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Pannella Marco - 16 gennaio 1989
Il partito muore, viva il partito
Intervento di Marco Pannella

SOMMARIO: Pannella ripercorre la storia del Pr, ricordando i risultati straordinari ottenuti. Ma ormai il partito radicale non è più lo strumento adeguato per i nuovi compiti politici. Il sistema politico partitocratico è in crisi, non solo in Italia, ma il Pr, in quanto tale, non è più in grado di provocare la Riforma della politica. Per poter andare avanti, per essere capaci di costruire un altro strumento politico è necessaria una rottura di continuità nella vita del partito "perché quel segmento di teoria della prassi, quel partito è morto".

Intervento di Marco Pannella al Consiglio federale del Pr di Bohinj (2-6 gennaio 1989)

Credo che ogni intervento tra quelli di questa sera, e molti altri dall'inizio del Consiglio federale (e anche quel che per un'oretta ci siamo detti 'stanotte - non mi accade da molto tempo - con dei compagni del gruppo dirigente) siano stati interventi in cui abbiamo parlato di tutto. E non lo dico nel senso "si parla di tutto, si parla di niente". Il numero dei problemi ma anche delle tesi, anche degli obiettivi, è praticamente infinito; cioè non lo abbiamo finito. Ogni volta che ci si vede ciascuno ha un bandolo della matassa per portare alla luce tanti aspetti della situazione.

Nell'intervento di Roberto io però mi sono sforzato molto di cogliere quello che poi alla fine ha definito "il problema centrale". Qual'è? Non lo so perché ne ha enunciati tanti di problemi, dicendo poi che erano sbagliati, erano falsi, erano marginali, mentre mi parevano seri quando li esponeva. Mi pare che lui abbia detto che il problema è di individuare urgentemente le aree di radicamento, le aree di azione, per esempio. Questo sicuramente è giusto. Tu ora mi dici che non era questo e allora ripeto - l'ho detto a Francesco, e non è che io spesso solleciti connivenze da Francesco - non sono riuscito a capire eppure ho seguito tutto il tuo intervento. Molto spesso le cose che Roberto evocava per poi scartarle, fino al momento in cui lui non diceva "no", mi sembravano serie, mi pareva importante averci dedicato dell'attenzione. Una cosa che però forse un poco mi imbarazza è che siccome è anche un fatto di "tono", e ognuno di noi ha il suo, Roberto finisce per avere sempre di più dei toni tassativi... Se tu d

ici "sono molto indeciso", lo dici con un tono così tassativo che mi dai l'impressione di sapere benissimo quello che vuoi. Beato Roberto! E' convinto di una cosa. Anche se la cosa di cui è molto convinto è che non sa cosa fare.

Roberto, dire "quella è una quisquilia, quello è marginale" forse è la dimostrazione che abbiamo due approcci un po' opposti: a me è stato spesso rimproverato (ai tempi di Ercolessi, di Ramadori) di gettare i fasci di luce, il riflettore subito sulle critiche, sulle proposte diverse, sulle cose che possono sembrare le più pericolose ma anche le più strampalate, o magari - tra virgolette - le più stupide perché a priori tendo a escludere che siano stupide quando appaiono. Quante volte mi avete accusato di andare contro i mulini a vento! O di accanirmi inutilmente contro qualcosa. Quando si parla di "progetto radicale" - e Roberto ha parlato di progetti - io sono sempre stato in grave imbarazzo.

Quello che credo di capire oggi è che noi abbiamo avuto una caratteristica in questi venti anni: a nostro modo, un po' da soldati di ventura, di buona ventura, di volta in volta siamo accorsi su delle frontiere che sembravano ed erano sguarnite, e siamo accorsi in genere lì dove ci pareva, a ragione, che le grandi maggioranze, che il buon senso, la gente era d'accordo nella buona direzione e che l'alienazione da politica, il divorzio fra ragionevolezza e potere, fra ragionare e decretare da parte delle classi dirigenti o di quelle acculturate, divenisse insostenibile e comunque inutilmente altrimenti sopportabile.

Nel 1975, facemmo e feci, cominciando anche allora a titolo strettamente personale, uno sciopero della fame ad oltranza perché otto leggi fossero votate o bocciate. In realtà, Roberto, fra quelle otto cose che cosa c'era in comune? Solo lo scandalo di cose acquisite alla coscienza perfino dei politici, sicuramente alla coscienza popolare delle grandi maggioranze, in termini umani ma non in termini politici, e che stavano là, mature per essere recepite. Mica erano "progressiste". Il diritto di famiglia era quello loro! Ma da sette anni non riuscivano a votarlo e noi dicevamo "questo diritto di famiglia, ancorché insufficiente (non siamo alla Camera, non lo miglioreremo) vogliamo che sia votato!". L'aborto, vogliamo che si cominci a discutere! Andammo dai comunisti solo con questa richiesta. Quando Enrico Berlinguer capì questo, ci fu il grande salto di un Partito comunista che fino al giorno prima aveva detto che il problema dell'aborto era un problema piccolo borghese e borghese, che divideva la sensibilità

delle masse cattoliche popolari da quelle comuniste; capendo accettò, cadde - tra virgolette - nella trappola. E lì c'è passato tutto... l'aborto, il voto ai diciottenni, il primo referendum sulla droga; non mi ricordo... ma c'era tutto lì dentro. Quindi l'elemento di unificazione era questo sentimento dell'urgenza possibile di superare il divorzio fra il potere e un'esigenza ampiamente diffusa sulla quale il potere si era impegnato a dare la sua soluzione. Perché questo divorzio fra ragionevolezze - fra promesse ragionevoli, necessarie - e potere venisse superato.

Agivamo contro lo sperpero immenso del potere che continuava a non recepire quelle urgenze oggettive sulle quali poteva incontrare il consenso, se giustamente interpellato, dell'80, del 90 per conto della gente.

Come Gandhi, il quale aveva anche un procedimento socratico, maieutico, che in realtà era possibile perché coglieva cose per le quali la comune coscienza umana del contadino settantenne assolutamente analfabeta e dell'intellettuale progressista si incontravano.

"Il nero non può viaggiare in prima classe, in Sudafrica; anche se avvocato, anche se ricchissimo"... delle cose banali che in effetti erano dei totem che non dovevano essere toccati, la classe politica era unanime nel non toccarli e di conseguenza la gente viveva questo come fatalità, ma certo senza ritenerla una cosa giusta: se il nipote interrogava il nonno, con uno schema un po' classico, sicuramente il nonno...

Questo in fondo abbiamo fatto noi. Incontrando le violenze per omissione, le violenze per commissione tipiche della società nella quale vivevamo; senza apparente raccordo; abbiamo aperto quei fronti e abbiamo combattuto delle lotte. La società politica - anzi il potere - non era preparato a questo tipo di iniziativa sociale, e per un certo numero di anni la sua impreparazione e la contraddizione di un mass media grossolano, censorio che però ancora rispettava vecchi canoni per cui un boss come Bernabei, padrone assoluto, democristiano, della radio di Stato italiana, nel momento in cui proprio si riusciva ad incastrarlo e a chiedergli addirittura la riparazione per la mancata informazione avuta dai cittadini, mollava. In due, tre, quattro anni la breccia si è colmata... per eccesso! E la reazione ha portato a quello che io dicevo: in Italia, dicevo ai compagni non italiani, la via per imporre alla società italiana aberrazioni che mai si penserebbe di poter imporre, ora passa attraverso le nostre vittorie, le

vittorie come quella sul referendum sulla giustizia che diventano occasione per far passare qualcosa di tremendamente reazionario rispetto al preesistente, che mai altrimenti si sarebbe avuta nemmeno l'idea di proporre.

L'altra caratteristica, unica, fondamentale, mi pare era l'abbinamento fra queste cose e - mi autocito dopo più di venti anni su questa cosa - il nostro statuto.

Noi abbiamo quello che, in un certo gergo politico intellettuale di sinistra, è un segmento di teoria della prassi di tale semplicità e forza che diventa la vera spiegazione del miracolo per cui mille o cento persone nel modo di stare insieme riescono ad essere produttori di cose immense o immensamente più produttori o creatori degli altri, spazzando via il democraticismo per l'essenzialità democratica. Segnalando che "ci si associa ogni 12 mesi", su una cosa quindi; dopo, se si è associati su quella cosa, ma che dibattito! che sede democratica, Donvito, che dibattito precongressuale! Quando avevi consigli federali (allora consigli nazionali) ogni due mesi, un congresso straordinario un anno sì e un anno no per cui facevamo tre congressi in 24 mesi! E' evidente che l'esigenza di discutere ancora fra di noi era il democraticismo istintivo di cui muore la democrazia. E' la concezione maledetta pluripartitica proporzionalista della democrazia continentale dove ci si associa per essere rappresentati e non per go

vernare un obiettivo, governare una scelta e realizzarla.

E la terza ed ultima caratteristica - ma questa, devo dire, puramente storica, e che Baget Bozzo in modo diretto e chiarissimo, Pasolini in modo forse più chiaro ma indiretto hanno descritto - è quella per la quale il Pr attraverso l'integrità del suo modo di essere candido e del dire "ma perché no?" o "perché questo?", quindi "no" o "sì" su tutto, era divenuto qualcosa che supplica in Italia la millenaria forza della chiesa cattolica che aveva passato la crisi di secoli e in fondo di già di un paio di millenni essendo l'unica forza culturalmente attrezzata a essere sempre attenta ai problemi del corpo: la sofferenza, il carcere, a suo modo il divorzio, l'amore, l'aborto, il sesso. Tutto questo veniva indicato giustamente come l'essere al cuore dei problemi che ciascuno rischiava e rischia di vivere, torna a rischiare di vivere come fatalità, destino o diversità naturale nella quale la moralità di ciascuno, cioè quella parte di creatività nel proprio voler essere, viene di fatto annullata a livello individua

le e poi a livello sociale da una specie di sociologismo della morale e delle caratteristiche di ciascuno ("quello è frocio", "quello non è frocio", "quello è matto", "quello non è matto", "quello è nero", e "quello è bianco", "quello è del nord" e "quello del sud", "quello è democristiano" e "quello no"), e che rappresenta la morte non delle ideologie ma delle idee e soprattutto della moralità come valore e attributo di ciascuno, mancabile ma comunque attributo certo, secondabile o ammazzabile dalla legge, dal libro, da, da, da...

Basta, io qui mi fermo.

E' anche vero che a un certo punto dissi "ora dobbiamo passare dai diritti civili, essendo nonviolenti, ai diritti umani", quindi per cinque mesi pensai il digiuno, lo sciopero della fame e della sete... la fame e la sete devono essere relative alla fame e alla sete. E infatti abbiamo avuto quella stagione.

Poi altre, più democratiche, più nonviolente. Ma il problema di oggi io credo che sia uno solo: noi siamo totalmente sepolti dalle ricadute intime di ciascuno di noi, interiori al partito e sociali, del numero incredibile di intelligenze, di progettualità che secerniamo ormai a gettito continuo. Bisognerebbe dire che pisciamo continuamente; ma non è giusto perché in realtà le secerniamo.

Incontriamo il problema del sistema politico, partitocratico, e immediatamente la formazione che abbiamo ci mette in moto, secerniamo un'analisi delle due società qualche anno prima di Dahrendorf, molti di più; ripeschiamo la questione che ci consente oggi di dire - badate, sarebbe uno splendido tatticismo anche, ma non è la verità -... io dicevo a Ouagadougou al capo di stato, l'ho detto a Belgrado, l'ho detto qui in giro: noi abbiamo la fortuna di poter eventualmente proporre non a qualcuno di riformarsi sul modello dell'altro ma, in fondo, di sparare come nemici contro il monopartitismo e contro il pluripartitismo proporzionalistico, per proporre l'estensione finalmente e il passaggio definitivo se possibile della Manica alla concezione classica della democrazia e dei sistemi elettorali democratici. Sapendo benissimo che il sistema elettorale, di per sé, non è né buono né cattivo; non è democratico o non democratico. Oggi noi possiamo nel cuore della primavera dell'impero sovietico o dell'ex impero soviet

ico in tutti i suoi stati, dire due cose: "attenzione, non fate un partito nazionale (lo stanno facendo) e non fate una riforma per la quale si passi dal monopartitismo al pluripartitismo proporzionalistico; fatene uno ancorato ai diritti individuali, legiferate poco e niente sul piano del diritto pubblico, e soprattutto limitatevi ad assicurarvi che attraverso la regola del gioco elettorale che si sceglie si vada a creare un modo di costituirsi in parte tendenzialmente bipartitico per evitare bipolarismi".

Il nostro approccio, la nostra storia, la fortuna e la sfortuna che abbiamo avuto ci danno una capacità di risposta e una capacità di suscitare domande che credo non ci sia in nessuna forma associata, non solo nei partiti ma nemmeno nelle trilaterali, nemmeno nei Club di Roma di oggi. Non c'è nulla perché tutto quello che i Club di Dakar, Brandt, eccetera, secernono è putrido prima ancora di venire alla luce, perché la sua destinazione è il cassetto, è un consumo di materia grigia.

Quando facciamo domande tali da suscitare risposte in un militare molto giovane del Burkina Faso, nel presidente Compaoré che di fronte a me che gli dico "accidenti, avete ammazzato questi sette" mi risponde: "dopo le cose che ci siamo detti in primavera non ho ammazzato i militari che si potevano ammazzare in flagranza, perché né farò l'occasione per rimettere in piedi le corti d'assise", dobbiamo renderci conto che suscitiamo delle risposte di una grandissima intelligenza, di una grandissima pertinenza: "ricomincio a ricostituire il diritto strutturato, organizzato".

E la nostra saggezza politica di quest'anno? Si fa strada: Dp, i Verdi, socialdemocratici, liberali, repubblicani, anche socialisti... (sappiamo perché è andata in crisi), il mondo democratico-cristiano, le cose che incredibilmente con stupida lucidità ripete De Mita ai nostri rappresentanti... "Ah, certo, se dipendesse da me!", grande stima! ma certo con stupida sincerità e inutilità... e poi però Martinazzoli, le altre cose...

Insomma siamo al centro della situazione politica del Palazzo senza per questo avere abbandonato una posizione molto aperta ai venti delle strade, delle piazza, dell'aria aperta.

Abbiamo impostato e, credo, acquisito in modo giusto l'approccio critico per reggere la radicalità del nostro rifiuto della scelta energetica nucleare ma senza chiusure da tabù: chi se la sente di escludere che si possa arrivare al nucleare sicuro? Io mi auguro che ci si possa arrivare anche se ritengo che non ci si può arrivare, soprattutto in un momento nel quale abbiamo sempre di più ormai chiaro che relativamente all'effetto serra e al buco nell'ozono il problema non è quello dell'energia nucleare ma di tutte le altre fonti energetiche che bruciamo.

Crepiamo di ragione, di buone ragioni e tutto è chiaro. Non solo, se ci distraiamo cinque mesi dalle carceri succedono degli arretramenti grossi sul piano della vita e della realtà delle carceri. Per due anni non parliamo di sterminio per fame nel mondo e quel povero pontefice è come se non ne parlasse più, non esistesse più. Sicuramente egli ne parla, ma i giornali non lo riferiscono.

Le proposte elettorali ci fioccano da tutte le parti; che problema c'è? Il problema è uno solo: la crisi del mondo contemporaneo in termini di crisi di società politica e delle istituzioni è dovuta non alla mancanza di intelligenze, non alla mancanza di rigori, di fantasie e anche in fondo a patrimoni come il nostro, ma a quello che Lenin ha cercato di risolvere ma ha risolto molto male.

Noi abbiamo avuto l'esaurimento dell'attualità di quel segmento di teoria della prassi, noi siamo l'azienda che ha prodotto nel modo più incredibile rispetto al rapporto costi e ricavi; in 500 abbiamo prodotto quello che in un milione e mezzo e con grande storia altri non hanno prodotto, e questo lo dobbiamo al fatto che abbiamo saputo cogliere l'essenziale nel convivere e nell'organizzarci, nel farlo di fronte alle rabbie, alle disperazioni, alle mode.

Questo strumento, sto dicendo da anni, quest'utensile, non è più adatto.

Già nell'80 abbiamo escluso per sempre la presenza del partito nelle municipali, e lo dobbiamo alla segreteria Rippa; poi, insieme approviamo il preambolo e quella decisione, teorizzandola. L'anno dopo teorizziamo - e sicuramente è il segreto per l'avvenire - lo sciopero del voto come esercizio di un diritto da organizzare, per la prima volta in qualche misura organizzato e che è poi l'anticipazione dello sciopero dei consumatori o dei fruitori magari dell'informazione. Abbiamo stabilito di non presentarci e poi ci siamo presentati per poter fare meglio la campagna dello sciopero del voto. Già quattro anni dopo essere entrati in Parlamento in Italia noi, alcuni di noi, cioè quasi tutti noi con tipi di coscienze diverse - ma alcuni con le idee da questo punto di vista chiarissime - abbiamo lavorato per la fuoriuscita dolce dalle istituzioni, ma soprattutto per la fuoriuscita dei radicali da quella larva che per essere dovuti entrare nelle istituzioni costituiva la nostra abitazione, nella quale eravamo crisal

idi... Ogni anno, compagni.

Quando Roberto dice "c'è la strategia...", ci ripenso e devo dire con troppa serenità, ma anche con il rammarico della serenità convinta, che purtroppo non è questo il problema. Magari; la sofferenza sarebbe minore. Siamo andati, sono andato preparando per quel che potevo fare io la fuoriuscita della crisalide all'interno del sistema politico per mutarlo e rivoluzionarlo anche attraverso la dinamica, i fatti energetici che scaturiscono dall'uscita della crisalide dal bozzolo. Quest'ultimo anno, abbiate pazienza - e qui raggiungiamo Gianfranco... - quest'ultimo anno c'è stata mese dopo mese l'edificazione prudente, lenta, decisa, nell'arco di nove mesi, di un progetto che ci ha fatto crescere enormemente nelle possibilità, ci ha portato in quella situazione sulla vicenda commissario Cee, ci ha dato il senso straordinario del nostro non isolamento nella coscienza, nella sensibilità di quasi tutti (la trasversalità delle età, delle culture, dei partiti, degli antipatizzanti, dei Giorgio Bocca Uniti).

Inciso: mi è arrivata una letterina - lo dico perché voglio ringraziarlo, in questo modo - di Franco Bonifacio, che mi scrive "ma perché mai mi consideri un nemico?" E' vero; Bonifacio da quando è stato presidente della Corte costituzionale ha sempre dimostrato molta attenzione. Abbiamo fatto dei passi avanti.

Anche il segretario del partito ci chiarisce questa sera un equivoco marginale ma consistentissimo di tutto quest'anno in cui miracolosamente siamo andati avanti. Perché abbiamo fatto Catania? Lo abbiamo fatto nel tentativo di riuscire a creare le premesse per determinare forse già a giugno in gran parte dei comuni italiani nei quali si faranno le elezioni, se lo vogliamo, la scomparsa oltre che del Partito radicale, di altri, magari di molti altri partiti in quanto tali.

Questo è un salto di qualità che abbiamo dinnanzi. Si passa dalla scomparsa del partito (e noi siamo gli unici che magari dovremo restare, ma invece per primi ci tiriamo fuori, ci facciamo fuori) perché non in quanto Partito radicale, non in quanto radicali ma in quanto semmai anche radicali - quante volte quest'anno ho ripetuto che noi possiamo solo essere anche radicali per realizzare una certa compiutezza della nostra vita civile in una città, in una regione e magari in un paese. Quando infatti sono arrivato a Trento, e mi dispiace che non c'è Franca Berger, e ho sentito "i radicali appoggiano la lista verde", io pubblicamente ho subito dichiarato "è una palla!": "lotto, ma non sono i radicali, non esiste che i radicali appoggiano la lista verde e magari Franca Berger, ma dei radicali operano in quanto sostenitori di questa formula non partitica". A Catania, tutti radicali; tutto lo stato maggiore del partito. Eppure dicevamo alla gente "non in quanto radicali, non solo in quanto Partito radicale, ma anch

e in quanto radicali".

Forse ce l'abbiamo fatta a fare questo percorso e, per mio conto, ce l'ho fatta. Per me questa è un po' la tragedia di questo partito; una tragedia minore, ma lo è: si è deciso a febbraio dell'anno scorso che alle elezioni nazionali e alle europee ci si presenta? Per me si è deciso altro, e dall'indomani ho cominciato a pensare e a muovermi, trovando maggiore slancio per Catania, per le regionali, per il discorso transpartitico anche italiano. Ci ho messo quattro mesi a convincere la maggior parte del gruppo dirigente che non c'erano più le doppie tessere. Prima avevamo due pere, adesso abbiamo una pera e una mela, quindi non è più doppia tessera: si è anche radicali, non puoi sommare.

A marzo mi sono impuntato: la transpartiticità dobbiamo sempre abbinarla alla transnazionalità, altrimenti non si capisce un cazzo! Ed è questo un modo per cercare di raggiungere in modo convergente attraverso la semplificazione del numero delle liste quel risultato che vorremmo raggiungere attraverso la riforma legislativa che è quella di due, tre o quattro partiti in quanto quattro forze. Ma questo vi pare il patrimonio da poco in nove mesi, compagni?

E, infine, il gesto di Giovanni: appena otto mesi fa per un radicale che si fosse iscritto al Psdi sarebbero stati lazzi... invece è stata capita subito e seguita con simpatia, con forza. Dentro al Psdi accadrà pure qualcosa!

Abbiamo acquisito che non si discute, inutile perdere tempo. Non ci presentiamo né alle europee né alle nazionali in quanto Partito radicale, in quanto radicali; non ci presentiamo! Saremo dove saremo, nel far nulla o nel fare cose eventualmente come anche radicali, come persone. E invece si dice fra 60 giorni al massimo bisogna decidere per le europee. Che significa? Se adesso ricominciamo a dire "è possibile", "non è possibile", "ma veramente così muore il partito transnazionale, vediamo un po' una piccola eccezione"...: l'abbiamo spiegato, io credevo che fosse chiaro: quando nell'estate scorsa, anzi a primavera, parlavo con La Malfa che diceva "alleanze" io rispondevo "no, più liste ci sono e meglio è": noi non ci possiamo presentare come partito... ma Dp da sola, i verdi da soli, vediamo se ci sono dissidenti verdi e radicali per fare un'altra lista. Non dobbiamo far passare la riforma elettorale che tutti, tutti avrebbero accettato.

Ma insomma questo lo abbiamo fatte assieme; solo io vedevo i legami di tutte queste cose?

Quante scelte abbiamo? A D'Amato lo aiutiamo finalmente a fare delle liste unitarie di pensionati perché 2-300.000 voti sono assicurati se sono unite. D'Amato è già deputato alla Camera e potrebbe dire agli altri che tanto separati si perde; e, alé, fuori un posto. Io, potrei divertirmi a fare delle liste antiproibizioniste, naturalmente mettendoci pochissimi radicali dentro perché lì la speranza e di farsi altri 300.000 voti... Stiamo attenti questa volta al Partito sardo d'azione... se non c'è delle cose diverse da fare. E dove sta scritto che alcuni di noi non hanno i titoli per essere candidati ed eletti nel Pri, nel Psdi, nel Pli a certe condizioni... Tu dici (riferendosi a Donvito che lo interrompe) che c'è la lotta al coltello. Bene, io ti significo che in alcune città italiane dove noi non abbiamo avuto né lotte al coltello con l'estero né nulla, i nostri giovani leader hanno stracciato i massimi leader dei partiti laici per esempio, li hanno stracciati ancorché quelli avevano miliardi e miliardi e a

ltre cose. Allora? Li hanno stracciati avendo un quinto o avendo lo stesso numero di voti come liste. Il voto di opinione alle europee c'è. E' una cosa che dobbiamo organizzare come partito? No! A questo mi rifiuto! Ho buttato quell'amo lì avendone parlato soprattutto con gli altri. Papà e mamma partito... Quanti sono stati i radicali che con convinzione hanno preso la doppia tessera? Tutti hanno vissuto il partito come papà e mamma. Io non ho avuto problemi perché ho avuto la fortuna che Bettino Craxi quella tessera non ha voluto darmela. In più adesso non ci sono più incompatibilità... Prima uno se era doppia tessera, al momento delle elezioni doveva scegliere, no?

Il problema è quello dello strumento, è quello dell'utensile. Se quando ho cominciato a dire di lasciare l'utensile lo avessimo fatto, probabilmente ne avremmo già ricostruiti altri cinque, con un atto di laicità. Ma il cretinismo istituzionale, nel quale cado anch'io... Sì, abbiamo ottenuto un po' di leggi, abbiamo fatto; ma per questo uno deve campare? Deputato o no, senatore o no, sottosegretario o no, ministro... abbiate pazienza!

Sugli altri problemi evocati avrei da parlare tanto tempo quanto ho parlato per cercare di spiegare... Ma certo è che se ogni volta che decidiamo qualcosa, se è l'unico problema importante è rimetterla in discussione, si dà per scontato che si deve ridiscutere... e porca la miseria! Così, in attesa di queste (europee) non si fatto un cazzo di quello che gente anche radicale avrebbe potuto fare, essendo anche altro che radicale.

Ora certo m'infervoro, so che bisogna lasciare tempo al tempo, che Catania c'è stata, che ho già detto Reggio Calabria, che ho già detto le altre cose...

L'utensile non va. Io non ho inteso la questione del finanziamento pubblico come l'ha intesa Sergio. Sergio lo ha detto per i motivi che ci ha spiegato, io l'ho raccolto per altri motivi: non raccontatevi cazzate, ma proprio non raccontatevele per niente, ma smettete di mentire su voi stessi, su ciascuno di noi! Per un anno, due, tre, quattro, cinque va benissimo, c'erano i soggetti autonomi e lo erano davvero, c'era stata la separatezza del gruppo e di quegli altri. Ma adesso abbiamo dovuto accettare noi una legge elettorale per la quale Radio Radicale diveniva organo di partito, cessava di essere soggetto separato per dargli i soldi come organo di partito, perdio! Accettando una legge che era diversa da quella che ci è stato detto quando ci è stata presentata, perché in realtà rappresentava un finanziamento di ben altra natura; una legge vomitevole quella sull'editoria, ma lasciamo fottere! Non vi raccontate cazzate e balle: l'utensile se va mantenuto comporta l'uso del finanziamento pubblico indiretto e d

i quello diretto! Sono sommario? Non ritengo di esserlo!

A questo punto ho detto che il segretario del partito si è mosso come uomo di verità dicendo quello che ha detto, poi, se l'ha detto per provocazione o no, non me ne frega nulla! Si può oggi dire a Montanelli "tu che oggi dici sciopero del voto, vai al diavolo, perché hai sempre scritto tutti i partiti e quando la battaglia c'era non l'hai tollerata". Certo ora si può parlare delle altre aree, certo qui la riflessione comincerebbe sul transnazionale: è vero, ma dovremmo allora tirarne fuori delle conseguenze e ricordare che allora forse non ero così coglione quando sembravo a tutti voi esagerato quando ponevo nei problemi della democrazia nel nostro paese, della certezza del diritto la ragione dello scioglimento.

Adesso cominciate a verificare che in realtà è forse più possibile fare lotta democratica in paesi come la Jugoslavia - e forse vedremo il Burkina Faso - che non nei paesi di "democrazia affermata", dove la mancata organizzazione del primo potere ha adesso totalmente vanificato le possibilità di lotta democratica. Ed è crisi storica. Se andiamo avanti, la Francia, per quel che riguarda la mia azione transnazionale e il partito, per me esisterà solo come oggetto, come luogo da occupare; la Francia è sicuramente il paese più inconsapevolmente sciovinista, ripiegato su sé stesso, impermeabile a grandi dibattiti e vaccinato contro ogni minimo di rigore e di integrità di tutta l'Europa; mentre qui le parole valgono parole come in Spagna son valse in un certo periodo... E' possibile che da qui vengano magari migliaia di iscritti ma io torno a dirvi che facciamo un altro partito, ve l'ho già detto altre volte, facciamo un altro partito e il giorno dopo è questo. Abbiate l'interruzione di un minuto, ma abbiatela per

ché quel segmento di teoria della prassi, quel partito è morto.

Non c'è e continuiamo ad averlo così. Poi lasciamo fottere le sensibilità diverse, gli amori diversi di ciascuno di noi per questa o quell'altra cosa, per le tesi alla Baget Bozzo o magari alla Galli della Loggia. Occorre un momento di rottura della continuità e dire "siamo un altro partito", quello lì ha fatto il suo tempo ed è stato grande.

L'autofinanziamento: ma non fatemi ridere... La serietà protestante, la serietà di gente rigorosa è quella di dare molti soldi alla propria chiesa e quindi alla propria attività, e questo ci sarà, ci dovrebbe essere e allora facciamo un appello per questo. Ma se noi avessimo condotto con maggiore consapevolezza l'azione degli ultimi otto, nove mesi, non solo faremmo nascere il transnazionale, il nuovo partito transnazionale, ma faremmo nascere in Italia il transpartito; se noi superiamo la scadenza delle elezioni europee nell'assoluto rispetto della mozione dell'anno scorso - mai l'emblema del nostro partito né l'equivalente, in elezioni nazionali ed europee che siano - se noi superiamo quella scadenza e poi molti di noi, 10, 20, 30, 2 sono eletti al Parlamento europeo, se siamo uniti, se non siamo tanto diversi da essere in fondo dei separati in casa, allora certamente avremo un gruppo di deputati federalisti, radicali, nonviolenti del Parlamento europeo più numeroso e senza aver avuto bisogno di essere ele

tti nelle stesse liste. E potremmo avere contrattato prima anche tanti soldarellini con quelli, "se sarò eletto"... A parte il fatto che se uno costituisce il gruppo nel Parlamento europeo in un certo modo quei soldi arrivano, ma mi riferisco ai rimborsi.

Se uno va, le prime condizioni che mette possono essere queste... "bene, bene, bene però voglio tot soldi che equivalgono alla quota di rimborso elettorale che probabilmente è giusto che io possa disporre anticipatamente". E allora dopo le elezioni europee noi potremmo avere davvero dei leader politici o del personale politico importante italiano che si iscrive dopo quella prova, che si iscrive al partito transnazionale piuttosto che all'internazionale socialista o a quella democristiana o a quell'altra che non c'è più perché essendo stati nella campagna per le europee compagni di battaglia è probabile che possano stare assieme magari nel partito transnazionale. E parlo a livello di molti deputati o persone.

Per il resto, Sahel, Est europeo, Jugoslavia, Ungheria e poi lì dove l'attività c'è, Portogallo eccetera; lì si deve far fronte. Ma occorre divenire ormai molto esigenti. Non credo che al prossimo congresso possiamo permetterci il lusso - visto quello che è successo con il nostro compagno consigliere della Grecia, con dei francesi - di commettere l'errore di eleggere compagni che magari non lo vogliono nemmeno soltanto perché, come diceva Zevi, nell'immediato dopoguerra nelle sezioni de Roma del Pci bisognava sempre presentare er compagno de Torpignattara e quell'altro bracciante de nun so dove, eccetera...

Dobbiamo andare al congresso per cambiare. Cosa vuol dire il cambiare lo vedremo. Io però torno a dirvi, e ho chiuso, non chiedetemi una cosa, perché non sono in condizione di darla: non chiedetemi di andare avanti senza rottura di continuità. Raddrizzare le gambe storte ai cani non è possibile: possiamo, posso serenamente accettare di far parte di un altro partito ma deve essere un altro partito, transnazionale, transpartitico... ma certe vecchie storie dobbiamo lasciarle. Ci siamo riusciti per 15 anni, poi abbiamo smesso. Altrimenti siamo quelli che hanno fatto l'autofinanziamento, ma figuratevi!

E' un'altra cosa, un'altra vita, un'altra storia; allora eravamo pochi radicali, il corpo, le teste, le mani che si univano; era un altra cosa. Più bella? Per carità! Era quella.

Lo stipendio, il non stipendio, la moglie, il marito: tutte erano cose diverse. Meglio? No, per carità! Dico che erano quelle.

 
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