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Sciaudone Goffredo - 13 dicembre 1988
Omeopatia: Tavola rotonda
Prof. Goffredo Sciaudone

Direttore dell'Istituto di Medicina Legale Università di Napoli

SOMMARIO: Regolamentazione dell'omeopatia nei diversi paesi dove viene praticata: farmacovigilanza, qualifica professionale, corsi di studio e responsabilità medica.

(Atti del Convegno trasnazionale sul tema "Rimedio omeopatico: il non farmaco. Una proposta di riconoscimento" - Roma, 12 e 13 dicembre 1988).

Il tema proposto non può essere ridotto ad uno "sguardo dal ponte", ma deve indurre ad una valutazione concreta, cioè osservare quale sarà la situazione anche nel nostro Paese a frontiere europee aperte, dal 1992.

La Medicina Omeopatica è già oggi, e da tempo, praticata nel nostro Paese: esistono quindi diritti già attuali da parte dell'utenza, ci sono delle proposte di legge all'esame del Parlamento Italiano, c'è stata una raccomandazione del Consiglio d'Europa sulle medicine alternative in cui era ricompreso il discorso della Medicina Omeopatica: l'osservazione, anche se finalizzata al 1992, non può prescindere da un esame di quella che è la situazione attuale.

Cercherò di delineare sinteticamente il quadro di riferimento dell'esercizio della Medicina Omeopatica nei Paesi Europei e nel nostro Paese.

Va fatta una premessa, ed è quella che in molti testi legislativi manca una definizione della Omeopatia, ovvero manca la distinzione tra quelle che sono le cure Omeopatiche e quella che chiameremo la medicina tradizionale. Non utilizzerò la locuzione "medicina ufficiale" perchè per la premessa già posta (tutti noi siamo iscritti all'Ordine dei Medici e abilitati all'esercizio della professione), l'una e l'altra sono entrambe medicine per così dire "ufficiali".

Si presume, da parte del legislatore, che il concetto di Omeopatia sia già noto ed i riferimenti sono fatti in termini del tipo: "cura con medicinali dinamizzati" o "a base di erbe", o "somministrati secondo i principi omeopatici", o semplicemente "il metodo curativo introdotto dal Dottor Hahnemann".

Ma esistono notevoli differenze nello status legale professionale di quelli che esercitano pratiche omeopatiche.

Dal punto di vista della regolamentazione legislativa, due sono le domande fondamentali che vanno poste:

1) Il metodo Omeopatico è stato ammesso, è legalmente ricono-

sciuto nel Paese? E quale è la regolamentazione del Rimedio

Omeopatico? (Cioè è la domanda di fondo che sottende tutto

questo Convegno di Roma).

2) La pratica Omeopatica può essere esercitata da coloro che non

siano medici con titolo universitario? E a quali condizioni?

E' un problema che in Europa, per la verità non si pone, ma che si pone, per esempio, per la situazione africana, nel sub-continente indiano, ecc... In quei Paesi si assiste ad una articolazione abbastanza interessante che in questa sede per brevità non può essere riferita.

Nella maggior parte dei Paesi Occidentali, invece, è raro trovare norme giuridiche in base alle quali, certi metodi di cura siano ammessi o siano vietati. In casi eccezionali, un metodo, o più spesso l'uso di certi medicinali, può essere proibito per legge, ma, di regola l'ammissibilità di un certo metodo curativo è fissato "ex lege artis", secondo cioè i principi che sono accettati nella scienza medica.

Anche l'evidente dovere dei medici di esercitare in base ai principi accettati della scienza medica, anche se unanimamente ammesso, è raramente prescritto in modo esplicito dalla legge, tanto è che quando i tribunali sono interpellati per questioni inerenti, per esempio, la responsabilità professionale - quindi la scelta del metodo di cura, la scelta dei medicinali che in un determinato caso storico è stata fatta da un medico o da una équipe di medici - il tribunale nomina dei periti (con il ricorso allo specialista medico-legale) per ottenere pareri sul rispetto della "lex artis".

Si ammette quindi comunemente che i medici sono obbligati ad aggiornarsi sui progressi della scienza medica. La legge 833/78 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale (S.S.N.) in Italia ne fa un obbligo. Gli Ordini dei Medici hanno cercato di portare avanti il discorso dell'aggiornamento; ma si rimette al giudizio del singolo sanitario ogni decisione sul tipo di cura più adatto per quel caso concreto. In sostanza va riaffermato il rifiuto di moduli terapeutici.

Ricordo il dibattito che si sviluppò nella commissione regionale per le tossicodipendenze della Campania tra coloro che desideravano preorganizzare un modulo terapeutico da calare dall'alto, valido per tutti quanti i tossicodipendenti e coloro che hanno difeso la necessità di una personalizzazione della scelta terapeutica.

Le opinioni sul valore medico dell'Omeopatia sono molto discordanti. Taluni affermano che metodi Allopatici ed Omeopatici si contrappongono con eguali diritti, anche se la Commissione Parlamentare Australiana, nel 1977, affermò che la pratica dell'Omeopatia non è suffragata da alcuna evidenza scientifica. Tuttavia i medici che lavorano in Europa sono generalmente autorizzati ad usare i metodi Omeopatici. E nei maggiori Paesi dell'Europa Occidentale svolgono la loro professione diverse unità di medici Omeopatici: circa un migliaio esercitano nella Repubblica Federale Tedesca, dove è nata l'Omeopatia. Nella Germania Federale l'indicazione aggiuntiva "Homoeopathy" può essere usata dai medici che hanno seguito un tirocinio specifico che comprende lo studio teorico o pratico di cure Omeopatiche per almeno un anno e mezzo (sotto la guida di un medico Omeopatico abilitato); o, in alternativa, a sei mesi di lavoro in un ospedale Omeopatico ufficialmente riconosciuto; oppure partecipazione a tre Corsi ufficiali d

i perfezionamento o a tre mesi di insegnamento in terapia Omeopatica.

Nel Regno Unito una facoltà di Omeopatia venne istituita legalmente nel 1950. In Francia venne attivato un Corso universitario in Omeopatia per studenti di medicina, ma non esiste il titolo di specialista Omeopata. La presenza a questo Convegno Internazionale di colleghi provenienti da questi Paesi, potrà poi consentire di precisare meglio e verificare con riferimento all'oggi le indicazioni della letteratura che sto riferendo.

In alcuni Paesi l'autorizzazione legislativa alla farmacopea Omeopatica costituisce una sorta di riconoscimento ufficiale della Medicina Omeopatica.

Un atteggiamento più scettico, invece, nei riguardi della pratica Omeopatica si riscontra nella legislazione sanitaria di quelli che, fino ad ieri, definivamo "paesi socialisti" o "dell'Europa Orientale", dove il dovere del medico di curare i pazienti, "lege artis", è espressamente prescritto dalla legge più spesso che nei Paesi Occidentali.

Nell'Unione Sovietica l'articolo 34 delle norme fondamentali della legge sanitaria dispone che i medici "devono", non possono, usare i metodi di diagnosi, prevenzione e cura e prescrivere i medicinali autorizzati da quel Ministero della Sanità.

Una norma analoga esiste nel codice sanitario Bulgaro nel quale non sono autorizzate nè medicine nè metodi curativi Omeopatici. In Ungheria è, di regola, riconosciuta la libertà del medico di decidere la cura, ma i metodi Omeopatici sono considerati non scientifici.

Analogamente in Cecoslovacchia, dove la legge sanitaria fondamentale dispone che le cure mediche devono essere prescritte in base allo stato attuale della scienza medica ed è significativo che in questa nazione la chiropratica e l'agopuntura, esercitati da medici specializzati, sono state regolamentate dal Ministero della Sanità, mentre invece non esiste analogo provvedimento per la Medicina Omeopatica.

Le istruzioni sulla prescrizione e la distribuzione dei medicinali dispongono che le medicine omeopatiche non possono essere prescritte o distribuite gratuitamente malgrado che in Cecoslovacchia quasi tutte le altre medicine siano gratuite.

Sempre per restare ai Paesi dell'Europa Orientale, nella Repubblica Democratica Tedesca la situazione è più complessa per la sopravvivenza di antiche tradizioni. Anche qui non esiste una norma di legge che chiarisca direttamente o indirettamente se la Omeopatia è o non è considerata metodo scientifico. Indicativa dal punto di vista prevalente in questo Paese è la conclusione cui perviene un eminente esperto di legislazione medica: "in base alle conoscenze scientifiche la Omeopatia non può essere impiegata per la cura delle malattie più gravi specialmente le malattie organiche". E' significativa direi questa graduazione nell'impiego della Medicina Omeopatica.

La possibilità che l'Omeopatia sia esercitata da non medici nei tolleranti Paesi dell'Europa Occidentale si deduce da alcuni esempi:

- Nel Regno Unito ed in alcuni Paesi Scandinavi qualsiasi citta-

dino può esercitare pratiche curative, ma certamente non può

prescrivere medicinali e curare alcune malattie;

- nella Repubblica Federale di Germania, ed in minor misura

anche nella Repubblica Democratica Tedesca, solo i "praticanti

autorizzati" possono curare ammalati come guaritori Omeopatici

non laureati.

La terapia Omeopatica - anche se intesa come "metafora dell'Omeopatia" su cui, per brevità, non posso soffermarmi in questa sede - si è diffusa in Europa ed ipotizzare che possa trattarsi semplicemente di moda appare estremamente riduttivo. D'altro canto occorre porsi nell'ottica dell'Omeopatia e affidarsi a ciò che gli Omeopati dicono di sè stessi; e direi che tutti gli interventi che questa mattina sono stati svolti in questo Convegno, autorizzano ad affermare che la Medicina Omeopatica è la medicina che prende in considerazione tutto l'uomo come persona umana, lo identifica nello stato di salute per poterlo poi riconoscere nello stato di malattia.

Ma, se ogni malattia può essere curata, considerando correttamente l'ammalato, come questa mattina qualcuno dei relatori ha detto, esistono per lo meno quattro limiti dei quali dobbiamo prendere coscienza:

1) Un primo limite è nel medico che non riesce a "vedere il

malato", quindi cade nella "paura della malattia" non ricono-

scendo i sintomi reattivi e soggettivi; quelli che cioè do-

vrà ritrovare nella sperimentazione per similitudine.

2) Un secondo limite sta nel malato che, per quanto sia avverso

alle terapie farmacologiche, non comprende come si possa cu-

rare la malattia con un solo Rimedio fatto di palline di

zucchero. Quindi commette errori dovuti alle sue conoscenze

sulla medicina.

3) Un terzo limite sta nel Rimedio Unico che non agisce perchè

non corrisponde alla corretta tecnica di preparazione hahne-

manniana; e, sottolineerei, che questo Convegno di Roma cerca

proprio di superare questo "limite" e dire come debba essere

regolamentata la preparazione del Rimedio Unico perchè sia

affidabile.

4) Il quarto limite è rappresentato dallo stato di malattia

"grave", "irreversibile"; con l'avviso però anche che in que-

sta quarta ipotesi, se tutta la metodologia sperimentale,

clinico-terapeutica è stata correttamente applicata, il mala-

to irreversibile potrà usare fino alla fine, e cioè fino alla

morte, sino all'exitus, correttamente tutto il suo potenziale

biologico. Ciò pone ulteriori interessanti correlazioni tra

"inguaribile" ed "incurabile", moderna menzogna della prassi

sanitaria cui si oppone anche l'art. 32 della bozza del nuovo

codice deontologico che recita: "il medico non può abbandona-

re il malato ritenuto inguaribile, ma deve continuare ad as-

sisterlo anche al solo fine di lenire la sofferenza fisica e

psichica, di aiutarlo e confortarlo".

A proposito della "curabilità" questo pomeriggio, nell'ultimo intervento che ha preceduto questa Tavola Rotonda, è stato affermato che la Medicina Omeopatica, correttamente applicata, cura anche gli animali (pesci, uccelli), cura le piante e sempre e solamente con un solo Rimedio per volta.

Come viene esercitata oggi l'Omeopatia nel nostro Paese?

Va approfondito questo aspetto anche per recuperare la "sfida della complessità" cui ha fatto riferimento l'Onorevole Ziantoni, e vedere come nel 1992, a frontiere aperte, si possa far confluire in un alveo unico l'esercizio di questa attività medica.

Nel nostro Paese, l'esercizio dell'Omeopatia è affidato ai laureati in medicina e chirurgia così come la vendita dei Rimedi Omeopatici avviene in farmacia.

Vi sono stati tentativi di interessare la struttura pubblica; l'Onorevole Ziantoni ne ha fatto riferimento nel suo intervento. Ricorderò che in ospedali della Campania (Cardarelli, Fatebenefratelli) sono stati realizzati accanto ad un Centro di agopuntura anche un nucleo di Medicina Omeopatica; tuttavia i Rimedi Omeopatici non sono acquisibili presso le farmacie ospedaliere e quelle comunali.

L'esame del caso Italia può essere fatto attraverso versanti diversi: proverò a farlo dal punto di vista deontologico e poi brevemente dal punto di vista medico-legale per lasciare poi spazio all'intervento del Prof. Ventre su quello che riguarda l'aspetto educativo, pedagogico e formativo. Giova avvertire che nelle considerazioni che seguono terro' fondamentalmente presenti i contributi di INTRONA F., FAGIANI M. e del suo allievo VASAPOLLO G., che si sono occupati di medicina alternativa, facolta' di curare, agopuntura.

Da taluno si ritiene in particolare che i medici che operano sul piano professionale applicando la criteriologia diagnostica Omeopatica ed il Rimedio Omeopatico, contraddicano al dettato dell'articolo 4 del Codice Dentologico vigente che è quello del '78. (Giova avvertire che è in avanzata gestazione la nuova versione del Codice Deontologico già prima citato).

L'articolo 4 impone al medico nella sua pratica professionale di ispirarsi alle conoscenze scientifiche. Di tale avviso è il documento congiunto che, nel 1986, hanno stilato insieme la Facoltà di Medicina e l'Ordine dei Medici di Padova.

In particolare, in questo documento patavino si legge: "il medico nell'attività professionale non deve servirsi come presupposto teorico per i propri interventi terapeutici di tutte quelle dottrine, il cui contenuto non è compreso nell'ambito della scienza sperimentale, così come questa è di fatto configurata negli insegnamenti accademici dello Stato Italiano".

Non condivido questa impostazione anche perchè il Tribunale di Perugia con sentenza 16 Febbraio 1981 ha assolto un agopuntore non medico dalla imputazione dell'esercizio abusivo della professione medica (ex art. 348 del vigente Codice Penale), affermando tra l'altro che i contenuti della professione sanitaria si desumono dalle norme vigenti che regolano i piani di studio, i programmi, le materie che formano oggetto dell'apposito esame di stato. Mentre invece la Corte di Cassazione ha cassato questa sentenza, ha cioè disatteso l'argomentazione dei Giudici di Perugia secondo la quale, i contenuti della professione medica si limitano a quelli che sono oggetto della verifica statuale, ovverossia in sede degli esami del Corso di laurea e dell'esame di abilitazione all'esercizio della professione.

Lo spessore di questa sentenza, non sta tanto nel riaffermare il principio che incorre nell'esercizio abusivo della professione di medico l'agopuntore non medico (e questo mi pare palese), quanto nell'aver fatto luce su un aspetto particolare, cioè sulla libertà dell'atto medico, sulla illiceità addirittura di precostituire qualsivoglia modulo terapeutico da calare dall'alto su anonimi utenti (è l'esempio del modulo per i tossicodipendenti cui prima ho fatto riferimento).

E' vero, invece, che il medico, così come prescrive il Codice Deontologico vigente ex art. 5 e come non negato da alcuna norma, è libero di indicare i mezzi di prevenzione e di indagine diagnostica più adeguata e di prescrivere i farmaci più idonei e più approfonditi a seconda delle circostanze. Essendo altresì obbligato, lo si è detto prima ad un aggiornamento continuo delle proprie conoscenze in campo diagnostico e terapeutico, per garantire il diritto del paziente alla tutela della propria salute nel migliore dei modi consentito dalle acquisizioni scientifiche più recenti (ex art. 21 del Codice Dentologico vigente), [INTRONA F.: tutela della salute; medicina alternativa; esercizio abusivo di professione sanitaria. Riv. Ital. Med. Leg.; 38, 1984].

Si arguisce da queste considerazioni che i Giudici del Tribunale di Perugia avevano forse tenuto presente il secondo comma dell'art. 61 del Codice Deontologico vigente che non si occupa di libertà di diagnosi e cura, bensì di pubblicità medica e che recita "le pratiche mediche che pur di uso corrente non risultano incluse nel piano di studio universitario e in quelli di formazione specialistica in sede accademica come disciplina a se stante, anche se lecite nella loro esecuzione da parte del medico, non possono essere esibite sul piano pubblicitario come branca autonoma di attività sanitaria".

Se ne conclude quindi sulla liceità dell'esercizio della Medicina Omeopatica in Italia, ma se tale pratica medica sussiste non può essere dal medico pubblicizzata come branca autonoma di attività sanitaria.

Insisto molto su questo aspetto perchè invece circolano ricettari, intestazioni di Centri, ecc. che sono certamente al di fuori di questa norma che, sicuramente, è vigente.

In Germania Federale è possibile aggiungere al proprio nome e cognome la dizione "Homoeopathy" ma a condizioni particolari: aver fatto quel Corso, essere stato in un ospedale e così via, come già prima ricordato.

In Italia tutto ciò non esiste: non c'è la possibilità di qualificarsi "omeopata". Tuttavia il nodo fondamentale del problema sta nella messa in mora della Medicina Omeopatica, nel più vasto contesto delle medicine definite alternative, compiuto dal documento patavino che intima al medico "di non applicare sui propri pazienti tutte quelle manovre o somministrazioni terapeutiche che non derivando dalle conoscenze fisico-chimiche, biologiche e cliniche comuni, ed accettate dalla comunità scientifica internazionale, si presentano come "infondate" sul piano teorico".

E a sostegno di questo precetto, di questa ingiunzione al medico, si invoca il dettato dell'articolo 18 del Codice Deontologico vigente la cui ratio è di vietare la somministrazione di prodotti farmaceutici di composizione o preparazioni segrete e che giustamente è stato recuperato nella polemica piuttosto recente anche con i medici pseudo-dietologi. Quanto all'affermazione che il medico deve attenersi scrupolosamente alle acquisizioni scientifiche comprovate, la ratio sta nel riferimento alla frase che precede, e che concerne in particolare le notizie sanitarie atte a suscitare illusorie speranze o infondati timori, come per esempio nei rimedi anticancro; e non può essere, a mio avviso, estrapolato l'inciso per divenire una sorta di intimazione al medico. Situazioni peraltro riprese nella bozza di nuovo Codice Deontologico all'art. 19; inoltre al II comma dell'art. 91 è fatto ingiunzione al medico di "evitare di esercitare la professione in locali annessi a strutture autonomamente adibite ad altre attivit

à sanitarie o paramedica: farmacie, erboristerie, istituti di medicina alternativa e analoghe strutture".

Non si può nè regolamentare per legge l'atto medico stabilendo con quali mezzi deve essere curato una determinata malattia, nè attuare la sperimentazione sull'uomo come invece purtroppo avviene al di fuori dei binari delle convenzioni di Helsinki.

Il documento dell'Ordine dei Medici di Padova si conclude con la raccomandazione a tutti i propri iscritti di non dedicarsi nell'esercizio professionale a pratiche esoteriche o comunque non scientifiche costituite dalla somministrazione di sostanze non consigliate dalla farmacopea ufficiale dello Stato Italiano; e, infine, ammonisce che la violazione di tale raccomandazione potrebbe configurare una situazione disdicevole al decoro professionale, previsto dall'articolo 3 del Codice Deontologico vigente, situazione passibile delle sanzioni disciplinari previste dall'articolo 40 del D.P.R. 5 Aprile 1950 numero 221.

Di totale diverso avviso è stato un altro Paese non Europeo, il Kuwait che, qualche anno fa, ha definito il medico - lo ricorda il gia' citato Francesco Introna Presidente della SIMLA e Ordinario di medicina - legale a Padova - come colui che, "con atti compiuti di persona o con l'ausilio di terzi qualificati, o in qualunque altro modo, formula diagnosi, prescrive farmaci, compie su un essere umano atti medici o chirurgici o psicologici, preleva dal corpo umano campioni per esami diagnostici, richiede esami di laboratorio e ne valuta i risultati, impiega energie di qualunque specie e natura a fine diagnostico terapeutico, impiega allo stesso fine e fattori fisici come onde sonore o luminose o di qualunque altra natura".

"Divinum est sedare dolorem", poco importa se il risultato si è ottenuto all'ombra della farmacopea o anche al di fuori di essa: sembra questa la esclamazione del paziente il quale attraverso un procedimento omeopatico ha ottenuto il risultato che si prefiggeva!

Ma c'è un altro versante, prima di cedere la parola al Prof. Ventre, che va ancora indagato, ed è il versante medico-legale.

Il terzo comma dell'articolo I della L.833/78, istitutiva del S.S.N., ricomprende nello stesso S.S.N. il complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinate alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione; di fatto tutto.

Da questa enunciazione di principio che certamente nella sua omnicomprensività non esclude nessuna attività, all'attuazione pratica, il passo però è ancora lungo.

In Italia, così come in Olanda, che pure è all'avanguardia nel settore della Omeopatia, le spese del trattamento Omeopatico, anche se prescritte da un medico convenzionato con il S.S.N., non ottengono il rimborso.

Per le assicurazioni private che, in genere, si muovono con anticipo, il problema, è invece aperto: cioè quelle polizze integrative che ammettono l'assegnazione di un indennizzo per le giornate di malattia cominciano a prendersi carico anche delle terapie Omeopatiche. Così l'attenta lettura delle condizioni di polizza integrativa per il rimborso delle spese ospedaliere nelle condizioni particolari, quindi con sovrapprezzo, prevede il rimborso al 75% delle spese sostenute e documentate per prestazioni mediche nei 90 giorni successivi al ricovero ospedaliero oppure all'intervento in ambulatorio. Però è altrettanto certo che ospiti stranieri nel nostro Paese, [si trattava di funzionari della N.A.T.O. a Napoli], si sono rivolti alle strutture del S.S.N. per ottenere trattamenti Omeopatici da loro abitualmente praticati, ma ne hanno ottenuto un rifiuto.

Ciò non assicura l'eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio così come invece assume il già citato comma terzo dell'articolo I della L. 833/78, e su questo taglio si potrebbe continuare.

Ma per restare invece ad una tematica di maggiore aderenza medico-legale, occorre sottolineare che nell'esercizio dell'Omeopatia nel nostro Paese si assiste sempre più frequentemente ad un paradosso esercizio abusivo dell'attività Omeopatica. La locuzione non piacerà a molti ma va spiegata: vi è infatti un proliferare di attività pseudo-omeopatica quale quella che pretende di curare la malattia e non il malato, addirittura impiegando più Rimedi in contemporanea.

La spinta a questa pratica sarebbe - si exposita vera sunt - fornita in parte anche dai laboratori di prodotti Omeopatici (circa 15) che tendono ad aumentare le vendite di Rimedi. Nella sostanza questa spinta rinnega i principi hahnemanniani. Si potranno curare pure con questa prassi ed eliminare alcuni sintomi, ma il malato non verrà globalmente valutato ed aiutato. E' in atto, quindi, un marginalizzare i contenuti hahnemanniani, lo aumentare i meccamismi di difesa del corpo attraverso un unico Rimedio scelto secondo il principio del simillimum e quello della terapeuticità del Rimedio anche a diluizioni elevatissime, purchè idoneamente dinamizzate.

Un altro aspetto che occorre valutare è quello dell'induzione attraverso la prima fase di somministrazione del Rimedio Omeopatico di una sorta di peggioramento dello stato anteriore del percettore del Rimedio. E' un argomento che è venuto alla ribalta ancora una volta questa mattina in alcuni interventi.

Vitoulkas, direttore della scuola ateniese di Medicina Omeopatica, enfatizza questo peggioramento. Se esso non avviene eventuali rischi sono temuti dalla somministrazione del Rimedio. La "scelta del trattamento" espone il terapeuta ad importanti responsabilità, anche che non si diversificano sostanzialmente dalla generica responsabilità di chi esercita a qualsiasi titolo la professione medica.

La responsabilità professionale che deriva dalla scelta e dalla attuazione dei trattamenti terapeutici nell'ambito di un rapporto contrattuale, sorge quando si realizzi un danno ingiusto alla persona assistita ricollegabile causualmente al comportamento colposo del sanitario. Qualche anno fa De Fazio F. e Lodi F. hanno avuto incarico dalla Magistratura di esaminare in sede peritale un trattamento omeopatico (comunicazione personale).

Senza stare a riprendere concetti ben noti in tema di responsabilità colposa, appare utile sottolineare che nel settore della Medicina Omeopatica, la colpa professionale può derivare più spesso da un errore di diagnosi e meno frequentemente da un errore nella esecuzione del trattamento. Errore di diagnosi ed errore di indicazione sono, sovente, strettamente interdipendenti in quanto l'inquadramento nosologico del processo morboso e la corretta identificazione del quadro patologico, sono essenziali per identificare le modalità del trattamento stesso, la scelta del Rimedio.

Per quanto attiene all'errore diagnostico, è possibile prospettare ipotesi di danno nei casi in cui l'aver fatto ricorso erroneo alla metodologia Omeopatica, potrebbe aver causato danni o per il ritardo nel ricorso alla terapia effettivamente utile, o per la sua omissione.

Non aver realizzato una più lunga sopravvivenza può costituire "perte de la chance de survivre", imputabile al Sanitario.

Quanto poi alla previsione di attività truffaldine collegate con la pratica Omeopatica, la questione più rilevante da chiarire è, posto che questa pratica debba essere affidata agli esercenti la professione sanitaria, se essa collocandosi fuori del campo della cosiddetta medicina riconosciuta non debba essere considerata come una pratica illecita esercitata per ricavarne un personale beneficio, una sorta di "Omeopatia del portafoglio", anche se palesemente inidonea a conseguire utili risultati.

Si ritiene di ritornare sulla questione della "ufficialità" della disciplina - che già all'inizio di questa panoramica è stata esplorata sotto il profilo della "libertà dell'atto medico" - perchè "l'ufficialità" sorge da un complesso di fattori di cui preminenti sono quelli ricollegabili con la natura scientifica delle discipline stesse oggetto di verifica sperimentale e di ricerca. [VASAPOLLO D. I problemi medico-legali nella pratica dell'agopuntura: Riv. Ital. Med. Leg.; 24, 1984].

"Ma non è solo questo", e l'ho già ricordato prima, il carattere che rende ufficiale una disciplina, perchè esso esprime nel contempo la garanzia che lo Stato, responsabile dell'insegnamento in tutti i suoi diversi ordini e della tutela della salute, pone sull'esercizio delle attività che hanno come fondamento la conoscenza di quei settori dello scibile ritenuti necessari per l'esercizio della professione sanitaria. [VASAPOLLO D.; ibidem anche nei successivi capoversi riportato tra virgolette].

E' quindi, per lo meno dubbio, che si possa distinguere una medicina ufficiale in contrapposizione con una medicina non ufficiale, nel senso che la vigilanza che lo stato esercita sull'insegnamento e sull'esercizio delle professioni sanitarie, si estende indifferentemente a tutte le attività professionali sia a quelle cui si perviene attraverso l'istruzione ufficiale, che a quelle che invece derivano da altre fonti di istruzione, ed anzi a mio avviso, maggiormente su queste si esercita perchè potrebbero indentificarsi con attività non legittimate.

"In definitiva", si deve "affermare che, a seconda che sussistano o meno le garanzie previste dal nostro ordinamento per l'esercizio delle professioni sanitarie, sia più corretto distinguere per il settore sanitario le attività mediche legittimamente esercitate, dalle attività esercitate in maniera illecita". E, "in rapporto a questa conclusione", mi "sembra che di fronte allo svilupparsi di attività a contenuto sanitario ma di incerto contenuto scientifico, si ponga il problema di definire quali di queste attività rientrino tra quelle lecite e quali non, e di stabilire quali requisiti debbono essere richiesti perchè chi li esercita possa farlo nel quadro delle attività soggette a vigilanza sanitaria, vale a dire nell'ambito delle attività riconosciute dallo Stato".

Ed il combinato disposto degli articoli 99 e 100 del testo unico di legislazione sanitaria attualmente vigente, conferisce carattere di liceità alle attività sanitarie esercitate da chi abbia la maggiore età ed abbia conseguito la speciale abilitazione all'esercizio professionale a norma delle vigenti leggi ciascuna nell'ambito della specifica competenza (professioni sanitarie, professioni sanitarie ausiliarie, arti ausiliarie delle professioni sanitarie).

Ne consegue che il possesso della abilitazione all'esercizio professionale conferisce alle attività sanitarie sottoposte a vigilanza il requisito della liceità a condizione che siano esercitate nell'ambito della rispettiva competenza e sempre che esistano i presupposti previsti dall'articolo 32 della Costituzione e dall'articolo 33 della L. 833/78 istitutiva del S.S.N..

Cioè si è ritornati, percorrendo altra strada, alla conclusione "che i professionisti, abilitati all'esercizio professionale" sono "autorizzati ad effettuare ogni trattamento sanitario che essi ritengono fondato su conoscenze scientifiche, siano esse quelle collegate con le attività di insegnamento ufficiale" che quelle che, come l'Omeopatia, non trovano, almeno in Italia, spazio nell'ordinamento degli studi professionali.

Questa affermazione di principio trova nella sua applicazione pratica alcune limitazioni che circoscrivono il campo dell'ampia discrezionalità entro cui verrebbe ad operare il sanitario; un primo ordine di limitazione operante nel settore dell'attuazione dei trattamenti sanitari e' quello stesso che per pacifica ammissione di tutti gli studiosi, opera sul diritto di scelta dei trattamenti sanitari.

Questi "non solo debbono" avere dei presupposti scientifici ma debbono essere altresì utili e necessari, non sostituibili con altri più vantaggiosi o meno pricolosi, e debbono essere i più idonei ed i più appropriati nelle circostanze in cui si deve operare.

"Un secondo ordine di limitazione è quello che deriva dalle disposizioni legislative in materia di assistenza sanitaria e cha hanno riferimento con il consenso dell'assistito.

I limiti derivanti dalla disponibilità del consenso dell'assistito operano attraverso il meccanismo della informazione del paziente e si collegano quindi con gli stessi limiti precedentemente indicati, vale a dire l'apprezzamento della opportunità, necessità, idoneità, ed insostituibilità del trattamento" sanitario.

Per tutta questa complessa materia si rinvia alla trattatistica medico-legale ed in particolare all'opera di Introna e Barni, già prima ampiamente riportati.

In questo settore il medico deve dunque far partecipe l'assistito delle ragioni che lo inducono a scegliere un trattamento anzicchè un altro, mediante una informazione quanto più possibile precisa, ovviamente in relazione alla capacità di comprensione dell'assistito, e dalla quale comunque debbono trasparire i contenuti dottrinali che stanno alle spalle del trattamento proposto. E qui voglio ricordare che nelle due proposte di legge che sono al nostro esame vi sono delle contraddizioni notevolissime: nella proposta Garavaglia, all'articolo 5, ci si riferisce a prodotti Omeopatici composti o complessi, per cui possono essere adottate denominazioni di fantasia purchè non riferibili a funzioni fisiologiche, patologiche, tessuti, organi ed apparati umani od animali; invece, nella proposta di legge di Rutelli, Aglietta, Faccio, ecc., è previsto che il farmaco sia accompagnato da un foglietto-scheda in cui si diano queste spiegazioni.

Non potendosi negare, e concludo, valore terapeutico all'Omeopatia e riconoscendosi - cosi' come ha fatto il piu' volte citato VASAPOLLO D. per l'agopuntura - "la legittimità della sua realizzazione da parte degli esercenti le professioni sanitarie, l'ipotesi che siano possibli attività truffaldine, resta dunque legata alla sua realizzazione o per trarne benefici personali, pur nella assoluta certezza della inefficacia ed inutilità" in quel caso concreto "della prestazione, ovvero alla sua attuazione da parte di persone sprovviste dei requisiti per l'esercizio professionale, ipotesi quest'ultima che realizza anche il reato di esercizio abusivo della professione", ai sensi dell'art. 348 del C.P., come anche si evince dalla recente sentenza della Suprema Corte già prima ricordata.

 
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