Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
gio 16 mag. 2024
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Archivio Partito radicale
Alexander K. Bruce - 1 febbraio 1989
Alternative per la guerra alla droga
Bruce K. Alexander

CANADA - Docente di psicologia alla Simon Fraser University di Burnaby, in British Columbia. E' specializzato in ricerche sulla tossicodipendenza e membro del Concerned Citizens Drug Study and Education Society di Vancouver, un'associazione di cittadini che opera contro l'emarginazione sociale, la restrizione delle garanzie legali e la brutalità della repressione di polizia cui rimane vittima il tossicodipendente. E' un attivo animatore della Drug Policy Foundation di Washington e fa parte del suo consiglio consultivo. Ha scritto di recente un libro sulle alternative al proibizionismo intitolato ``Misure pacifiche - alternative canadesi alla guerra alla droga''.

SOMMARIO: Il "problema della droga" trova origine dalle profonde inquietudini della società. Non può essere quindi risolto attraverso soluzioni belliciste. L'autore propone delle regolamentazioni locali piuttosto che rigide normative statali, la diffusione di una onesta e completa informazione piuttosto che una propaganda allarmistica e, infine, delle modificazioni dei modelli di vita piuttosto che il trattamento forzato del cosiddetto malato.

("I costi del proibizionismo sulle droghe" - Atti del colloquio internazionale sull'antiproibizionismo, Bruxelles 28 settembre - 1 ottobre 1988 - Ed. Partito Radicale)

Nel Canada e negli Stati Uniti la regolamentazione dell'alcool ha seguito tre fasi. In un primo periodo, durato dai primi insediamenti europei fino al 1840 circa, l'alcool era considerato come un prodotto utile. Il suo consumo era regolamentato principalmente dalla coscienza individuale e dalle abitudini locali. Nella seconda fase, cominciata intorno al 1840, l'alcool diventa ``la diabolica acquavite'', e gli viene attribuita l'origine di gran parte dei problemi sociali del XIX secolo. Questa fase culmina nella proibizione nazionale violenta dell'alcool in tutti e due i paesi, circa all'epoca della Prima Guerra Mondiale. La terza fase inizia con il fallimento e l'abrogazione del proibizionismo e continua fino ad oggi.

Questo terzo periodo non è un semplice ritorno alla prima fase. Al contrario, le scelte individuali e le abitudini locali sono adesso sorrette da severe normative sulla vendita di liquore appoggiate dal controllo federale sul sistema di lavorazione e distribuzione che si estende aldilà del livello locale. La terza fase non è un'utopia, ma i suoi benefici sono considerevoli rispetto alle altre due: la gente beve, ma gli eccessi e la violenza sono ridotti al minimo.

La regolamentazione delle altre droghe psicoattive sembra stia seguendo lo stesso tipo di sviluppo in Nord America e forse anche in Europa. Attualmente stiamo vivendo il violentissimo momento culminante della seconda fase, il proibizionismo. La fase che stiamo vivendo è caratterizzata da tre elementi: severe leggi proibizioniste, una propaganda incessante (spesso definita ``educazione antidroga'') che dà legittimità a queste leggi e l'imposizione ai consumatori di droga di trattamenti professionali di disintossicazione. Questi tre elementi hanno raggiunto tali estremi di violenza e irragionevolezza che il ritrito luogo comune della ``Guerra alla Droga'' è ormai diventato anche troppo preciso.

Leggi, propaganda e trattamenti di disintossicazione hanno tutti fallito. Non prenderò qui in esame le prove di questo fallimento, poiché questo è già stato fatto da importanti studiosi, molti dei quali presenti a questa conferenza.

Nel Nord America il pubblico dibattito sulla politica per la droga sembra essersi bloccato sulla futile argomentazione se si debba o meno ridurre il sistema di repressione penale a favore di ``educazione antidroga'' e di trattamenti di disintossicazione. Ma tutte e tre queste strade sono state ampiamente tentate nel corso di questo secolo e hanno dimostrato di non avere successo, a dispetto della sincerità e dello zelo di chi le proponeva. Tutte e tre si basano sugli stessi falsi presupposti e tutte e tre devono essere sostituite.

Io esaminerò le alternative ad ognuno dei tre elementi della Guerra alla Droga. La mia tesi principale è che le alternative più promettenti si trovino considerando i problemi connessi alla droga come normali problemi sociali piuttosto che come problemi straordinari che richiedono interventi violenti.

Devo chiedere a chi mi segue di non aspettarsi troppo. Anzitutto, nulla di quello che proporrò è originale, al contrario, il punto essenziale è che i problemi della droga richiedono misure note e ordinarie piuttosto che straordinarie o da stato di guerra. C'è gente in tutto il mondo che sta utilizzando oggi attivamente delle alternative ordinarie e che sta documentando la loro efficacia.

In questa breve esposizione posso portare solo alcuni esempi di queste alternative.

C'è poi un avvertimento finale da fare: alcune delle alternative che proporrò non avranno senso in Europa. Il consumo della droga è una questione di stile di vita, morale e gusto. In queste faccende, scelte e atteggiamenti che abbiano un senso devono essere locali, non imposti dagli Stati Uniti, dalle Nazioni Unite, dal Parlamento Europeo e, certamente, non dal Canada. Ciononostante cercherò di affermare alcuni principi di base che possono avere un'applicazione generale.

PROIBIZIONISMO. L'alternativa alla proibizione universale non è la legalizzazione universale paventata dai guerrieri della crociata antidroga. La chiave dell'alternativa sta piuttosto in un ritorno al controllo locale, sia legale che penale, in modo che i comuni, le province e le nazioni possano sviluppare metodi per il controllo della droga che si adattino ai loro gusti, alle loro idiosincrasie e alle loro tradizioni di libertarismo.

I controlli locali sulla droga possono essere efficaci perché riflettono il sentimento del gruppo, piuttosto che un'autorità distante ed arbitraria. Sono rapidi da cambiare se dimostrano di funzionare male perché le procedure per modificarli sono molto meno macchinose in una comunità locale che in organizzazioni statali ed internazionali. Le punizioni che possono comportare i controlli locali sono per forza più miti di quelle che caratterizzano l'attuale ``Guerra alla Droga'' perché le autorità locali non hanno a disposizione forze imponenti.

Il vantaggio del controllo locale rispetto alla legalizzazione totale consiste nel fatto che questo tipo di controllo riconosce il fatto ineluttabile che la società umana esercita dovunque una qualche forma di controllo sullo stile di vita dei singoli. Nonostante il romanticismo implicito nelle filosofie libertarie, non esiste una società che non eserciti un controllo di qualche tipo sullo stile di vita.

Il ruolo del governo federale in un sistema di controllo di questo tipo sarebbe limitato a quelle funzioni che non possono essere assolte localmente, per esempio far rispettare gli standard di qualità delle droghe importate, regolare la pubblicità o definire delle libertà costituzionali minime che non potrebbero essere toccate nemmeno dalle leggi locali. Tra queste libertà garantite federalmente potrebbe essere compresa, ad esempio, quella della lavorazione in casa di bevande alcooliche o altre droghe per uso personale, a seconda dei valori e delle tradizioni della nazione in questione.

I pregi della legalizzazione possono essere illustrati dall'esempio della liberalizzazione della marijuana nello stato americano dell'Alaska, che confina con la provincia canadese della Columbia Britannica, dove risiedo. L'Alaska ha sostituito la proibizione della marijuana con la legalizzazione nel 1975. L'Alaska è l'unico degli Stati Uniti dove il possesso di una quantità di marijuana fino a 4 once e la sua coltivazione per uso personale non comportino sanzioni penali. Il possesso di quantitativi maggiori resta illegale, benché le pene siano relativamente miti rispetto agli standard americani.

Nonostante che i promotori americani della guerra alla droga vedano questa scelta politica con allarme, sembra che stia funzionando bene e dal 1975 non è più stata votata la reintroduzione della proibizione di droga in Alaska, a dispetto delle audizioni annuali di un comitato apposito sulla situazione. Persino gli agenti di polizia dell'Alaska, nelle loro più recenti dichiarazioni davanti a questo comitato hanno detto di non ritenere particolarmente problematico lo stato attuale delle cose. Il senso delle testimonianze dei poliziotti è stato che non si sarebbero opposti alla reintroduzione della criminalizzazione della marijuana in armonia con le leggi degli altri stati, ma che non si sarebbero sentiti giustificati nell'applicare le sanzioni di una legge di proibizione della droga, se questa fosse stata votata, dato che non gli sembrava che la marijuana ponesse un problema di polizia (Funk, 1988, comunicazione personale). Non ci sono prove di un flusso di persone immigrate da altre giurisdizioni per avv

antaggiarsi della disponibilità di marijuana.

In alcune contee la piena legalizzazione della marijuana per uso personale è affiancata dalla proibizione della vendita di alcool (Zeese, 1987). Solo il passar del tempo potrà dire se queste inusuali disposizioni siano utili per i bisogni dell'Alaska e del suo particolarissimo habitat, ma se non dovessero rivelarsi tali gli elettori locali penseranno a cambiarle rapidamente. Naturalmente è altrettanto ragionevole che le contee bandiscano l'uso della marijuana e ammettano l'alcool, sempre che questo sia fatto con la stessa disponibilità a cambiare la legge se non funziona.

PROPAGANDA. Non si potranno avere cambiamenti nelle leggi che criminalizzano la droga se non ci saranno prima dei cambiamenti nel massiccio tam tam propagandistico della guerra alla droga. L'alternativa all'attuale propaganda sulla droga sta nella verità senza deformazioni. Questo significa necessariamente dire la verità tutta intera: parlare dei benefici delle droghe oltre che dei loro costi e pericoli; dire che la maggioranza della gente fa uso moderato di droghe e che solo una minoranza ne è assuefatta; raccontare le condizioni nelle quali l'uso di droghe è relativamente sicuro oltre quelle in cui è rischioso. E, cosa più importante di tutte, la verità tutta intera getta immediatamente il discredito sull'attuale convinzione completamente priva di fondamento secondo la quale le droghe sono una causa fondamentale dei problemi della società.

La gente può ragionevolmente dare il meglio quando ha a disposizione il massimo delle informazioni per guidare le sue decisioni. Benché la validità di informazioni corrette sia fuori discussione in molti ambienti, la mentalità proibizionista è progredita al punto che dire alla gente la verità sulle droghe appare come pericoloso e sovversivo.

Diffondere la verità e responsabilità di chi riesce a vedere la falsità della propaganda. In particolare, la colpa della disinformazione pubblica ricade soprattutto sugli accademici, sugli operatori dei media e sui politici che hanno i mezzi per conoscere la verità e la credibilità per diffonderla. Molti non saranno disposti a pagare il prezzo per aver parlato chiaramente, ma quelli che lo faranno potranno sperare di trovare sempre più ascoltatori via via che il pubblico si stanca della banale propaganda.

Diciotto anni di insegnamento universitario sulla politica canadese in materia di droga alla Simon Fraser University mi sono serviti per sperimentare personalmente il modo con cui la gente reagisce ad informazioni non deformate sulle droghe. Ho basato strettamente le mie lezioni sulla letteratura standard di storia, medicina, legge e psicologia, ma non ho mai esitato a gettare la verità in faccia alla dottrina prevalente della guerra alla droga.

All'inizio molti degli studenti ne erano stati sconvolti, ma in seguito si sono detti lieti di aver imparato che, una volta riportati alla luce fatti normalmente nascosti, gli era possibile comprendere le droghe in un modo nuovo e più produttivo. Molti studenti hanno espresso la loro indignazione per la cortina fumogena della propaganda che prima gli aveva impedito di avere una chiara veduta su un argomento di questa importanza. Nel corso degli anni solo un piccolo numero di studenti ha rifiutato il mio corso ritenendolo pericoloso e sedizioso.

Gli studenti che frequentano il mio corso sulla droga non diventano dei tossicodipendenti o dei depravati per essere entrati in contatto con idee nuove. Personalmente non ho raccolto dei dati sistematici, ma Arnold Trebach, che ha un corso simile al mio nei contenuti, ha fatto delle ricerche sugli effetti del suo insegnamento all'Università. Le risposte ai suoi questionari indicano che in linea di massima l'uso personale di droghe da parte dei suoi studenti non è stato influenzato dal corso. Per quanto riguarda coloro che hanno dichiarato di averne avuto degli effetti, il 2,8% ha detto di aver aumentato l'uso di sostanze stupefacenti e l'11,3% di averlo diminuito. In due casi il corso di Trebach, unitamente a dei consigli personali, sembra abbia aiutato degli studenti a controllare dei seri problemi di droga.

Il ruolo dei docenti dotati di consapevolezza è perfettamente chiaro: dobbiamo insistere e continuare a ricercare la verità e a stimolare la mente dei giovani con idee socialmente non convenzionali. Questa tradizione è troppo forte per essere sradicata senza obiezioni, ma gli accademici sono capaci di lasciarla silenziosamente scivolar via in cambio di meschini vantaggi.

Naturalmente, non è possibile che le università da sole riescano a riportare la ragionevolezza su questo soggetto. E' opinione generale che i mass media siano quelli che fondamentalmente determinano le idee della gente. In Nord America essi sembrano essersi impegnati con la mentalità della guerra alla droga. Ovviamente, questa guerra non avrà fine fino a che i mezzi di comunicazione non cambieranno linea. A questo punto, chi spera di porre fine alla guerra alla droga deve resistere alla disperazione, poiché il controllo dei mass media sembra avvenire in una stratosfera burocratica che i comuni mortali non possono penetrare.

Può darsi, però, che un inizio di cambiamento stia cominciando ad apparire in una delle parti più improbabili dei giornali: i fumetti. Alcuni temi affrontati recentemente in alcune strisce comiche americane come DooNesbury, Bloom County, Kudzu e Tank McNamara dimostrano che nell'America del Nord è possibile ridere pubblicamente della guerra alla droga. A questo punto l'humor potrebbe essere l'unica apertura nelle comunicazioni di massa nella quale si può sperare per screditare la propaganda della guerra alla droga.

CURA. Oggi moltissime persone che fanno uso di droghe illegali sono costrette a seguire dei trattamenti di disintossicazione. Alcuni dei ``trattamenti'' professionali non sono altro che programmi di controllo del comportamento mascherati da terapia mentre altri sono più convenzionali e destinati ad essere di aiuto. Le statistiche provano che nessuno dei due tipi di cura è efficace.

La ragione principale del fallimento delle cure è che anche i tossicodipendenti più gravi non sono dei malati, ma piuttosto delle persone che si adattano a situazioni disperatamente dolorose nel modo migliore di cui sono capaci. Ovviamente delle persone che si adattano con i mezzi migliori a disposizione non possono essere curate perché non sono malate. Questo punto di vista sulla tossicodipendenza come strumento di adattamento è stato sviluppato da molti studiosi contemporanei, tra cui Herbert Fingarette, Alan Marlatt, Stanton Peele, Isidon Chein, R.K. Merton e Edward Khantzian, oltre che da me e dai miei collegi in Canada.

L'alternativa ai trattamenti professionali richiede la ridirezione degli sforzi degli addetti ai lavori. Gli esperti non possono curare chi non è malato, ma possono aiutare chi fa uso di sostanze stupefacenti a capire che potrebbero affrontare i normali problemi dell'esistenza con rinnovata energia se riducesse il consumo della droga a livelli non nocivi per sé e per la società. Inoltre, ed è ancora più importante, gli esperti potrebbero aiutare a delineare ed avviare dei cambiamenti sociali che rendano le istituzioni e l'ambiente più abitabili, in modo che sempre meno persone trovino nell'uso eccessivo di droga l'alternativa più attraente. Molti esperti e molte organizzazioni comunitarie stanno lavorando oggi in Canada e in tutto il mondo per raggiungere questo obiettivo.

Illustrerò tre esempi in Canada. Uno riguarda un'organizzazione nazionale di assistenti volontari, un altro un movimento per il miglioramento della salute e e il terzo è la risposta di un gruppo di nativi indiani al problema cronico dell'alcoolismo.

La Canadian Intramural Recreation Association (CIRA) ha lanciato un programma nazionale per allargare la partecipazione agli sport indoor in Canada. Ritenendo che gli sport contribuiscano in modo rilevante allo sviluppo della salute, della sicurezza di sé e dell'abilità, la CIRA affronta il fatto che le tradizionali scuole di atletica finiscono per escludere persino dagli sport indoor la maggioranza dei ragazzi in età scolastica che non sono in grado di raggiungere livelli molto alti.

La CIRA ha sviluppato un programma di addestramento per insegnanti e studenti destinato a far crescere organizzatori studenteschi che promuovano sport indoor in modo da moderare la competitività e focalizzare l'attenzione sulla massima partecipazione, l'esercizio e il divertimento (CIRA, 1985). Fin dalla sua introduzione nel 1985 questo programma ha avuto ottimi risultati di partecipazione studentesca, sia nell'organizzazione che nell'attività sportiva vera e propria. Oltre mille scuole canadesi hanno aderito all'iniziativa. Questo programma, benché non rivolga alla droga una specifica attenzione, ha un ovvio potenziale per la riduzione del suo uso e della tossicodipendenza, ed è del tutto estraneo alla mentalità repressiva della guerra alla droga.

Il CIRA, però, riceve un aiuto minimo dal governo federale. Per andare avanti nel suo lavoro si appoggia su lavoratori volontari e sui finanziamenti di gruppi di sponsor privati. C'è una sorta di crudele ironia nel fatto che il governo canadese elargisca centinaia di milioni di dollari per inutili iniziative di guerra alla droga e non dia aiuto a programmi già esistenti che potrebbero migliorare veramente quel problema che la guerra alla droga pretende di risolvere.

Se ci si vuole confrontare pienamente con l'argomento in questione bisogna affrontare un livello più approfondito di analisi. L'uso pericoloso di droghe non è un problema interamente individuale. La gente che si mette nei guai con la droga è resa più vulnerabile da quei gravi malesseri e scontento che vengono dall'essere in difficoltà che non si riesce a superare da soli. Un fisico in buona salute e un comportamento sociale accettabile vengono naturali a chi vive in un ambiente fisicamente ed emotivamente sano e sono invece molto più difficili da raggiungere per chi non ci vive.

La centralità di questi fatti è stata affermata alla Prima Conferenza Internazionale per lo Sviluppo della Salute nei Paesi Industrializzati che si è tenuta ad Ottawa alla fine del 1986. Questa conferenza, promossa dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, si basava sull'affermazione che tra i presupposti essenziali per la salute (compreso un uso responsabile delle droghe) ci fossero pace, ricovero, cibo, reddito, un ecosistema stabile, solide risorse, giustizia sociale ed uguaglianza.

Naturalmente risolvere questi problemi è terribilmente difficile, ma, dal punto di vista dello sviluppo della salute, la tossicodipendenza e molti altri problemi sanitari collegati potrebbero almeno essere migliorati se si impegnasse il denaro sprecato nell'inutile guerra alla droga in programmi che rendano meno probabile che la gente faccia un uso eccessivo di stupefacenti: insegnare a leggere e scrivere, dare ricovero ai giovani senza casa, fornire una refezione scolastica a ragazzi troppo affamati per imparare, sistemare le richieste territoriali che lasciano nel limbo qualsiasi possibilità di promozione sociale ed economica di tante comunità di nativi, cercare opportunità decenti di lavoro per gli adolescenti, finanziare i programmi di sviluppo economico delle comunità, e così via.

Lo stesso giorno in cui è stato scritto questo paragrafo il Vancouver Sun ha riportato la notizia che la città di Vancouver ha respinto una mozione per lo stanziamento di fondi destinati a fornire il pranzo nelle scuole cittadine, a dispetto del fatto che una stima valuti a 600 il numero dei bambini che vanno a scuola affamati ogni giorno a Vancouver (Cox, 1988). Questi finanziamenti sono stati negati anche dai governi federale e provinciale, apparentemente con la giustificazione in entrambi i casi che la responsabilità spettasse all'altro livello di governo o ai genitori bisognosi. Nel frattempo i 600 bambini hanno ancora fame ed è probabile che apprendano un numero più basso di quelle nozioni scolastiche e sociali necessarie per raggiungere l'integrazione sociale e personale. Contemporaneamente, si fanno più alte le probabilità che si rivolgano come sostituti alla devianza e alla tossicodipendenza.

L'esempio migliore che conosco di una efficace risposta comunitaria ad un problema di assuefazione viene dalla riserva indiana del Lago Alkalai nella Columbia Britannica. Qui, un insieme di iniziative locali, gruppi di self-help e interventi di esperti controllati localmente applicati dai primi anni Settanta ad oggi ha portato sobrietà ed armonia in una comunità in cui alcoolismo, violenza, maltrattamenti ai minori, stupri, incidenti e malattie erano all'ordine del giorno. La campagna comprendeva un aiuto socialmente organizzato a chi smetteva di bere e consisteva nel dare un alloggio ai membri delle bande che volevano continuare a studiare, ripristinare pratiche spirituali indigene, reintrodurre attraverso la scuola la lingua locale, sospendere l'erogazione di assegni di sussistenza per gli alcolizzati dando in cambio dei tagliandi che non potevano essere scambiati con alcool, offrire agli autori di piccoli reati la scelta tra essere giudicati e smettere di bere, perseguitare i contrabbandieri, creare

nuovi posti di lavoro aprendo nella riserva una segheria ed un magazzino, organizzare gruppi di supporto per le vittime di violenze fisiche e sessuali, occuparsi delle famiglie e riparare le case di quelli che avevano lasciato la riserva per sottoporsi a trattamenti di disintossicazione, costituire dei gruppi di Alcolisti Anonimi e istituire nella riserva dei corsi di addestramento di interesse sociale.

Tutte queste iniziative sono state inserite in una matrice di spiritualismo e tradizione autoctoni che hanno fornito uno schema indigeno di comprensibilità. Sono state coinvolte le forze di polizia e gli esperti, ma sotto il controllo del gruppo, piuttosto che come rappresentanti di anonime istituzioni. Oggi tutto indica che l'alcoolismo e la violenza si sono trasformati da un problema che riguardava praticamente ogni adulto ad un eccezione che tocca meno del 5% della popolazione.

Alcune delle misure usate al Lago Alkalai sono state di tipo coercitivo, ma, essendo state introdotte sulla base di un emergenza con l'appoggio di una comunità locale in pericolo, sono state accettate dalla gente. Il Lago Alkalai non è tanto l'esempio di un metodo che si possa applicare universalmente, ma piuttosto la dimostrazione che le comunità sono in grado di decidere autonomamente sui problemi sociali e della droga senza interferenze esterne e che, in questo contesto, gli esperti possono avere una funzione utile.

CONCLUSIONE La cosa migliore che un governo può fare per controllare i problemi della droga è governare bene, nell'interesse di tutti. La cosa migliore che possono fare i genitori e i cittadini tutti è cercare di soddisfare le necessità fondamentali dei loro figli, della loro comunità e loro stesse. Le forme istituzionali di controllo sociale come le leggi antidroga e i trattamenti di disintossicazione possono aiutare solo se sono controllate a livello locale e sono applicate con moderazione. La propaganda non serve a niente.

E' un'apparente ingenuità affrontare il terribile ``flagello della droga'' con strumenti banali come regolamenti locali, libera diffusione delle informazioni e attenzione per le cause della infelicità quotidiana? Io penso di no. Credo invece che solo questi metodi ordinari possano toccare in profondità quello che viene superficialmente definito ``il problema della droga'', un problema che nasce dalla diffidenza, dall'alienazione e dalla sofferenza. Non si può costringere la gente ad agire con moderazione in un mondo inospitale: chi sta lottando per sopravvivere userà qualsiasi droga che gli sembri di aiuto; chi cerca di sfuggire a un dolore insopportabile cercherà di cancellare chimicamente le sue sofferenze piuttosto che arrendersi a una disperazione paralizzante o alla tentazione del suicidio.

La vera ingenuità del secolo che sta per finire è stata la fede che potessero esistere semplici soluzioni di tipo bellicista per risolvere gravi problemi strutturali.

 
Argomenti correlati:
Antiproibizionismo
Bruxelles
Canada
Tossicodipendenza
Diritto penale
stampa questo documento invia questa pagina per mail