di Paolo PietrosantiSOMMARIO: La rievocazione storica della campagna per la vita di Paula Cooper e per l'abolizione della pena di morte. L'analisi della situazione nei diversi stati americani. Il trasferimento della campagna dall'Italia agli Usa. L'appello a partecipare al digiuno promosso dal Coordinamento "non Uccidere".
(Notizie Radicali n· 21 del 1· febbraio 1989)
Sette gennaio: Robert Streetman, Texas; 15 marzo: Wayne Felde, Louisiana e Willie Darden, Florida; 13 aprile: Leslie Lowenfield, Louisiana; 14 aprile: Earl Clanton, Virginia; 10 giugno: Arthur Bishop, Utah; 14 giugno: Edward Byrne, Louisiana; 28 luglio: James Messer, Georgia; 3 novembre: Donald Franklin, Texas; 11 novembre: Jeffrey Daugherty, Florida; 13 dicembre, Raymond Landry, Texas.
Sono i nomi degli undici americani le cui condanne a morte sono state eseguite nel corso del 1988. Nel 1987 vi erano state 25 esecuzioni; 18 in ciascuno dei due anni precedenti; 21 nell'84. Sembrerebbe l'indice di una flessione, ma è difficile crederlo, se il 1988 ha registrato anche il primato di affollamento dei bracci della morte: 2.151 condannati al 1XXX novembre.
Ciascuno di quei nomi ha una storia, come hanno una storia i 104 uccisi negli Usa dacché la Corte suprema federale ha nel 1976 ripristinato la pena capitale, non più dichiarandola in contrasto con l'ottavo Emendamento della Costituzione (»Non si dovranno esigere cauzioni esorbitanti, nè imporre ammende eccessive, nè infliggere pene crudeli e inusuali ).
36 stati su 50; 2.151 condannati nei bracci della morte
Ciascuno di quei nomi evoca storie terribili, storie di esistenze tragiche, di omicidi plurimi e orrendi; e di esecuzioni altrettanto orrende. Tragedie che si consumano nei tribunali, anche, nell'arco di dieci e più anni; e in alcuni, troppi minuti di sedia elettrica, o di iniezioni letali, di camere a gas. Con i dubbi, angosciosi, che troppo spesso cadono sulla effettiva colpevolezza dei condannati, per essere assai sovente inafferrabili in quei casi colpevolezza e punibilità: accade che le vittime di molte condanne e di molte esecuzioni siano malati di mente, o giovanissimi assassini, e che questo non valga ad escluderne o ridurne la colpevolezza.
Scrisse Giorgio Del Vecchio: »Chiunque consideri senza preconcetti, nella tragica realtà, la serie delle aberrazioni succedutesi ... durante i secoli, deve confessare che la storia delle pene, in molte sue pagine, non è meno disonorevole per l'umanità che quella dei delitti .
La descrizione dei casi sarebbe utile, necessaria alla compiuta rappresentazione di una molteplicità di sistemi penali che in 36 dei 50 stati Usa prevedono ancora la pena capitale. 34 di questi ospitano attualmente prigionieri nei bracci della morte.
E' lecito chiedersi se sia ammissibile che nell'ambito di un medesimo ordinamento giuridico - sia pure a struttura confederale - possa esservi una così evidente violazione del principio di uguaglianza, stante il fatto che il medesimo delitto può essere punito con la morte in uno stato e non in un altro (se Paula Cooper avesse commesso lo stesso delitto nell'Illinois, a trenta chilometri da Gary, non avrebbe mai rischiato la pena di morte). Sarebbe parimenti utile riflettere sugli studi statistici che varie organizzazioni - prima fra tutte Amnesty International - conducono regolarmente in proposito. Ci renderemmo conto che negli States è assai più probabile veder comminata una condanna a morte se un negro assassina un bianco che non se un bianco assassina un negro.
Il problema è la pena di morte negli Usa
Ma ha da essere chiaro e compreso un principio di condotta, che fin dall'inizio è stato rispettato da tutti i radicali che numerosi hanno deciso di impegnarsi per l'abrogazione della pena di morte. Non possiamo nè dobbiamo occuparci dei casi più odiosi, delle condanne e delle esecuzioni più terribili; nè possiamo rischiare di consentire che si costruisca una scala di liceità tra le diverse condanne e tra le diverse esecuzioni. Il problema è un altro, ed è quello della legittimità del permanere nell'ordinamento giuridico di uno stato democratico, in quello di una grande democrazia politica, della sanzione capitale. Il problema è questo, ed esclusivamente questo. Ed è problema politico.
Il costante e testardo impegno sul caso di Paula Cooper è proprio una dimostrazione di questa volontà, di questa scelta di strategia e di azione. Perché Paula Cooper è sì una bambina disperata e sola; Paula è sì negra, e ha soltanto 15 anni quando uccide con ferocia. Ma questi sono i connotati di una esistenza, di una persona. Soprattutto, si è riusciti a renderla riconoscibile come tale. Paula uccisa sarebbe Paula Cooper uccisa, non uno dei 2.000 detenuti nel braccio della morte che arriva al termine della sua vicenda giudiziaria. Non è anonima; non è un numero, ed è in grado di rappresentare altre duemila persone.
Paula piange perché sa ancora farlo; ma sa anche ridere, di rabbia, tanto che da subito risulta antipatica, viene definita dalla stampa come ragazzina superba, che dice che non le importa se la uccidono, se la mandano a friggere. Quel che è nuovo è che si riesce a fare della condannata a morte una persona con nome e cognome condannata a morte: un personaggio, se vogliamo; da "usare", se volete.
Con il rischio formidabile - ma necessario e naturale - che comporta l'essere ormai certo che l'esecuzione di Paula Cooper porterebbe alla stasi totale - per anni - di ogni iniziativa tesa all'abolizione della pena capitale negli Usa.
La ex bambina di Gary
Paula è nata nel 1969 a Gary-Indiana. All'età di quindici anni commette un delitto orrendo, assurdo, futile. E viene condannata a morte nel 1986: la legge del suo stato consentiva di comminare la pena capitale a chiunque avesse un'età superiore ai dieci anni. Nascono le mobilitazioni, in primo luogo promosse dai radicali; nasce Paula Cooper, il suo caso che diviene noto anche in un paese - gli Usa - in cui i sondaggi demoscopici costantemente informano che il favore per il mantenimento in vigore della pena capitale è amplissimo. La mobilitazione nasce in Italia, e in parte - sporadicamente; ma non senza effetti - si estende in Europa.
Qualcosa accade, di importante; qualcosa che probabilmente non è stato immediatamente valutato nel suo valore e significato. Lo Stato dell'Indiana eleva a 16 anni il limite minimo di età al di sotto del quale è preclusa la pronuncia di una condanna a morte. Paula vi rientrerebbe se il principio generalissimo della irretroattività della norma penale fosse corretto dal peraltro elementare principio della retroattività della norma più favorevole, previsto per esempio dal codice italiano.
Non vogliamo sostenere l'esistenza di un nesso di causalità tra le mobilitazioni sul caso di Paula e questa modifica del sistema penale dello stato dell'Indiana. Tuttavia è probabile che se non vi fosse stato il caso Cooper il problema della soglia minima di età in quello stato non sarebbe sorto, e alla normativa allora vigente non si sarebbe messo mano: l'Indiana non è l'unico stato in cui la legge prevedesse di mandare a morte dei bambini.
Sul fronte della pena di morte prevista e comminata per minorenni c'è pure da registrare la pronuncia della Corte suprema federale Usa, che chiamata a decidere sul caso di William Wayne Thompson (un giovane dell'Oklahoma che aveva 15 anni al tempo del suo delitto), ha cancellato la condanna a morte a suo carico per non essere previsto in quello stato un limite minimo di età. In quell'occasione - la fine di giugno 1988 - gran parte della stampa italiana erroneamente proclamò Paula Cooper salva in virtù di quella sentenza. Ma, appunto, il caso di Paula non veniva toccato se non assai indirettamente.
Ma dunque. Sul caso di Paula è sorto presto - per volontà dei radicali, soprattutto, e di don Germano Greganti - il Coordinamento Non Uccidere. Un esperienza che programmaticamente ha voluto incentrare sul caso di Paula la propria iniziativa che presto ha coinvolto decine di organizzazioni italiane, compresi partiti, sindacati tra i maggiori, associazioni religiose cristiane e non. Ma che con assoluta chiarezza, sempre, ha affermato non essere quello della pena di morte comminata a minori il problema da affrontare e risolvere, ma quello della pena di morte in generale, ovunque e contro chiunque questa lugubre sanzione sia prevista e comminata. Non basta, però.
La legittimazione delle dittature
Perché a parte interventi diretti su condanne capitali pronunciate ed eseguite altrove, l'interlocutore principale del coordinamento sono stati gli Usa, la grande democrazia americana. Perché, semplicemente, civiltà è essere diversi da chi uccide; perché, semplicemente, non può ammettersi il permanere della pena capitale nell'ordinamento di uno stato retto da una solida democrazia politica senza contestualmente ammettere, legittimare, farsi complici delle peggiori turpitudini, dei gulag, dei peggiori soprusi commessi dai regimi per i quali i valori di libertà e democrazia, diritto, diritti, giustizia non sono che chiacchiere da far tacere. E' una questione, semplicemente, di credibilità di quei valori; che in tanto possono essere esportati, estesi, fatti vivere laddove sono morti o mai sono venuti in vita in quanto pianamente vivano, siano applicati negli ordinamenti che a quegli stessi valori affermano ispirarsi.
E' da vincere negli Stati Uniti, intanto, la battaglia civilissima della pena di morte.
Questo è stato chiaro fin dall'inizio, da quella fine del 1986 in cui vide la luce l'esperienza per molti versi inedita e nuovissima di Non Uccidere. Anche per questo Paula Cooper. E Paula ha compreso.
Ella rappresenta una dimostrazione vivente della assurdità della pena di morte, e della sua inutilità. Paula è cambiata del tutto, è cresciuta, ha acquisito forza. Avevamo sperato in lei, nella sua capacità di farsi elemento attivo e centrale della campagna. Paula ha capito. E' cresciuta. Ha dimostrato e dimostra che toglierla di mezzo sarebbe soltanto un danno per la società: una sconfitta più grande di quanto già non sia necessariamente ogni esecuzione.
Ella ha avuto la grande fortuna di trovare un avvocato di ufficio - William Touchette (Notizie Radicali lo ha intervistato a lungo nel numero del 10 dicembre)- che ha avuto il coraggio di mettere in causa la sua carriera abbracciando in pieno anche la "causa politica" della salvezza di Paula dalla sedia elettrica. Ella ha trovato solidarietà, e amore: quell'amore che a noi è stato freddamente e non raramente rimproverato da qualche organo di stampa americano.
Siamo riusciti ad attraversare l'Atlantico
Quel che è accaduto in questi anni è abbastanza noto; come sono abbastanza noti i risultati ottenuti. Le mobilitazioni di Non Uccidere (che ha ormai da tempo acquisito una fisionomia diversa da quella originaria, aggiungendo a quella del coordinamento di organizzazioni quella di gruppo di persone sufficientemente ampio e omogeneo, in grado di promuovere e sviluppare iniziativa politica) si sono sviluppate eminentemente attorno a momenti di mobilitazione straordinaria, secondo l'unica metodologia di azione che potesse cogliere l'obiettivo primario: raggiungere gli Stati Uniti e l'opinione pubblica americana. Quindi, a partire dal momento della condanna a morte di primo grado, la raccolta delle firme - ormai oltre 2 milioni in Italia, cui vanno aggiunte le altre raccolte in altri paesi europei -; le manifestazioni pubbliche, talvolta con la partecipazione dell'avvocato Touchette, che in più di un'occasione ha raggiunto l'Italia; il 18XXX compleanno di Paula; l'iniziativa di digiuno organizzato congiuntamente i
n Italia e Usa nel 1988, che si ripeterà quest'anno.
Il 28 luglio
Infine, l'estate scorsa, l'addio all'Europa, che abbiamo voluto lanciare attribuendogli valore di svolta: la grande fiaccolata romana del 28 luglio, quella che ha visto la partecipazione di Joan Baez. Un addio chiaro: quel che c'è da fare va ormai fatto con urgenza negli Stati Uniti. Dobbiamo andarci; e accadrà presto.
Mai come in quella occasione si era riusciti a far giungere nelle case americane il problema pena capitale, anche se già in alcune occasioni quell'obiettivo era stato in misura minore raggiunto.
Tutte le maggiori reti televisive statunitensi erano presenti, e i maggiori giornali: il risultato in termini di informazione è stato enorme; ma i servizi, gli articoli erano freddi, totalmente neutri. Comunque l'informazione è arrivata, e ha raggiunto decine di milioni di persone.
C'è da dire però che questi anni hanno visto anche prese di posizione sulla stampa Usa. A parte gli attacchi di giornali e tv dell'Indiana, vanno registrate le taglienti parole di Newsweek, o il favorevolissimo editoriale di prima pagina sul Washington Post. Non si è riusciti quindi a conquistare soltanto informazione, ma talvolta anche a suscitare prese di posizione, e possiamo dire che vi è un settore dell'opinione pubblica americana che dalle mobilitazioni d'oltre oceano ha tratto spunti di riflessione, ha riscoperto un terreno di iniziativa, e nuova energia hanno acquistato le numerose, organizzate ma stanche associazioni abolizioniste americane.
Se c'è qualcosa che può davvero ascriversi a questi tanti mesi di iniziativa è proprio l'esser riusciti a toccare il gigante americano, ad arrivarci tramite i mezzi di comunicazione; la nuova strategia, ormai obbligata, non può non praticare materialmente il terreno americano, non può non passare attraverso l'azione sul posto.
Questa è la scommessa che va giocata a partire dalle prossime settimane, scommessa che passa attraverso la raccolta dei fondi ingentissimi necessari, come attraverso altro. Con tutta la forza che viene a questa battaglia da quel che in questi anni si è costruito, dallo schieramento di esplicite prese di posizione sulla giovane vita di una ex bambina in favore della quale hanno parlato il Pontefice come Premi Nobel, come interi consessi parlamentari.
Se non è mancata la ferocia bestiale in occasione della recente esecuzione di Ted Bundy, certo la pena di morte negli States è tornata ad essere oggetto di riflessione e di dibattito, sia pure soltanto in settori non ampi della società Usa. La pena capitale è in America qualcosa che scotta, scomoda da discutersi perché popolare. Ma ci interessa. Ci interessa la vita. I care, diceva Martin Luther King. La campana suona anche per noi, e si sente nitida, nonostante il suo suono debba attraversare l'Atlantico.
La capitolazione dello stato
Dalla nostra vi è la grande forza della ragionevolezza, e dell'affermazione nonviolenta del diritto e delle regole.
La pena capitale è negazione di civiltà, e legittimazione diretta dei soprusi, della violazione del diritto e dei diritti.
La pena capitale rappresenta la peggiore delle capitolazioni di uno stato, di un ordinamento. E non serve: è provato che laddove - come in alcuni stati Usa - si è abrogata la pena capitale, il tasso di criminalità non è cresciuto, e semmai è leggermente diminuito.
La sua forza intimidativa, la sua capacità di prevenire in generale la commissione di delitti è tutta da dimostrare, se è vero, come è vero, che si ricordano carnefici di professione che si sono macchiati di delitti puniti con la morte, o condannati che, rimasti miracolosamente vivi dopo un'esecuzione, e poi graziati, sono tornati a commettere delitti puniti con la medesima pena.
Ma ancora. Nel suo Dei delitti e delle pene Beccaria osservava che »l'atrocità stessa della pena fa che si ardisca tanto di più per ischivarla, quanto è grande il male a cui si va incontro .
Meglio il linciaggio
Lo stato non può farsi assassino, non può legittimare l'assassinio, non può farsi scuola di ferocia.
»Un branco di fanatici o di avvinazzati che crede di far giustizia, in effetti, - fa dire Leonardo Sciascia al giudice protagonista di Porte aperte - contravvenendo al diritto, lo certifica: nel senso che quell'azione impone, su coloro che la compiono, il risarcimento del diritto, l'affermazione che non si deve, che non si può... Consideri, poi, se gli istinti che ribollono in un linciaggio, il furore, la follia, non siano, in definitiva, di minore atrocità del macabro rito che promuove una corte di giustizia dando sentenza di morte: una sentenza che appunto in nome della giustizia, del diritto, della ragione, del re per grazia di dio e volontà della nazione, consegna un uomo, come è da noi, al tiro di dodici fucili .
C'è una funzione in cui l'efficacia della pena capitale è massima, ineguagliabile: quella della prevenzione speciale del delitto. E' assolutamente certo che un assassino, una volta ammazzato, non farà più nè paura nè male a nessuno. E la società sarà salva, grazie a un delitto commesso da un numero enorme di concorrenti, con il massimo grado possibile di predeterminazione: grazie al più grave e aggravato degli omicidi.
Scriveva nel settembre dell'87 Alberto Moravia sul Corriere della Sera : »La pena di morte (...) costringerebbe lo stato a fare a freddo, con piena consapevolezza, lo stesso delitto di Paula Cooper commesso a caldo, in preda ad una obnubilazione della coscienza. A sua volta questa obnubilazione era stata prodotta da circostanze attenuanti (l'età, l'ubriachezza, la povertà, l'ignoranza, la mancanza di affetti eccetera eccetera) che lo stato non potrebbe davvero addurre a discolpa del suo delitto. Lo stato è un assassino privo di circostanze attenuanti.
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Per il secondo anno consecutivo il Coordinamento Non Uccidere - di cui il Pr è stato tra i principali promotori - lancia un'azione nonviolenta di massa in Europa e negli Usa, congiuntamente alla omologa organizzazione americana National Coalition to Abolish the Death Penalty. Si tratta di un digiuno che partirà il 25 febbraio prossimo per concludersi il 1xxx marzo, giornata che le organizzazioni americane per i diritti civili hanno proclamato Abolition day. Nell'ambito dei 5 giorni ciascuno può scegliere quanti giorni digiunare; e l'obiettivo è quello di passare in Italia e in Europa, dai 200 del 1988, a 1.000 digiunatori. Molte sono le organizzazioni aderenti al Coordinamento che sono impegnate nella iniziativa; occorre che anche i radicali si organizzino subito, facendosi promotori dell' iniziativa in ogni città; e comunicando tempestivamente per iscritto (Viale di Valle Aurelia 93a, 00167 Roma) o per telefono (06/632885, o dal 20 febbraio 06/6847404) alla sede del Coordinamento i nominativi dei digiunator
i, indicandone l'indirizzo e i giorni di digiuno.