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Bignami Giorgio - 14 febbraio 1989
Droga: I problemi giovanili e il fallimento del proibizionismo.
Giorgio Bignami

SOMMARIO: L'autore, ricercatore presso l'Istituto Superiore della Sanità, pone l'accento su due aspetti particolari del problema droga: l'assenza, nelle proposte dello schieramento delle forze progressiste, di un progetto culturale, sociale e economico capace di far fronte ai problemi dei giovani; la contrapposizione all'interno dello schieramento contrario alla legge governativa fra proibizionisti e antiproibizionisti.

(Atti del Convegno "No alla legge governativa sulla droga, repressiva, illiberale, ingiusta", Roma 14 febbraio 1989)

Ritengo che in una sede come questa si debba dare per scontato - e si è visto anche nel forum del PCI di ieri - un ampio schieramento di forze progressiste, sindacali, politiche e altre, che si oppongono a dei principi come quello della punibilità, come quello della cura coatta, o meglio dell'alternativa fra la punizione e la cura coatta, e quindi non mi dilungherò su questo aspetto e sul significato dell'offensiva politico-ideologica che è in corso in questo momento.

Vi sono però due aspetti del problema della droga, del problema delle tossicodipendenze, sui quali si riscontra la sostanziale assenza o la profonda divisione dello schieramento delle forze progressiste.

Lo schieramento delle forze progressiste è sostanzialmente assente sulla questione del progetto culturale, sociale e quindi anche economico atto a far fronte ai gravi problemi attuali della condizione giovanile. Problemi che hanno due versanti, il primo dei quali è quello delle condizioni materiali soprattutto per quello che riguarda il lavoro, la casa, le attività sociali e culturali. Un versante in cui si riscontra una frattura sempre più drammatica fra quelli che una volta si chiamavano i "garantiti" e i "non-garantiti".

E' questo un fenomeno che riscontriamo a tutti i livelli della struttura sociale nei posti di lavoro. L'Istituto Superiore di Sanità, ad esempio, che ha una dimensione media quanto a posti di lavoro - sono circa 1500 persone di ruolo, più una folla sempre crescente di ospiti, precari, orsisti eccetera - è sostanzialmente cambiato in questi ultimi anni, nel senso che il numero di persone che non hanno più una garanzia del domani, che non hanno nessuna possibilità di controllo sul proprio destino, dal punto di vista del lavoro che fanno e dal punto di vista del futuro della loro carriera, è aumentato enormemente poiché sempre più il mondo del lavoro si organizza come una specie di gigantesca lotteria in cui per avere successo bisogna sottostare a certe regole.

L'altro versante sul quale troppo poco si discute è rappresentato dalla difficoltà ad identificarsi, da parte soprattutto dei giovani, con un corpo sociale che impone dei valori non condivisibili, se non da parte di coloro che decidono di lanciarsi all'arrembaggio dei van-

taggi che una società come la nostra offre ad una minoranza di soggetti che sono disponibili, se vogliamo, a un certo tipo di operazioni.

In questo senso è vero quello che ha affermato recentemente De Mita, mi pare nell'ultima intervista che è stata pubblicata dall'"Espresso", e cioè che la nostra epoca ha registrato dei cambiamenti notevoli dal punto di vista delle possibilità di mobilità sociale. Il problema è sapere quale mobilità sociale, a che condizioni e a che prezzi.

Comunque, questo è un discorso troppo ampio che non può essere fatto compiutamente in questa sede. Va però sottolineato che, a parte le generiche declaratorie, non si è mai lavorato sistematicamente su questo aspetto del progetto culturale e sociale complessivo, sul versante delle condizioni materiali e sul versante dei valori.

L'altro aspetto sul quale le forze progressiste sono presenti, ma profondamente divise, è quello delle strategie proibizioniste: si insiste da molte parti - e questo si riscontra anche nel progetto di legge del PCI - nel ritenere di poter, non dico risolvere, ma per lo meno andare incontro al problema della droga e delle tossicodipendenze con una escalation delle strategie proibizioniste, quando tutte le evidenze disponibili, sia quelle meno recenti che quelle più recenti, dimostrano che esse sono destinate, in maniera quasi automatica, al fallimento.

In altre sedi, in tempi recenti, ho fatto degli interventi, soprattutto sul "Manifesto", in cui riportavo il grado raggiunto dalla discussione in un paese come gli Stati Uniti, dove persino il ministro della Difesa dell'Amministrazione Reagan ha sollevato fortissime obiezioni all'assegnazione ai militari di compiti di controllo come quello della frontiera tra Messico e Stati Uniti, affermando che un controllo di questo genere non era possibile e che sarebbe stato comunque troppo costoso e assolutamente irrealizzabile.

Sul versante scientifico, delle personalità eminenti come Costland, un accademico americano editore del massimo giornale scientifico statunitense "Science", hanno sostenuto che la strategia proibizionista era una strategia che mai avrebbe pagato e che occorreva quindi trovare delle vie alternative.

Ogni giorno a questo elenco di evidenze e di fallimenti si aggiungono ulteriori prove, come il problema sollevato dal funzionamento dei meccanismi della CEE e la denuncia fatta dalla Tatcher di una CEE che funziona come una gigantesca mafia, come una gigantesca camorra. Il "Manifesto" domenica scorsa ha scritto provocatoriamente su questo argomento titolando addirittura che per certi aspetti la Lady di Ferro ha ragione.

Se andiamo a vedere come vengono utilizzati i meccanismi CEE, quello delle arance costituisce un esempio non sospetto di provocazione e abbastanza illustrativo. Le stesse arance, infatti, vengono utilizzate quattro volte dai mafiosi collegati alla CEE: prima fingono di mandarle al macero, poi di trasformarle nelle industrie di cui sono titolari, in terzo luogo le vendono davvero, ma il guadagno maggiore viene dal quarto passaggio attraverso il quale, fatturando esportazioni false, riportano in Sicilia i milioni di dollari versati nelle banche svizzere della mafia italo-americana che paga così l'eroina siciliana. L'esperienza insegna che ogni volta che in qualche modo si blocca uno di questi meccanismi ne vengono fuori altri cinque, altri dieci, altri venti facendo così un passo successivo nell'escalation.

Una situazione di questo genere rappresenta anche un'azione profondamente corruttrice che ciascuno di noi incontra nella sua esperienza quotidiana. La normalità ormai non è più seguire le regole della vita civile, ma utilizzare dei meccanismi di questo genere che consentono anche al singolo di aumentare le proprie risorse materiali; quindi, non è più un criminale il pilota o l'hostess che si presta a fare da corriere della droga, ma, caso mai, è un fesso chi non fa un mestiere di questo genere. Non è più un criminale chi affida i suoi risparmi a un meccanismo "sporco" che concede un interesse molto più elevato, ma è piuttosto un fesso chi affida i suoi risparmi ai BOT, al mercato immobiliare, alla banca, alla borsa eccetera. E questo è un fenomeno che non è stato censito in senso quantitativo, ma che è molto più diffuso di quanto non si pensi abitualmente.

Il danno maggiore del proibizionismo probabilmente è il danno che viene fatto sul versante culturale, il danno che deriva dall'incongruenza dei messaggi che riguardano le sostanze che vengono assunte a scopo edonico. Queste si dividono in tre categorie principali: le droghe lecite, come l'alcool e il tabacco, i farmaci leciti, come quelli che possono essere prescritti dal medico e, infine, il mercato illegale.

L'incongruenza dei regimi in cui si rendono disponibili questi tre tipi di prodotti usati a scopo euforico, toglie quindi qualsiasi fiducia nella possibilità di costruire una società civile coerente in tutti i messaggi che manda ai suoi componenti.

Un ultimo aspetto è quello della difficoltà di proseguire una discussione nella quale si è costretti continuamente a ritornare sugli stessi aspetti e a ripetere sempre le stesse cose.

Nella discussione oggi prevalgono altri toni e altri aspetti che sono quelli che recentemente denunciava Giangiacomo Migone quando parlava del tipo di risposta che la Fiat ha dato agli attacchi che le sono giunti negli ultimi tempi, cioè del fatto che si fa continuamente ricorso a teorie cospiratorie e ad illazioni sulle motivazioni altrui e che non dovrebbero mai surrogare argomentazioni nel merito dei problemi posti.

Quelli di noi, ad esempio, che sono coinvolti in una battaglia antiproibizionista, sono continuamente collocati su questo versante di motivazioni che ci vengono attribuite senza minimamente tenere conto del dato scientifico, che è quello che sostiene un certo tipo di tesi.

Evidentemente questo non è un problema che si pone oggi in questa sede, ma è un problema che si pone non appena si esce di qui. Anche su ciò, quindi, probabilmente occorrerà essere più incisivi e più aggressivi per riportare il dibattito nel suo alveo normale.

 
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