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Strik Lievers Lorenzo - 1 febbraio 1989
Ora siamo iscritti anche al PSDI
Lorenzo Strik Lievers

SOMMARIO: Le ragioni dell'iscrizione al PSDI di Strik Lievers, Negri e Rutelli. La necessità di superare le grandi scissioni della sinistra. I partiti oggi hanno conservato solo il nome dei vecchi ideali per cui erano stati costituiti. Invece di essere "canali di democrazia" a disposizione dei cittadini, sono divenuti apparati di potere al servizio della classe politica.

(Notizie Radicali n· 21 del 1· febbraio 1989)

Proprio così. Stiamo difendendo la propria dignità, la ragion d'essere e la vitalità del PSDI; al punto da chiederne ed ottenerne la tessera. Lo abbiamo fatto da radicali, da militanti del Partito radicale, Giovanni Negri, Francesco Rutelli ed io. E per il significato che intendiamo dare a questo gesto mi pare importante ed urgente cominciare a discutere di esso - del disegno politico da cui esso scaturisce - in primo luogo sulle pagine del giornale del Partito comunista. Questo perché la prospettiva in cui la nostra scelta si colloca è il superamento delle grandi scissioni a sinistra, quella del 1949, ma anche quella del 1921, perché no?, e quella stessa del 1892, quando il Partito socialista nacque separandosi da radicali e anarchici.

Sia chiaro: è solo falso e distorcente il ragionamento di chi immagina che basti ritrovarsi su un comune giudizio storico-politico intorno a quelle scissioni (magari il "Turati aveva ragione" di Terracini) per constatare che esse sono superate. Senza che ciò comporti di per sé alcun giudizio di valore, non si può non riconoscere che i partiti attuali conservano poco più che i nomi storici di allora: le impostazioni politico-ideali del PSI e del PSDI odierni non assomigliano al riformismo di Turati molto più che il nuovo corso di Occhetto al leninismo rivoluzionario di Bordiga.

Piuttosto: quanti dei tanti partiti e partitini che affollano la scena politica italiana in base alla logica di un proporzionalismo che pare fatto apposta per togliere ai cittadini il potere di scegliere tra effettivi programmi e proposte alternative di governo, quanti possono rivendicare a se stessi la capacità di rappresentare politicamente in modo serio - con il 2, il 3, il 5 per cento - le grandi correnti ideali di cui vogliono essere portatori ed eredi, le speranze antiche cui si riferiscono?

Osservazione questa che non può non aggiungersi ad un'altra fondamentale: si può pur dire, con tutti i limiti di ogni generalizzazione, e fatte le debite differenze, che in larghissima misura i partiti in Italia sono altro da quello che la costituzione prevede, ossia luoghi in cui i cittadini si associano liberamente "per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale"; sono sempre meno, cioè, canali di democrazia e sempre più invece apparati di potere, di occupazione e lottizzazione della cosa pubblica. Il problema allora è quello di riconquistare autenticità alla democrazia assicurando una possibilità reale di scelta fra alternative non fittizie. Ciò che richiede - insieme alla riforma elettorale - una trasformazione radicale, una vera e propria rifondazione dei partiti e del sistema dei partiti: due, tre grandi partiti, non abilitati soltanto alla trattativa e alla mediazione ma capaci di candidarsi, in contrapposizione l'uno con l'altro, ad assumere in pieno la responsabilità di go

vernare. In quest'ottica si pone davvero la questione del superamento delle antiche scissioni.

Ma qual è la strada per arrivarvi? Qui si arriva al caso, davvero esemplare, del PSDI. Come tutti hanno potuto vedere, questo partito è stato oggetto di manovre volte a liquidarlo brutalmente. La logica è quella di un puro e semplice annessionismo, con il fine evidente - come spiegare altrimenti la fretta precipitosa e maldestra? - di consentire a Craxi di contare su qualche voto in più alla prossima scadenza elettorale nella sua gara con il PCI per il sorpasso e di attribuirsi l'immagine del grande semplificatore. Si tratta di un errore grave da parte del PSI il quale, diciamolo, potrebbe e dovrebbe costituire un punto di riferimento centrale per un processo di rifondazione che coinvolgesse tutte le forze di democrazia laica socialista ed ambientalista e aprisse seriamente il discorso con l'area comunista. Questo il senso negli anni scorsi dell'iniziativa radicale per costruire une prospettiva politica comune con i socialisti. Mirare invece su qualche punto in percentuale in più attraverso la distruzion

e di quanti sono politicamente più vicini, come purtroppo il PSI sta facendo, è una scelta ben misera. Che senso ha voler liquidare sommariamente un partito come il PSDI, oltretutto regalando una parte del suo elettorato alla DC? Un partito che con i Saragat e i Mondolfo aveva avuto il coraggio di "aver ragione" in anni difficili e che oggi, con la segreteria Cariglia, dà pur segno di voler risalire la china della degenerazione partitocratica. Se è vero che non con la distruzione ma con l'esaltazione del meglio delle esperienze e tradizioni di ognuno si può andare a una comune rifondazione che apra la strada all'alternativa (e in questo senso ciò che accade oggi nel PCI è di grande importanza) abbiamo bisogno tutti quanti di un PSDI capace di essere soggetto del proprio rinnovamento e così, per la sua parte, di quello dell'intera sinistra. Per questo, nel momento in cui il Partito radicale compie una scelta difficile in direzione di un superamento della logica dei partiti rinunciando a presentare proprie li

ste di partito alle elezioni e promovendo la propria rifondazione in partito trasnazionale, da radicali, ci iscriviamo anche al PSDI.

 
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