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Taradash Marco - 1 febbraio 1989
Droga: verso la narcocrazia?
Marco Taradash

ITALIA - Giornalista, conduce da alcuni anni su Radio Radicale una seguitissima rassegna stampa dei quotidiani. Presidente del Consiglio Federale del Partito Radicale nel 1988, è tra i fondatori del CO.R.A.

SOMMARIO: Prodotta da una politica proibizionista sulle droghe, la narcocrazia si caratterizza per l'immenso potere che le organizzazioni criminali hanno acquisito, per la crescita sempre maggiore della violenza e per la seria minaccia alle libertà individuali.

("I costi del proibizionismo sulle droghe" - Atti del colloquio internazionale sull'antiproibizionismo, Bruxelles 28 settembre - 1 ottobre 1988 - Ed. Partito Radicale)

1. La mia vuole essere soltanto una introduzione alle relazioni e alla discussione di questo pomeriggio. Vorrei però dire alcune cose a partire dalla mia professione, quella di giornalista, e anche dal fatto che sono un cittadino impegnato nella vita politica. Ora, quella del giornalista e quella del politico sono condizioni che impongono entrambe, come loro statuto etico, lo sviluppo di una attitudine `generalista' - per usare le parole di Robert Jungk. Vale a dire la capacità di formarsi una visione generale delle cose da un lato, di avere una preoccupazione predominante per l'interesse generale dall'altro. Naturalmente questa non è una peculiarità dei giornalisti e dei politici, e l'esperienza sembra anzi suggerirci il contrario, ma è il loro `specifico' dover essere.

Ecco, ciò che a me pare particolarmente grave, e fuorviante, nel dibattito in corso in molti paesi del mondo sul problema delle droghe e del traffico clandestino, è proprio il rinchiudersi di ciascun protagonista in una visione chiusa, specialistica, settoriale del problema. Questo avviene regolarmente a livello ufficiale di governi nazionali o organismi di collegamento. Vediamo così elaborare strategie contro la tossicodipendenza, strategie contro la criminalità organizzata, strategie contro l'Aids, e via dicendo. Abbiamo visto di recente in Italia, per fare un esempio, come siano stati potenziati i poteri dell'Alto Commissario contro la mafia, cui oggi è consentito di ordinare intercettazioni telefoniche senza l'autorizzazione di un magistrato, di entrare e uscire dalle prigioni per colloqui confidenziali con i detenuti, di ordinare indagini bancarie, di acquisire fascicoli di processi ancora in corso, di usufruire della collaborazione dei servizi segreti, e altro ancora. Dall'altra parte il governo c

entrale e le autorità periferiche stanziano varie decine di miliardi per il recupero dei tossicodipendenti, ma si trovano in grave difficoltà per il fatto che molti di essi finiscono in prigione e non possono usufruire dei trattamenti previsti.

In questo modo, intervenendo ogni volta su un aspetto particolare del problema senza mettere in questione il quadro globale in cui si manifesta la patologia criminale o medico-sociale, ci si proibisce di vedere quello che un colpo d'occhio `generalista' consente invece di svelare: ovvero che il fenomeno della droga oggi è un fenomeno complesso, per le sue interconnessioni di carattere economico, criminale, medico e medico-sociale, per le ripercussioni sempre più forti sulla vita politica di singoli paesi e sulle relazioni internazionali.

2. Sorprende così il rifiuto di trarre le conseguenze logiche da analisi che, se non fossero lette in chiave specialistica, sarebbero di grandissima utilità per avviare a soluzione i problemi posti dall'attuale politica proibizionista. Citerò alcuni passaggi dal più recente rapporto dell'Organo internazionale di controllo degli stupefacenti: ``L'uso delle droghe illegali, tanto naturali che sintetiche, ha conosciuto una crescita così rapida negli ultimi vent'anni che minaccia oggi tutti i paesi e tutti gli strati sociali. Il fenomeno non è proprio né dei grandi centri urbani, né degli intellettuali o degli analfabeti, dei ricchi o dei poveri: si è diffuso ormai dappertutto, nelle scuole, sui luoghi di lavoro, nel tempo libero, nello sport''. E si aggiunge: ``La produzione e la fabbricazione clandestina di droghe tocca un numero crescente di paesi, in numerose regioni del mondo. Tali attività, che raggiungono proporzioni allarmanti, sono finanziate e dirette da organizzazioni criminali che hanno ramifica

zioni internazionali e beneficiano di complicità nel sistema finanziario. I grossi trafficanti di droga utilizzano spesso dei canali impiegati da importanti società multinazionali assolutamente legali. Avendo a disposizione fondi pressoché illimitati, i trafficanti corrompono i funzionari, diffondono la violenza e il terrorismo, influenzano l'applicazione delle convenzioni internazionali per la lotta contro la droga e esercitano nei fatti un vero e proprio potere politico ed economico in molte regioni del mondo''.

E' la descrizione di una nuova forma di governo, la peggiore mai immaginata, la Narcocrazia. Ma noi sappiamo che le conclusioni dell'Onu non sono all'altezza di queste premesse e che ci si avvia a rinnovare le Convenzioni fallite del 1961 e del 1971, aggravandole con un armamentario repressivo che non scalfirà le potenze criminali ma limiterà le garanzie liberal-democratiche in molti paesi.

Fin qui l'Onu. Leggiamo il documento approvato nello scorso luglio al vertice di Toronto dei sette paesi più industrializzati del mondo: ``Il consumo illegale e il traffico illecito di sostanze stupefacenti pone gravi rischi alle popolazioni dei paesi del Vertice, nonché a quelle dei paesi produttori e di transito. Vi è un'urgente necessità di migliorare la cooperazione internazionale in tutte le sedi competenti sui programmi per combattere tutti gli aspetti del problema delle sostanze stupefacenti illecite...''. Una premessa incoraggiante che avrebbe potuto portare a conclusioni analoghe a quelle di molti dei partecipanti a questo Colloquio se non fosse subito dopo smentita per l'irruzione del vizio specialistico: ``... in particolare la produzione, il traffico e il finanziamento del commercio della droga''. Un altro documento recente, il rapporto sugli stupefacenti del Dipartimento di Stato Usa dichiara che ``la produzione, il consumo e il traffico sono fuori controllo, oltre le capacità di ogni singo

lo governo di sopprimerli'' e aggiunge che ``i trafficanti di droga possono usare i loro miliardi per corrompere e perfino per acquistare i governi dell'emisfero occidentale''. Nel 1986 una commissione d'inchiesta del Parlamento europeo, relatore il conservatore inglese Stewart Clarck era giunta alle stesse conclusioni affermando fra l'altro che il traffico di droghe illegali è sfuggito talmente al controllo che le droghe sono in realtà in libera vendita. Conseguenze tratte da entrambi i gruppi di lavoro: proseguire sulla strada fin qui adottata. Ed ecco negli Stati Uniti le leggi che reintroducono la pena di morte a livello federale, le proposte di utilizzare l'esercito, i progetti di coordinamento fra Europa ed Usa.

Insomma, una questione di ordine morale e penale si è gravemente gonfiata fino a diventare un problema primario di ordine geopolitico e nessuno vuole accorgersi di questo.

3. Ecco una situazione che non vado a trarre dalle disavventure di qualche Banana-Republic, ma che appartiene al cuore dell'Occidente democratico, capitalista e industriale. In alcune regioni italiane, come la città di Napoli e il suo circondario, la Calabria, la Sicilia, l'introduzione del traffico di eroina (e oggi anche di cocaina) e i relativi profitti hanno aumentato negli ultimi anni in misura terrificante il potere e l'arroganza di mafia, camorra e 'ndrangheta, le tradizionali organizzazioni criminali. Negli ultimi dieci anni sono stati uccisi in Sicilia successivamente il segretario provinciale della Dc di Palermo, un cronista giudiziario palermitano, il capo della Squadra Mobile di Palermo, un giudice palermitano deputato al parlamento e membro della Commissione Antimafia, il presidente democristiano della regione, il comandante dei Carabinieri di Monreale, il procuratore della Repubblica di Palermo, il segretario regionale del Pci, un perito del Tribunale di Palermo, il più autorevole e famoso

generale dei Carabinieri, cui erano stati affidati poteri speciali nella lotta alla mafia, un sostituto procuratore della Repubblica di Trapani, il nuovo comandante dei Carabinieri di Monreale, un giudice istruttore del Tribunale di Palermo, un giornalista catanese, un commissario palermitano capo della squadra speciale antimafia, un vicequestore palermitano, un ex sindaco di Palermo e altre migliaia di persone. Solo nelle ultime ore a questa lista si è aggiunto un ex presidente del Tribunale di Trapani, un giudice del Tribunale di Palermo e un ex leader del '68 italiano, fondatore di una comunità terapeutica libertaria, che da tempo conduceva una campagna giornalistica contro i boss politici e mafiosi coinvolti nel traffico di eroina. La mafia siciliana è oggi un'organizzazione capace di muoversi all'interno di uno stato democratico come un esercito clandestino, utilizzando le tecniche della guerriglia da una parte, quelle della corruzione sistematica dall'altra.

Sempre più feroce è anche la lotta fra i gruppi rivali per controllare il ricco bottino: nel 1987 in Calabria, regione controllata dalla 'ndrangheta, ci sono stati 204 omicidi volontari, con un aumento del 47,8% rispetto all'anno prima. Gran parte della regione sfugge al controllo delle autorità statali. Una recente relazione del Consiglio superiore della magistratura ha parlato di ``ulteriore aggravamento della situazione per ciò che attiene alle condizioni economico-sociali, all'aumento smisurato e incontrollabile delle manifestazioni di criminalità organizzata, al degrado del costume, all'espansione dell'area di illegalità diffusa anche in tutto il settore della pubblica amministrazione''.

Non diversa la situazione in molte zone della popolosissima periferia di Napoli, dove nel corso dell'anno le lotte fra le famiglie camorriste che si contendono il controllo del territorio hanno provocato circa un omicidio ogni due giorni.

In effetti in gran parte del Mezzogiorno d'Italia le organizzazioni criminali, grazie proprio agli enormi proventi del traffico di droga, si configurano sempre più come le vere e proprie holding di imprese che agiscono e investono in tutti i settori della economia legale. Sia in Sicilia che in Calabria, che in Campania esiste una stretta interrelazione fra il controllo del traffico della droga e le destinazioni del flusso della spesa pubblica.

E' stata tentata un'analisi di questa economia parallela: il principale quotidiano economico italiano, Il Sole 24 Ore, di proprietà dell'Associazione Industriali, ha calcolato in circa 50.000 miliardi il fatturato annuo dell'industria criminale italiana, di cui 35.000 relativi al commercio della droga che entra in Italia. Una cifra che si avvicina al fatturato della prima impresa privata italiana, la Fiat. A tale cifra andrebbero aggiunti i ricavi della mafia italiana che opera a livello internazionale, come intermediario fra i paesi produttori di oppiacei e i paesi consumatori dell'Europa del Nord e del Nordamerica.

4. Riassumo. Il traffico della droga è dunque un'arma puntata contro l'intero pianeta. Abbiamo visto che lo riconoscono documenti ufficiali di singoli governi, indagini della Comunità Europa, i rapporti dell'Organo di controllo sugli stupefacenti dell'Onu. Eppure nessun governo ha avuto fino ad oggi il coraggio di modificare la politica di repressione penale del consumo e del commercio delle droghe. Ammettere il fallimento del proibizionismo significherebbe per molti riconoscere un errore quasi trentennale, continuare nella politica di proibizione giustifica il passato e consente al tempo stesso di conservare gli eccezionali privilegi economici e di status che le organizzazioni sovranazionali e i singoli stati assegnano ai professionisti dell'antidroga. Oggi nel mondo gli enormi capitali che la criminalità organizzata ricava dall'industria della droga sono diventati la principale fonte di violenza, corruzione e degrado sociale, e al tempo stesso un gravissimo ostacolo allo sviluppo delle potenzialità de

lle zone più povere del mondo e di quelle situate all'interno dei paesi industrializzati. I profitti della droga sono tali che col bilancio di due o tre anni di questa industria verrebbe estinto l'intero debito estero dei paesi in via di sviluppo, che assomma a poco più di mille miliardi di dollari. Il denaro della droga invade gli istituti della società civile, le banche, la Borsa, le attività economiche legali ed illegali, si trasforma in corruzione, ricatto, violenza armata nei confronti delle istituzioni giudiziarie e politiche.

Il denaro della droga alimenta la criminalità, la criminalità alimenta il mercato della droga. Il numero di tossicodipendenti da eroina aumenta di anno in anno, perché ogni nuovo arrivato è costretto, per pagarsi la dose quotidiana, a diventare il commesso viaggiatore dell'eroina. Oppure a rubare, uccidere, prostituirsi. Dalla Germania agli Stati Uniti, dalla Spagna all'Italia, dal Canada alle megalopoli latino-americane, il traffico della droga viene indicato come l'origine della grande maggioranza dei reati penali, fino all'80% dei furti, delle rapine, degli scippi e degli omicidi. Ogni anno sono milioni nel mondo le vittime di una violenza insensata, che non appartiene alla natura né della droga né dei drogati, ma ad una necessità imperiosa di denaro, provocata da una legge folle e disumana. Milioni di persone senza voce, per le quali non vale l'imperativo cristiano o umanitario di porsi dalla parte delle vittime. Un prezzo di violenza che i vari Stati sono disposti a far pagare in nome dell'idea ast

ratta e velleitaria della guerra alla droga. E' il denaro di questi milioni di contribuenti anonimi che va ad arricchire e rendere sempre più forte e invincibile lo stesso nemico che la proibizione vorrebbe debellare e la cui potenza invece non riesce neppure a scalfire.

5. Pongo infine, sotto forma di asserzioni, le domande cui questa parte della discussione è chiamata a dare le prime risposte. La legalizzazione della produzione, commercio e vendita delle droghe oggi proibite, dalla marijuana all'eroina alla cocaina, avrà l'effetto di equiparare queste sostanze a droghe già legalizzate - almeno in molti paesi - come l'alcool (dal vino ai superalcolici) e il tabacco. Il loro prezzo diminuirà del 99% e sarà compito dello Stato fissare delle tasse adeguate per scoraggiarne il consumo e garantirne al tempo stesso la qualità, in modo da ridurne al minimo gli effetti dannosi, compresa l'infezione da Aids o altre malattie. La mafia internazionale subirà una sconfitta che neppure la coalizione di tutti gli eserciti dell'Est e dell'Ovest è oggi in grado di imporgli, perdendo d'un tratto la fonte essenziale della sua ricchezza e la causa della sua invincibilità. La legalizzazione cancellerà da un giorno all'altro la ragion d'essere di milioni di atti di violenza compiuti ai dann

i di persone per lo più deboli e indifese. Libererà forze dell'ordine e magistratura dal peso di questi reati dando automaticamente ad esse efficienza e capacità di intervento a tutela della sicurezza della cittadinanza. Renderà disponibili, per campagne di dissuasione e per il recupero dei tossicomani somme enormi attualmente spese in una inutile caccia all'uomo.

Oggi la violenza nelle città del mondo è figlia del Proibizionismo sulle droghe, come avvenne già per l'alcool nella Chicago di Al Capone. Ma il Proibizionismo che fallisce è diventato una minaccia mortale per la vita dei singoli, le libertà, la pace, il diritto degli Stati e lo stato di diritto, messo a repentaglio da leggi sempre meno rispettose dei diritti umani (a cominciare dalla reintroduzione della pena di morte in molti stati che l'avevano abolita) e delle garanzie processuali.

 
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