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Mellini Mauro - 1 febbraio 1989
La ricerca della catarsi
di Mauro Mellini

SOMMARIO: Nel suo intervento precongressuale, Mellini respinge sia la scelta transnazionale che l'ipotesi di chiusura del Pr. Bisogna ammettere gli errori commessi e riprendere quella politica del diritto e della giustizia che ha consentito di raccogliere nel 1987 diecimila iscritti.

(Notizie Radicali n· 21 del 1· febbraio 1989)

Ricevo oggi 30 gennaio alle ore 11.45, qui al Gruppo parlamentare, una comunicazione: Messaggio a tutti i deputati dal partito - Termine per consegnare articoli su dibattiti precongressuali per il numero di Notizie Radicali in corso di stampa è oggi ore 15.00.

Tre ore e un quarto sono pochine anche per un compito in classe, e in classe si fa solo il compito. Evidentemente l'abitudine al compito in classe si riflette anche sulle opinioni e i metodi circa il tempo necessario per buttar giù un intervento precongressuale.

Sarò quindi telegrafico. Un congresso è un'assisa di discussione e di elaborazione di decisioni tra gli appartenenti a un partito, un'associazione etc. E' dovere di chi lo convoca di non pregiudicare le decisioni mettendo i partecipanti di fronte al fatto compiuto e di non cancellare il diritto di chi intende parteciparvi con espedienti e comunque metodi che ne escludono la partecipazione.

Ho chiesto e scongiurato che il congresso si tenesse in Italia, dopo la constatazione, oramai netta e comunemente accettata, del fallimento della mozione di Bologna, dei suoi obiettivi. Mi è stato opposto un "fine di non ricevere" con il pretesto che per una città estera si è già deciso a Bologna. Già, ma a Bologna si è deciso anche che dovevano esservi non so quante migliaia di iscritti all'estero e il congresso deciso a Bologna era quello dell'88, quello che non si è tenuto a Zagabria (per fortuna, visto il programma da "interessante" mezza settimana di studi) e ancora non si sa se il congresso da fare sia quello degli iscritti dell'88 o dell'89.

Dopo il Consiglio federale di Trieste e dintorni pare che tutto (o quasi) il cosiddetto "gruppo dirigente" sia diventato ottimista, con più di una conversione rispetto al pessimismo di Gerusalemme.

Bene, questo ottimismo sarebbe determinato ed espresso da questo ragionamento: il partito è transnazionale. Al transnazionale il partito non è adeguato, quindi chiudiamo il partito e facciamo un'altra cosa. Che cosa e quando ancora non si sa, ma l'importante è che sia un'altra cosa e quindi che si chiuda veramente, che si appenda al muro l'utensile vecchio, non senza mettere da parte i beni (pecunia non olet!) e mettendo invece da parte (in altro senso) soggetti, iniziative, idee, campi di intervento (nell'Europa occidentale non c'è più nulla da fare, bisogna operare nell'Europa orientale e nel Burkina Faso!).

Si lancia una campagna di iscrizioni al partito per il 1989 con questa prospettiva: cioè l'iscrizione alla chiusura del partito e, forse, ma solo forse, a quella cosa o a quel coso che poi magari verrà fuori.

Mi è stato detto e ripetuto che io non propongo nulla, che le mie critiche sono solo distruttive. Alla faccia! Da quale pulpito viene la predica!

La realtà è che non io, ma gli iscritti, la più ampia base che il partito abbia mai avuto, al congresso del 1986 (prima parte) il partito dei diecimila la risposta positiva, la proposta positiva l'ha data, con le idee, le proposte, i significati che erano impliciti ed espliciti nel raggiungimento dei diecimila e oltre: la continuità e la novità meravigliosa delle battaglie per i diritti civili, la forza per il diritto e la giustizia (giustizia e libertà) nella società post-industriale e socialista, la nuova dimensione partito come partito delle iniziative (e non delle iniziative per il partito e/o per la sua distruzione, per aree e schieramenti da alimentare con la nostra autodistruzione). Ma sembra che i diecimila abbiano dato semplicemente fastidio: "grazie; ma come non detto! Quel che ci vuole in realtà sono alcune migliaia di iscritti all'estero". E quella parodia di seconda parte di congresso del febbraio '87 con la passerella (un italiano e uno straniero), inni ebraici e vuoto totale e accurato di prop

oste. L'esito delle elezioni, Cicciolina compresa, sono un effetto di quel disgraziato congresso oltre che, poi, della politica "di area" (socialista) di quello preelettorale.

Se con questi errori il partito, bene o male, è sopravvissuto, significa che sbocchi ci sono. Ma bisogna avere il coraggio di riconoscere errori e non cercare solo alibi. Non si può continuare a confondere fantasia e irrazionalità, novità e assurdità o vacuità.

Era difficile nel 1986, è difficilissimo oggi, ma la via è quella del partito dei diecimila (ed oltre). E soprattutto non si può rifiutare il possibile con la scusa che non è la palingenesi: alibi di ogni velleitarismo e di ogni malefatta della politica. E non andiamo alla ricerca di crepuscolari catarsi. Il laicismo dovrebbe difenderci da queste tentazioni.

Scusate se in queste tre ore e un quarto non ho saputo scrivere di più e di meglio e credetemi se dico che di più e di meglio si potrebbe dire e scrivere. Aggiungo solo che un congresso ha per me un senso solo se lo si vorrà fare in Italia, cioè per discutere e scegliere.

 
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