buona misura dal grado di manutenzione e di riparazioni che venissero consentite. Comunque, una dottrina flessibile richiede per definizione affidabilità altissime che sono difficili da ottenere anche oggi; quindi tale dottrina diverrebbe ancora meno credibile di quanto già non sia se un avversario sapesse che essa non è più sorretta dalla massima efficienza dei mezzi.

24. Si tralascia in questa sede la discussione su cosa è destabilizzante o meno, ma il discorso che segue è mantenuto a livello teorico e può essere applicato a qualsiasi definizione di "stabilità".

26. Per attacco anticipatore (mi sembra questa la migliore traduzione dell'inglese "pre-emptive") si intende quello che si lancia quando ormai si percepisce la guerra come inevitabile e si cerca il massimo vantaggio militare sparando per primi. Esso non va confuso con l'attacco preventivo ("preventive")£, che viene lanciato anche se non è ancora scontato che una guerra debba necessariamente avere luogo ma si pensa che sia più vantaggioso combatterne una subito piuttosto che correre il rischio di doverne combattere una successivamente in condizioni meno favorevoli. Il primo deriva da considerazioni puramente militari, il secondo ha anche una forte componente politica.

27. Questo è solo un esempio illustrativo. Molto ci sarebbe da discutere infatti su cosa sarebbe meglio ritirare e su cosa spiegare. Ad esempio, i sovietici hanno per anni propugnato la tesi che sono i missili a terra ad essere più stabilizzanti perchè con essi si può meglio comunicare, mentre i sottomarini possono restare isolati e sono quindi meno controllabili.

28. Non esiste un termine italiano che sia entrato nell'uso comune che sia equivalente all'"countervalue", che denota un tipo di attacco volto alla distruzione di obiettivi di importanza (valore) primaria al nemico in sè e per sè, a prescindere dalla loro capacità di contribuire alo sforzo bellico. Un attacco countervalue è quindi simile a quello che durante la seconda guerra mondiale era chiamato attacco "strategico", generalmente contro le città nemiche. E' invece un attacco "controforza" (dall'inglese counterforce), quello che mira alla specifica neutralizzazione del dispositivo bellico nemico.

29. Lieberman Thomasson, op.cit., p.36. Per quanto concerne il congelamento, la relazione tra questo e la stabilità nucleare è ancora meno chiara, ed evidentemente dipenderebbe dal tipo di armi (più o meno stabilizzanti) che verrebbero eventualmente a sostituire le attuali.

 
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