Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
dom 24 nov. 2024
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Archivio Partito radicale
Goldkorn Wlodek - 1 ottobre 1988
DIRITTI CIVILI E OPINIONE PUBBLICA NEL SOCIALISMO
di Wlodek Goldkorn

SOMMARIO: L'Autore propone una strategia per il confronto con l'Est europeo che definisce di "destabilizzazione pacifica", avente al proprio centro un potenziamento dell'informazione verso l'Est gestita dall'occidente secondo criteri già sperimentati dalle radio occidentali come Radio Free Europe e Radio Liberty, la cui esperienza viene qui riassunta e, in alcuni casi, criticata. Un regime totalitario, come lo sono quelli dell'Est, è, infatti, forte solo all'apparenza; in realtà laddove il controllo e il monopolio dell'informazione vengono infranti, la disciplina e l'ordine sociale voluto s'incrinano. Da parte occidentale si tratterebbe, innanzitutto, di far valere (anche innescando un meccanismo negoziale del dare e avere) gli accordi di Helsinki laddove essi garantiscono il libero flusso delle informazioni.

(Irdisp - Quale disarmo - Franco Angeli editore - Milano - ottobre 1988)

'Il signor Cogito non si è mai fidato

Dei trucchi dell'immaginazione

Il pianoforte in cima alle Alpi

Suonava per lui concerti stonati

Non apprezzava i labirinti

La sfinge lo riempiva di disgusto

Abitava in una casa senza cantine

Specchi e dialettica

(...)

Adorava le tautologie

La traduzione

Idem per idem

Che l'uccello è uccello

La schiavitù schiavitù

Il coltello è coltello

La morte morte

(...)

L'immaginazione del signor Cogito

(...)

Vorrebbe restare fedele

All'incerta chiarezza' (1)

1. Introduzione

Il modello di confronto con l'Unione Sovietica prevalente in occidente è di origine militare. Cerchiamo di spiegare meglio questa affermazione. In occidente (gli Usa, l'Europa occidentale) la minaccia che proviene dall'Urss viene sì percepita, ma poi si stenta a comprendere correttamente i termini esatti e le componenti di questa minaccia. I politici e i teorici della politica pensano ai rapporti di forza in categorie tradizionali. Vale a dire il 'nemico' (o avversario) viene percepito in termini di equilibrio delle forze militari, della estensione geo-politica, della possibilità di conquista militare o di condizionamento politico dei vari paesi.

Così l'Urss, o meglio la minaccia sovietica, viene analizzata sotto gli aspetti: dell'estensione geopolitica della sfera d'influenza del Cremlino; della possibilità o del rischio di finlandizzazione di alcuni paesi europei della NATO; oppure della consistenza e della capacità dell'esercito sovietico e di altri eserciti con esso alleati di muovere la guerra. Non vogliamo analizzare e criticare qui le rispettive teorie e dottrine strategiche che fanno riferimento a questo tipo di pensiero. Tuttavia ci sembra che la stragrande maggioranza di queste teorie o ignora del tutto, o non considera abbastanza, la novità e la specificità della minaccia sovietica. Cioè ciò che la rende differente rispetto alle classiche minacce di stampo ottocentesco.

Ora, la differenza principale tra la rivalità tra due Stati, o tra alleanze di Stati, di stampo tradizionale-ottocentesco, e l'attuale rivalità con l'Urss sta in questo: quella attuale non riguarda Stati più o meno simili tra di loro che si percepiscono come avversari l'uno dell'altro (o gli uni degli altri) in base a degli interessi geostrategici immediati e limitati, ma coinvolge due sistemi socio-politici (due sistemi di 'vita e civiltà') opposti. Per fare un esempio: durante il pluridecennale conflitto tra la Francia e la Germania i due avversari non contestavano l'ordinamento interno e la legittimità del nemico. L'oggetto di contesa era costituito da certe dispute territoriali o dalle questioni di predominio geostrategico.

Oggi invece l'Urss riconosce 'de facto' i paesi dell'occidente, i paesi capitalisti, ma lo scopo dichiarato dello Stato sovietico è quello di allargare il dominio del socialismo all'intero pianeta. I paesi dell'occidente (e in specie gli Usa) riconoscono 'de facto' i regimi del socialismo reale ma contestano spesso la loro legittimità nei confronti delle società che essi governano (il caso più clamoroso è quello polacco).

Parlando di due sistemi socio-politici diversi ed anzi opposti non si può non tentare di definirli. Mentre quello occidentale è liberal-democratico basato su un libero flusso di informazioni, merci, persone, etc., quello vigente in Urss è totalitario. In Urss, come è noto, l'informazione è rigidamente controllata, non esistono procedimenti democratici riguardanti decisioni di una certa importanza. Con un po' di approssimazione possiamo affermare che mentre i regimi democratici occidentali tendono alla massima pubblicità delle procedure e dei processi decisionali, i regimi totalitari (tra i quali quello sovietico) tendono alla massima segretezza. Che poi nella vita concreta le cose non funzionino sempre secondo il modello ideale è una considerazione obbligata, il cui approfondimento esula dagli scopi di questo capitolo.

La segretezza delle procedure e l'impermeabilità delle informazioni sono dunque le caratteristiche principali del regime sovietico. La mancanza del libero flusso delle informazioni priva le persone della possibilità di comunicare e impedisce loro di aggregarsi al di fuori delle strutture di regime. La segretezza delle procedure accresce l'arbitrio del potere. Di fronte ad esso il singolo cittadino è disarmato e impotente. Egli non può rivolgersi ai suoi concittadini per difendere i propri diritti. Egli non sa nemmeno come certe decisioni vengano prese.

Questa chiusura costituisce, però, non solo un fattore di forza del regime: è anche causa della sua vulnerabilità. Il regime totalitario è forte solo all'apparenza: in realtà laddove il controllo e il monopolio dell'informazione vengono infranti, la disciplina e l'ordine sociale voluto s'incrinano. In fondo, guardando bene i momenti di crisi (ad esempio in Polonia nell'agosto del 1980) si può constatare che la circolazione di notizie su certi comportamenti sociali 'devianti' (gli scioperi ad esempio) contribuisce alla diffusione di tali comportamenti.

Viceversa, il totale black-out delle comunicazioni il 13 dicembre 1980, è stato uno dei fattori decisivi per la vittoria del generale Jaruzelski e per la sconfitta di Solidarnosc. Lo stesso, in proporzioni diverse, si può dire del fenomeno di dissenso in Urss negli anni Settanta. Il fiorire del 'samizdat' (2) non era il risultato ma la causa della diffusione del dissenso.

2. L'informazione verso l'est

Il problema dell'informazione verso l'est se lo sono posti vari governi occidentali a partire dall'inizio della guerra fredda, a cavallo fra gli anni Quaranta e Cinquanta. Esamineremo i vari modelli di questa informazione prima di tentare di tracciare un modello alternativo.

Si può affermare che i modelli dell'informazione occidentale verso l'est sono grosso modo due. Il primo è rappresentato dalle radio nazionali: BBC, 'Voice of America', 'France Internationale', 'Deutsche Welle' etc. Il secondo è quello di 'Radio Free Europe/Radio Liberty'. Il primo modello è quello meno 'sovversivo'. Si tratta di radio-emittenti nazionali, di vari paesi, che trasmettono programmi e soprattutto notiziari nelle lingue dei paesi dell'Europa orientale. Queste trasmissioni fanno generalmente parte di un servizio mondiale o internazionale. Il loro scopo dichiarato è quello di informare sulla vita e la cultura del paese a cui appartiene la data radiotrasmittente. Prendiamo un esempio classico, che ha avuto la funzione di scuola per altre emittenti: la BBC. Per ragioni di brevità e di chiarezza dell'esposizione limitiamo ulteriormente questo esempio e prendiamo in considerazione solo la trasmissione in lingua polacca - quelle in russo o in ceco o in ungherese sono comunque improntate a identici princ

ipi (3).

La BBC trasmette quotidianamente quattro ore e mezzo di programmi in lingua polacca (la domenica cinque ore e mezzo). Ad eccezione dei notiziari, quasi tutti i programmi hanno cadenza settimanale. La maggior parte delle trasmissioni ha un carattere giornalistico. I redattori della sezione polacca e delle altre sezioni della BBC hanno un'ampia libertà professionale ma, e qui arriviamo al nocciolo del nostro discorso, essi fanno funzionare i programmi della BBC come programmi di una radio inglese per la Polonia. Non come programmi di una radio polacca che sta in Inghilterra perché in Polonia non c'è libertà di informazione.

Nei programmi della sezione polacca della BBC vi sono trasmissioni come "L'Inghilterra ogni giorno", oppure "L'arte sulle sponde del Tamigi" che hanno un interesse alquanto relativo per l'ascoltatore in Polonia. In compenso ve ne sono altre come "In Polonia e della Polonia" oppure "Senza censura" (lettura di pubblicazioni clandestine polacche) che invece sono assai interessanti per l'ascoltatore polacco. Questo equilibrio funzionale tra notizie inglesi e notizie sulla politica interna polacca viene rispettato anche nella compilazione dei notiziari. L'ascoltatore polacco che si sintonizza sulle frequenze della BBC sa insomma molto di più della Polonia che non leggendo solo la stampa ufficiale di Varsavia. Riceve però anche molte informazioni di vita politica e culturale inglese, che in sé possono essere utili e di un certo valore informativo, ma che non suscitano un grande interesse immediato.

Il modello appena descritto, come già detto, vale non solo per la BBC, ma per la maggior parte delle emittenti nazionali, anche se con certe differenze tra di loro. Ad esempio la 'Deutsche Welle' è la emittente meno polemica, mentre 'Voice of America' è assai più mordace. Questo tipo di informazione ha alcuni vantaggi, il maggiore essendo quello di poter in molti casi disporre di propri corrispondenti e inviati nei paesi del blocco sovietico.

Tra gli svantaggi il principale è quello che gli ascoltatori percepiscono le emittenti, conformemente alle intenzioni degli ideatori, come radio estere che forniscono certamente buone notizie, ma il cui compito primario non è informare sulla realtà del paese verso il quale trasmettono, ma quello d'informare sul paese 'dal' quale trasmettono. Val la pena di ripetere, comunque, che molto dipende dalla natura dei rapporti tra il paese dell'emittente e i paesi del blocco sovietico.

Il modello che abbiamo descritto non si pone compiti destabilizzanti, né viene considerato, almeno in via ufficiale, come un'arma pacifica dell'occidente nel conflitto con l'Unione Sovietica, ma come un mezzo per far conoscere i modelli di vita dei paesi delle emittenti. In questo modello l'occidente non viene percepito come un insieme, ma ciascun paese cerca di propagandare i propri modi di vita.

Il secondo modello esistente è quello di 'Radio Free Europe/Radio Liberty' (4). 'Radio Free Europe' (RFE) trasmette verso i paesi del blocco sovietico (ad eccezione dell'Albania, della Germania dell'est e dell'Urss) ed è nata nel 1950. 'Radio Liberty' (RL), che trasmette verso l'Urss, è stata fondata nel 1951. Nel 1973 ambedue sono state riunite in un solo ente RFE/RL, con sede a Monaco di Baviera. Fino al 1971 ambedue le radio venivano finanziate dalla CIA. Nel 1971 sono passate all'amministrazione del Dipartimento di Stato degli Usa, e infine nel 1973 il Congresso ha stabilito la struttura attuale di gestione di RFE/RL: si tratta del 'Board for International Broadcasting', composto da membri nominati dal presidente degli Stati Uniti con l'approvazione del Senato.

Prima di entrare nella analisi dell'operato di RFE/RL, ancora alcuni dati statistici. RFE/RL trasmette in ventun lingue dell'Europa dell'est e dell'Urss, più in' dari' per l'Afghanistan. Le trasmissioni in russo avvengono 24 ore su 24, in ceco e slovacco più di 21 ore al giorno, in polacco quasi 20 ore al giorno. Le trasmissioni nelle altre lingue dell'Urss non superano invece le tre ore giornaliere. RFE/RL impiega circa 1700 persone che lavorano non solo alla preparazione dei programmi, ma anche alla documentazione. Gli archivi della Radio contengono quasi tutti i giornali stampati all'est. La biblioteca possiede circa 102.000 volumi. RFE/RL affida a degli istituti specializzati, i cui nomi non sono però rivelati, il compito di indagare su quanta larga è l'udienza dei propri programmi nei paesi interessati. Secondo i dati della Radio, che comunque sembrano piuttosto credibili, ogni settimana circa 35 milioni di persone nei paesi dell'est (Urss esclusa) si sintonizzano sulle frequenze di RFE. In Urss gli asc

oltatori di RL sarebbero circa 14 milioni. Dai dati di RFE/RL risulta inoltre che circa il 63% dei polacchi adulti, il 59% dei romeni adulti, il 47% degli ungheresi adulti, il 32% dei bulgari adulti e il 31% dei cechi e degli slovacchi adulti ascolta regolarmente le trasmissioni della Radio. I dati relativi all'Urss sono molto diversi: si va dal 4,7% degli adulti in Ucraina allo 0,4% nella regione di Leningrado.

Il principale problema della RFE/RL è quello del 'jamming'; cioè dei disturbi nella ricezione dei programmi causati dalle apposite apparecchiature installate in Urss e nei paesi dell'est; la Romania e l'Ungheria comunque non disturbano le trasmissioni. Il 'jamming' fa sì che molto più della metà del tempo delle trasmissioni sia costituito dalla ripetizione dei programmi già mandati in onda. Per quanto riguarda la struttura dei programmi, un terzo è costituito dai notiziari di rassegna stampa, dalle corrispondenze etc. I notiziari, in lingue i cui programmi durano quasi tutto l'arco della giornata, vengono trasmessi ogni ora. I vari servizi di RFE/RL comprendono poi trasmissioni dedicate alla storia dei paesi dell'est. Molte sono le letture delle pubblicazioni in 'samizdat' e molto tempo viene dedicato anche alle informazioni su altri paesi del blocco; per esempio informazioni sulla Polonia agli ungheresi, oppure sulla riforma economica in Ungheria ai bulgari.

Quanto all'analisi della Radio, la caratteristica principale di RFE/RL è quella di essere una serie di emittenti 'interne' ai paesi del blocco sovietico. In altre parole le varie sezioni (russa, polacca, ucraina, bulgara, ungherese, etc.) di RFE/RL dovrebbero svolgere il ruolo di emittenti che si occupano soprattutto delle questioni dei paesi verso i quali esse trasmettono e che lo fanno non ponendosi come osservatori esterni, ma come se fossero radio basate a Varsavia, Mosca, Budapest, Kiev e così via. Questo non è certamente un compito facile. Innanzitutto per la ovvia ragione che con tutta la buona volontà e con tutta la conoscenza del terreno, ai singoli giornalisti non è facile immedesimarsi in una figura ipotetica di un giornalista libero a Varsavia o a Sofia. E' vero che gli operatori della Radio hanno a loro disposizione tutti i mezzi possibili per poter seguire le vicende dei loro paesi d'origine. I reparti di documentazione preparano ogni giorno una rassegna stampa dettagliatissima dei paesi intere

ssati: circa 40-50 cartelle di ritagli degli articoli più importanti di tutti i giornali. Inoltre viene preparata, sempre quotidianamente, una trascrizione delle trasmissioni delle radio nazionali di questi paesi. Infine i giornalisti di RFE/RL possono, grazie ad un'antenna speciale, guardare i programmi della TV dei paesi verso i quali trasmettono.

Ma come è facile intuire, le difficoltà non sono tecniche, quanto politiche. Dal punto di vista tecnico i problemi sono infatti, tutto sommato, limitati. Tant'è vero che RFE/RL grazie alle dimensioni e all'organizzazione dei suoi archivi rimane probabilmente l'osservatorio meglio documentato delle vicende dei paesi del blocco sovietico. E' nel tradurre la documentazione disponibile in un linguaggio politico che si incontrano le difficoltà. Prima fra le quali quella dello status poco chiaro della Radio. RFE/RL appartiene infatti all'amministrazione degli Stati Uniti. I dirigenti della Radio sono americani. Insomma nella stessa organizzazione della Radio è intrinseca, inevitabilmente, la contraddizione tra essere una radio americana e il dover fungere da radio nazionale libera dei vari paesi dell'est. Per eliminare questa contraddizione, dovrebbe verificarsi un'ipotetica situazione in cui gli interessi del governo degli Stati Uniti - che gli amministratori della Radio sono tenuti a difendere - fossero identici

a quelli delle società del blocco sovietico.

Ecco un esempio concreto delle difficoltà. Negli anni Settanta l'allora primo segretario del POUP (il Partito comunista polacco) Edward Gierek, si recò in visita alla Casa Bianca. Il modo in cui la sezione polacca di RFE ne diede notizia suscitò critiche della amministrazione americana della Radio, interessata, come del resto le autorità di Washington, a "non offendere i sentimenti dei governanti polacchi". Un'altra difficoltà grave di RFE/RL sta nelle sue origini, che sono quelle di un'istituzione finanziata dalla CIA e fondata al culmine della guerra fredda. Nel frattempo, e specie con la distensione, RFE/RL ha cessato di essere uno strumento della guerra fredda. Ma una sorta di marchio è rimasto ed è difficile cancellarlo.

Oggi RFE/RL non si propone più esplicitamente lo scopo di destabilizzare i regimi dell'est. Ciò nonostante, questa emittente viene trattata dalle autorità dei paesi del blocco sovietico come strumento della 'guerra psicologica' rivolta contro di essi. Di conseguenza i redattori di RFE/RL non possono recarsi nei paesi dell'est e i cittadini di quei paesi che entrano in contatto con la Radio corrono il rischio di essere incriminati per reati gravi.

In conclusione, tra i pregi di RFE/RL vi è la completezza dell'informazione, il concentrarsi negli affari che interessano gli utenti, il linguaggio assai accessibile, il tener conto della discussione attuale nei paesi verso i quali le trasmissioni sono dirette. Tra i suoi difetti c'è l'irrisolta e irrisolvibile contraddizione tra l'essere una radio al servizio delle società dell'est e l'essere un'istituzione diretta dagli americani e finanziata dalle autorità degli Usa nel quadro di un confronto bipolare con l'Urss.

3. Una strategia di 'destabilizzazione' pacifica

Nell'introduzione abbiamo brevemente accennato alla natura totalitaria del regime sovietico. Abbiamo anche ipotizzato che questa caratteristica ne costituisce un punto di forza, ma dall'altro lato lo rende assai vulnerabile. Cercheremo, ora, di allargare questo discorso e di analizzare questa caratteristica del regime nella chiave di una possibile strategia occidentale offensiva 'non militare'.

Abbiamo già ricordato la segretezza delle procedure e il blocco e la manipolazione delle informazioni. Questa segretezza, unita alla mancanza di ogni procedura decisionale democratica, costituisce non solo un mezzo per controllare le società sottoposte al dominio del Cremlino, ma anche una minaccia rivolta ad altri paesi. E non si tratta solo ed esclusivamente di una minaccia di invasione militare. La segretezza delle procedure e dei processi decisionali in Urss rende estremamente difficile mantenere normali rapporti diplomatici e commerciali con questo paese. E si badi bene, non è un paese qualsiasi, ma una superpotenza, il cui scopo dichiarato è cambiare il regime dei paesi capitalisti - anche se questo è uno scopo a lunghissimo termine.

Fermiamoci su questo concetto. Noi non sappiamo, né possiamo sapere, quali forze, quali lobby e per quali ragioni sono favorevoli a certe proposte di disarmo - o al contrario quali spingono verso una politica aggressiva ed espansionistica. Non sappiamo quale discussione c'è stata prima di formulare una data proposta. Non sappiamo se dietro una proposta c'è ad esempio l'esercito o se l'esercito le è ostile. Non sappiamo, quando Mikhail Gorbaciov avanza una proposta, se egli lo fa a suo rischio e pericolo, oppure a nome di una minoranza nel Politburo che fa un gioco spericolato; o se invece si tratta di una proposta a lungo discussa, emendata da varie lobby, e quindi destinata ad essere un asse portante della politica internazionale sovietica.

Si può continuare su questa linea portando l'esempio della asimmetria tra le condizioni di lavoro delle diplomazie occidentali a Mosca e quella sovietica in Europa occidentale. I diplomatici in missione in Urss non possono in pratica incontrare cittadini sovietici e sono sottoposti ad altre severe restrizioni. Ora, una diplomazia che non può tentare di esercitare una certa influenza sull'opinione pubblica del paese ospitante, che non può attingere informazioni sul reale andamento delle cose in questo paese è ridotta allo stato di quasi impotenza. E infatti alcuni esperti delle cose sovietiche, ad esempio Alain Besançon (5), sono del parere che si potrebbe senza grande danno, ma anzi con qualche vantaggio, smantellare o ridurre al minimo l'apparato diplomatico occidentale a Mosca.

Le proposte di Besançon di applicare rigidamente le regole della reciprocità nelle condizioni di lavoro dei diplomatici a Mosca e in occidente, e di smantellare in pratica l'apparato diplomatico occidentale a Mosca sono suggestive ma peccano di una concezione tutta difensiva del ruolo delle democrazie liberali occidentali. In altre parole, dietro queste utili provocazioni intellettuali vi è la convinzione che l'occidente sia una fortezza assediata dai sovietici.

A nostro avviso questa è una concezione che va radicalmente rovesciata. Ossia è necessario vedere se e come l'occidente possa 'assediare' pacificamente l'Urss. Rimanendo nell'ambito dell'esempio della diplomazia, si può e si deve chiedere la reciprocità delle condizioni di lavoro dei diplomatici a Mosca e a Roma. Non imponendo limiti 'sovietici' ai rappresentanti dell'Urss in Italia, ma viceversa chiedendo l'aumento del personale italiano a Mosca e rivendicando il diritto di questo a spostarsi liberamente nel paese.

Il pericolo più grave, conseguenza del regime totalitario sovietico, non è immediatamente militare: è cioè poco probabile che i carri armati sovietici si presentino sulle rive del Tevere. Il pericolo più grave sta, a nostro avviso, nella capacità dimostrata dai sovietici di manipolare gli elementi della nostra comune cultura europea. Questo è un concetto che può risultare ambiguo e che quindi va spiegato. Quando parliamo della manipolazione degli elementi della cultura europea da parte dei sovietici non vogliamo con questo affermare che l'Urss e la Russia siano estranee all'Europa e a questa cultura. A nostro avviso il problema del rapporto tra la civiltà europea e la tradizione russa (presente nell''ethos' sovietico) è assai complesso e non è questa la sede per discuterlo.

Senza dubbio la cultura russa fa parte di quella europea. Cosa intendiamo quindi per "manipolazione dei dati fondamentali della cultura europea"? La risposta è semplice ed è empiricamente verificabile. I sovietici sono riusciti a modificare radicalmente l'immagine che l'Europa ha di se stessa. Ancora cinquant'anni fa il cuore dell'Europa era situato nell'area compresa tra Vienna, Praga, Cracovia e Berlino. Oggi il cuore risulta una città da sempre periferica: Bruxelles. Questa alterazione della storia e della identità europea (chi si ricorda oggi che Vilnius non è una città russa, ma fino alla seconda guerra mondiale era il centro spirituale e culturale principale degli ebrei, secondo solo a Gerusalemme?) permette poi, in pratica, l'occupazione militare della metà del nostro continente. E, a sua volta, questa occupazione rafforza la perdita dell'identità dell'Europa e accresce la minaccia (anche militare) sovietica rivolta verso la parte occidentale di essa.

Possiamo quindi affermare che il pericolo intrinseco nel totalitarismo sovietico non è tanto di natura militare, quanto culturale. Ossia la finlandizzazione dell'Europa è un fatto compiuto quando, nel discorso comune quotidiano, per Europa si intende quella parte del continente che è libera dalla presenza delle truppe sovietiche. Questa rinuncia volontaria alla propria identità, dovuta non solo alle manipolazioni sovietiche ma anche alla profonda crisi dello spirito europeo verificatosi in conseguenza della prima guerra mondiale e all'ascesa al potere dei totalitarismi fascisti, ci pare la più grave sconfitta delle democrazie europee. E' anche interessante constatare quanto tale rinuncia sia stata paradossalmente interiorizzata anche da una grande parte delle popolazioni e perfino dalle opposizioni dei paesi sottoposti al dominio sovietico. Anche lì, spesso, si cerca di distinguere tra la cultura occidentale, intesa come la cultura dei paesi della CEE, e quella 'orientale' (6).

Secondo noi qualsiasi azione di offensiva 'non militare' contro il regime sovietico deve basarsi su un recupero dell'identità comune europea, sul recupero di Budapest, di Praga, di Varsavia da parte dell'Europa. Che cosa intendiamo per "recupero" delle nazioni dell'Europa centrale? Certamente non l'entrata della Polonia o dell'Ungheria nella Comunità europea. Si tratta prima di tutto del rafforzamento di una identità europea che si manifesta in mille forme.

L'esempio più banale dell'esistenza di 'una' identità europea è l'architettura delle chiese. Da Lisbona e fino a Talinn troveremo edifici identici o quasi identici. O ancora, sarà un caso che il pittore che nel Settecento immortalò le strade di Varsavia era un italiano, Canaletto? E possiamo continuare parlando delle comuni radici cristiane dei popoli dell'Europa, un concetto questo assai caro al Pontefice. Ma possiamo anche citare le comuni radici illuministe delle Costituzioni formali di quasi tutti gli Stati europei, radici talmente forti che nemmeno la dottrina comunista totalitaria ha osato tentare di estirparle. Difatti, formalmente, nei paesi comunisti la magistratura è indipendente, ad ogni persona spetta un voto segreto, etc.

Si può insomma affermare che ciò che contraddistingue la tradizione e l'identità europea da altre identità è una cultura (o una civiltà) basata sul pensiero razionale, sulla concezione della verità come risultato del confronto dialettico tra varie opinioni, sulla sperimentazione, sulla distinzione tra vari poteri, compresa la distinzione tra il Potere e la Società, sulla distinzione tra il sacro e il profano etc. Sono affermazioni elementari, che tuttavia vanno fatte per comprendere perché Lisbona ha molto in comune con Varsavia, mentre ha molti meno tratti comuni con Nuova Delhi. Infine l'Europa è uno spazio geografico piuttosto stretto in cui una guerra nucleare sarebbe l'ultimo e definitivo scontro armato. L'Europa è anche soggettivamente una patria comune. E' un fatto difficilmente negabile che qualunque europeo si sente più a casa in un altro paese dell'Europa che non negli Stati Uniti.

Se vogliamo un esempio estremo, la catastrofe di Chernobyl (7) ci ha dimostrato quanto le frontiere tra gli Stati europei sono simboliche e poco reali di fronte ai problemi della tecnologia moderna. La comune identità europea si basa anche sul fatto che nonostante tutti i crimini commessi dagli europei, la nostra è una civiltà che è capace di pentimento - non nel senso giuridico in uso in Italia, ma pentimento inteso come riflessione critica su se stessi, come capacità di imparare e di diventare altro rispetto a quello che si era prima. Per usare toni solenni, l'eredità e i valori del 1789 fanno parte dell'educazione di ogni europeo (anche quando essi vengono negati, ma allora c'è bisogno appunto di negarli, estirparli).

Questa identità comune è molto sentita nei paesi dell'Europa centrale sottoposti al dominio sovietico. Non a caso del resto la sovietizzazione dei paesi dell'Europa centrale passa per la demolizione della loro identità europea. Così, ad esempio, si fece di tutto per far dimenticare ai cecoslovacchi chi era Kafka. Il convegno degli scrittori su Kafka nel '67 fu tra le prime avvisaglie della primavera di Praga. Milan Kundera (8) e Czeslaw Milosz (9) hanno scritto pagine magistrali sulla distruzione della memoria. E ancora, il recupero della dimensione europea della cultura polacca passa nella opera di uno dei maggiori poeti polacchi viventi, Zbigniew Herbert per la figura del 'signor Cogito', protagonista delle sue poesie: un personaggio che in nome della razionalità si sforza di comprendere e di spiegare il mondo privo di memoria e snaturato anche dal punto di vista linguistico (10), costruito dai comunisti.

Possiamo quindi affermare che l'identità europea si basa su valori comuni, su una mentalità comune, su forme di comunicazione e di codici linguistici comuni, sulla continuità geografica e storica. Il problema è se l'Europa ha anche un avvenire comune, e se ci sono soggetti disposti a lavorare per questo avvenire. In altre parole, al di là delle considerazioni politiche sull'asimmetria assoluta tra le strutture dei blocchi militari che si fronteggiano sul nostro continente (paragonare le strutture di questi è praticamente impossibile, come è impossibile paragonare la struttura di una gallina con quella di una tartaruga, anche se ambedue gli animali hanno tratti comuni), occorre recuperare ciò che ci ha sempre uniti. E a partire da questo, passare all'attacco, e in pratica allo smantellamento del monopolio totalitario delle informazioni e delle comunicazioni di massa, che a sua volta permette la manipolazione della identità e della storia. Come farlo?

Si può pensare a numerosi modi di intervento. Finora, come abbiamo visto, le attività delle radio sono state considerate supplementari alle grandi manovre diplomatiche dietro le quali vi è una costante minaccia dell'uso della forza da parte dell'occidente. Una minaccia che viene agitata a vuoto, dato che nessuno - giustamente - rischierebbe il conflitto nucleare in Europa per smantellare il regime sovietico. Anche numerose iniziative in difesa dei diritti civili e in favore del rispetto degli accordi di Helsinki (11) venivano e vengono prese in modo del tutto strumentale, per coprire le malefatte dell'occidente nel sud del mondo, o per creare qualche difficoltà a Mosca. Del resto alla base degli stessi accordi di Helsinki non c'è molto più che uno scambio. Uno scambio tra la normalizzazione dell'Urss, ovvero il passaggio del regime sovietico da una fase militante a una statuale, e il riconoscimento dell'Urss in quanto superpotenza con interessi globali - nel quadro della distensione.

Sono allora gli accordi di Helsinki da buttar via? Di questo parere sono molti dissidenti esuli sovietici. Ma a guardare bene, questa loro posizione è errata. Gli accordi di Helsinki hanno infatti un potenziale 'sovversivo', non solo perché in essi si affermano i principi dell'inviolabilità dei diritti umani, ma anche perché tali accordi riconoscono la integrità e la sovranità di tutti gli Stati europei. E non vi si parla dei blocchi politico-militari. Il problema è quindi quello di come usare questi accordi per destabilizzare pacificamente l'Urss. E qui torniamo di nuovo al problema dell'informazione.

Abbiamo parlato della comune identità europea e del suo recupero. Il modello di informazione, il terzo e alternativo rispetto a quello di RFE/RL e BBC, dovrebbe basarsi su questo principio. Si dovrebbe infatti fare informazione da europei per europei, e non dal 'mondo libero' per gli oppressi. Si può quindi inserire la libera informazione verso l'Urss nell'ambito del dibattito sugli accordi di Helsinki? A nostro avviso si può, sia dal punto di vista dei contenuti che da quello del metodo, cioè un negoziato in termini di dare e avere.

Gli accordi di Helsinki, infatti, hanno sancito il principio del libero flusso delle informazioni. Un principio che l'Unione Sovietica ha sistematicamente violato. Le violazioni avvengono con il pretesto di voler impedire l'interferenza, chiamata pure guerra psicologica, degli occidentali negli affari interni dei paesi del blocco sovietico. Il primo punto da sottolineare è quindi quello che l'informazione da europei a europei non significa alcuna interferenza né guerra. Semplicemente vi sono problemi che riguardano tutti gli uomini e le donne del nostro continente. Tali tematiche vanno dall'uso dell'energia nucleare fino a questioni di cultura.

Si tratterebbe quindi di fare alcune azioni unilaterali nel campo dell'informazione. Abbiamo già accennato alla possibilità di fondare una radio-emittente per trasmettere verso i paesi del blocco sovietico, compresa l'Urss. Ripetiamo che nei paesi del blocco, anche se non nell'Urss, la maggioranza della popolazione trae le informazioni dalle radio-emittenti estere. In questa sede non ha molto senso tracciare un ipotetico palinsesto di una ipotetica radio italiana per i paesi dell'est.

Ci limitiamo quindi a ribadire che a nostro avviso lo scopo dichiarato ed effettivo di una tale emittente dovrebbe essere l'affermazione e lo sviluppo della comune identità europea. Che è comune ma non uniforme. Anzi, la differenza sostanziale tra la cultura europea ed altre culture sta proprio nella sua pluralità, sia nazionale che per quanto riguarda le matrici filosofico-religiose. Un'informazione efficiente verso i paesi del blocco sovietico dovrebbe porsi il compito di impedire l'isolamento dei paesi di questo blocco. Essa dovrebbe quindi essere centrata non tanto sugli affari dei singoli paesi del blocco, quanto sui problemi di tutti i paesi del nostro continente.

Si dovrebbe quindi parlare molto dei lavori del Parlamento europeo; si potrebbero commentare e trasmettere gli eventi culturali più significativi; si potrebbe dar voce ai politici e agli uomini e alle donne di cultura che si adoperano per la costruzione di un'Europa unita. Un'emittente che operasse secondo queste linee non solo favorirebbe processi emancipatori all'est, ma consoliderebbe anche la coscienza europea all'ovest. Contribuirebbe insomma al consolidamento della multiforme cultura del nostro continente. In questo ambito si potrebbe oltrepassare il progetto della radio, tecnologicamente vecchio, anche se non da buttar via, e avviare una riflessione sulla TV.

I mezzi tecnologici esistono già. E' inutile soffermarsi qui sul discorso di una TV europea, per ora solo concepita nell'ambito della CEE. Basti dire che una tale TV dovrebbe essere fatta in modo da poter essere ricevuta anche nei paesi dell'est. Già oggi in alcuni paesi del blocco sovietico, le autorità hanno emanato disposizioni amministrative che limitano la ricezione dei programmi TV via satellite. Ad esempio il ministero delle Poste polacco ha emesso un decreto, entrato in vigore il primo maggio scorso, che limita il diritto di installare antenne in grado di ricevere programmi dal satellite TV. Per poter installare una tale antenna occorre avere un permesso speciale. Questa misura amministrativa è stata aspramente criticata perfino sui giornali del regime (12).

Ed è qui che si può intervenire, da parte occidentale, facendo valere gli accordi di Helsinki e innescando un meccanismo negoziale del dare e avere. Innanzitutto occorre ribadire che questi accordi garantiscono il libero flusso delle informazioni. Un'azione quindi che limita questo flusso e che cerca di isolare un dato paese dal circuito delle informazioni pan-europee via satellite è contraria allo spirito e alla lettera di questi accordi. Del resto, nella Germania orientale nessuno ostacola la ricezione della TV della Germania occidentale. Idem in Cecoslovacchia, dove si può vedere la TV di Bonn, ma anche di Vienna (nelle zone di frontiera). E' ovvio però che l'Urss e gli altri paesi del blocco non si arrenderebbero all'invasione dell'informazione solo per non violare lo spirito di Helsinki. E allora occorre e si può trattare.

Nel quadro di tale trattativa si possono fare offerte di smantellamento degli armamenti (passi unilaterali di disarmo), di aiuti economici (offerte di trasferimento delle tecnologie). Il tutto in cambio della liberalizzazione del flusso d'informazione. Che non dovrebbe comprendere solo la TV europea, le cui trasmissioni dovrebbero aver luogo anche nelle lingue dei paesi dell'est, ma anche la vendita di giornali in determinate città del blocco orientale. I sovietici e i paesi alleati non dovrebbero mostrarsi troppo restii a intavolare questo tipo di negoziato. E questo per un semplice motivo: che avrebbero di che guadagnarci, sia sul piano della sicurezza militare, sia sul piano della conoscenza tecnologica.

D'altra parte sarebbe l'Europa nel suo complesso quella che ricaverebbe i maggiori benefici da accordi come quelli qui delineati. Soprattutto in termini di identità. Siamo infatti convinti che solo un'Europa che è cosciente di se stessa, che riesce a recuperare la pienezza della sua pluralità, che riesce a reintegrare Praga, Cracovia, Budapest, Leningrado, Vilnius etc. nella circolazione delle proprie idee e nella ricerca delle proprie radici, può difendersi efficacemente dalla minaccia totalitaria.

NOTE

1. Z. Herbert (raccolta a cura di P. Marchesani), 'Rapporto dalla città assediata', ed. All'insegna del pesce d'oro, Milano, 1985.

2. Abbreviazione del russo 'samoizdatel'stvo', letteralmente 'autoeditore'. Indica la riproduzione e circolazione clandestina di documenti vietati dalla censura (nota del curatore).

3. Interviste dell'autore con redattori della BBC e con ascoltatori che vivono in Polonia.

4. Interviste dell'autore con il personale di 'Radio Free Europe' e di 'Radio Liberty'.

5. Cfr. A. Besançon, "L'occidente di fronte alla anomalia sovietica", 'Ottavo giorno', trimestrale di studi e ricerche sui paesi dell'Europa centrale e dell'est, n. 1/87.

6. Un ottimo esempio della teorizzazione e della valorizzazione, quasi mistica, della separatezza dell'esperienza dell'est rispetto al resto dell'Europa (e degli Stati Uniti) lo si può trovare nella produzione della rivista polacca edita da esuli di Solidarnosc a Londra, 'Puls'.

7. Il 26 aprile del 1986, un grave incidente si verificava in un reattore nucleare sovietico per la produzione di energia elettrica, sito appunto nella località di Chernobyl. La conseguente fuga di radioattività si propagava nei giorni seguenti verso ovest, colpendo numerosi paesi dell'Europa occidentale, tra cui l'Italia (nota del curatore).

8. Cfr. M. Kundera, 'Il libro del riso e dell'oblio', Bompiani, Milano, 1980.

9. Cfr. C. Milosz, 'La mia Europa', Adelphi, Milano, 1985.

10. Sulla distruzione e manipolazione del linguaggio nei paesi del socialismo reale, cfr. 'Jezyk propagandy', ed. Nowa, Warszawa, 1979. Si tratta di uno studio sul linguaggio comunista in Polonia edito in 'samizdat'. Le tesi di questo importantissimo saggio sono riassunte in italiano in F.M. Cataluccio, "Intellettuali e classe operaia in Polonia", 'Critica Marxista', n.6, 1980.

11. Il primo agosto del 1975, si concludeva a Helsinki il primo round della Conferenza sulla Sicurezza e Cooperazione in Europa (CSCE), dopo due anni di discussioni e con un documento di 30.000 parole. Alla conferenza avevano preso parte 35 paesi: tutti gli europei (meno l'Albania), più Canada e Stati Uniti. Nel documento finale gli Stati firmatari si impegnavano al rispetto di alcuni principi: nel campo della sicurezza, nel campo della cooperazione economica, scientifica e tecnologica, in quello dei diritti civili (nota del curatore).

12. Sulla legge che regola l'installazione delle antenne in Polonia, cfr. 'Polityka' del 3 maggio 1986 e 'Sprawy i Ludzie' del 14 agosto 1986.

 
Argomenti correlati:
Confronto Est-Ovest
Disarmo
Pensiero strategico
Storia
democrazia
totalitarismo
Radio Free Europa
informazione
stampa questo documento invia questa pagina per mail