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Busdachin Marino, Lensi Massimo - 16 gennaio 1989
Una buona informazione in Jugoslavia
di Marino Busdachin e Massimo Lensi

SOMMARIO: Viene dato un giudizio sostanzialmente positivo sull'informazione riservata dalla stampa jugoslava alla vicenda della convocazione a Zagabria del Congresso del Partito radicale ed anche ai contenuti più generali della battaglia politica radicale. Si precisa però che solo la Slovenia e la Croazia hanno goduto di un'informazione adeguata e obiettiva, mentre nelle altre repubbliche ha prevalso la voce del governo. Gli autori si chiedono se questa abbondante informazione sul PR produrrà un seguito politico in Jugoslavia e se il PR saprà, una volta chiusa la vicenda del Congresso, alimentare il dibattito e l'iniziativa politica in quel paese.

(Notizie Radicali n.7 del 16 gennaio 1989)

Il "piccolo mondo" strapaesano e arrogante del giornalismo italiano si è mai interrogato su come si possa cercare di migliorare lo stato di penoso degrado intellettuale e politico in cui versa? Se la risposta è no, prenda esempio. I radicali non hanno mai mancato occasione di criticare l'incoerenza, la censura, l'assenza di professionalità, il "massacro dell'informazione" della stampa italiana nei loro confronti. Per una volta, sperando che non sia l'ultima, crediamo di poter ringraziare pubblicamente i giornalisti jugoslavi che con rigore non solo formale si sono occupati delle iniziative del partito radicale transnazionale. Vjesnik, Delo, Dnevnik, Mladina, Telex, Vecernj List, Danas, Politika, Nin, Duga, Glas Istre, Borba, Vecernje Novosti, Primorske Novice sono solo alcune delle principali testate che in questi mesi hanno cercato di capire e quindi spiegare Pannella e il "fenomeno" radicale. Corsivi ironici, Cicciolina, folklore radicale, attacchi "stalinisti" vecchio stile, ma anche, soprattutto intervi

ste e servizi di indagine sulle proposte e sugli obiettivi del Pr.

Le conferenze stampa di Pannella da Lubiana a Belgrado, in molti casi convocate all'ultimo minuto, non hanno mai mancato l'appuntamento con l'interesse dei giornalisti dei maggiori quotidiani, di radio e tv, nonché della temibile agenzia governativa Tanjug. Non sempre i resoconti rispettavano quanto veniva detto. Ma l'indomani, tra mille difficoltà, tra caratteri cirillici e latini, interpretando e traducendo lo Sloveno, il Croato, il Serbo e il Macedone scoprivamo, con soddisfazione, anche la precisione e la puntualità degli argomenti, l'attenzione e qualche volta la passione che traspariva dagli scritti.

Una piccola analisi ragionata di un anno di informazione in Jugoslavia sui radicali ci porta però a capire che solo una parte della Jugoslavia - la Slovenia e la Croazia - ha goduto di un'informazione adeguata. Per la Serbia non si può dire altrettanto; anzi, spesso lo stravolgimento dei fatti, nel rispetto delle disposizioni governative, è stato pane quotidiano. Altrove, in Macedonia, Kossovo, Montenegro niente, o quasi niente. Ma lì dove l'informazione c'è stata, il dibattito sui giornali e nei Parlamenti (quello sloveno, quello croato) è cresciuto, e non sono mancate le voci di aperto dissenso nei confronti della decisione del Governo di proibire il Congresso radicale. Altrove il silenzio.

Il tam-tam delle notizie cresceva col crescere delle nostre iniziative: la manifestazione a cavallo dei confini, il digiuno per il dialogo, i lavori del Consiglio federale a Trieste e poi a Bohinj hanno avuto sempre una costante presenza di giornalisti sloveni e croati; mentre rimaneva in tono minore, perché più controllata, la stampa serba.

Dobbiamo tener conto però della novità radicale, della inusitata freschezza politica che siamo riusciti a trasferire in un panorama bloccato, diviso fra mille fazioni, esasperato dai crescenti nazionalismi e da un'inflazione che giorno dopo giorno sgretola non soltanto i salari più bassi. Paradossalmente, in questa situazione proprio l'Europa e l'annunciato congresso radicale hanno attraversato il mare di pessimismo e di rassegnazione dell'intellighenzia e dei politici come progetto di speranza e di ragionevolezza.

In queste ore ci stiamo chiedendo, se questa "anomala" presenza radicale sui media jugoslavi lascerà o meno il segno, e potrà continuare o incrementarsi anche quando i ritmi dell'azione non saranno più legati all'appuntamento prossimo, ravvicinato, nuovo, all'eccezionalità del momento del Consiglio federale di Trieste e Bohinj, e torneranno alla "normalità". Stiamo chiedendocelo.

Ma certo è difficile vivere e vedere come "normali" l'attività, la pratica, il lavoro quotidiani con gli ormai trecento iscritti jugoslavi, o le piccole assemblee a Lubiana, Zagabria, Belgrado.

 
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