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Lamberti Amato - 14 febbraio 1989
Droga - Legge governativa: La liberalizzazione criminale del mercato della droga.
Amato Lamberti

Sociologo, direttore dell'Osservatorio sulla Camorra, Napoli.

SOMMARIO: L'autore prende in considerazione il mercato criminale della droga in Italia, le sue regole economiche, il suo trend espansivo, la protezione economica che ad esso deriva dalla illegalità, per passare a sviluppare due punti in particolare: il ruolo decisivo delle organizzazioni criminali nell'incentivazione al consumo di droghe e la parzialità dell'informazione.

(Atti del Convegno "No alla legge governativa sulla droga, repressiva, illiberale, ingiusta", Roma 14 febbraio 1989)

Devo dire che poiché - come del resto vado scrivendo - sono abbastanza insoddisfatto delle linee del dibattito in corso sulla legge, forse i toni del mio intervento saranno più provocatori del solito.

Leggendo la legge, la tesi che mi è venuto in mente di costruire è che in Italia si è deciso di sanzionare per legge una situazione già stabilizzatasi in via di fatto, vale a dire quella di una liberalizzazione criminale del mercato della droga. Si è deciso cioè che in Italia il monopolio del traffico e della vendita al minuto della droga spetta alla criminalità organizzata, e non si tocca.

Al di là di ogni discorso, i fatti certi su cui voglio richiamare l'attenzione sono i seguenti: non c'è nessun'altra merce, tranne il tabacco, l'alcool, la benzina, forse anche il caffè, che sia disponibile come la droga ventiquattro ore su ventiquattro, che sia possibile acquistare ventiquattro ore su ventiquattro, e in migliaia di punti vendita in Italia. A Napoli io ne ho censiti 492, aperti da anni, ventiquattro ore su ventiquattro, censiti e indicati, ma ancora aperti.

Primo punto: l'apertura di punti vendita, di nuovi punti vendita ha un trend espansivo che può essere calcolato - sarebbe bastato fare delle ricerche serie su questo fenomeno - un trend espansivo che non ha nessun riferimento alla domanda, e che testimonia solo di una strategia di continua dilatazione dell'offerta, per realizzare l'incentivazione del consumo.

Secondo punto: non c'è nessuna regola economica che governa questo trend espansivo; la realtà che conosco meglio è quella di Napoli, il numero di punti vendita aperti nei diversi quartieri non ha niente a che fare con la domanda potenziale ed effettiva esistente, ma rileva da una strategia di penetrazione del mercato, da movimenti che avvengono all'interno delle organizzazioni che controllano questo mercato.

Terzo punto: l'illegalità protegge il mercato criminale della droga, proprio in termini di protezionismo economico, perché lo rende indipendente da ogni regola di mercato e perché impedisce anche il sorgere di concorrenze o, al massimo, vede la loro realizzazione in forme marginali.

Quarto punto, di cui non si parla mai, solo negli Stati Uniti ne ha parlato una volta Ralph Salerno, il capo della polizia di New York: per la realizzazione di una rete di punti vendita capace di coprire tutto il territorio nazionale, la criminalità ha bisogno di coperture e di collusioni a tutti i livelli istituzionali, diffondendo la corruzione in modo sempre più insostenibile.

La materia è scottante, e io sono convinto che anche in Italia certi fenomeni che avvengono a livello di forze dell'ordine (vedi la polizia, vedi i carabinieri, vedi la Guardia di Finanza) dipendono da questa situazione; i livelli di corruzione, i livelli di stravolgimento anche delle modalità di intervento, dipendono da questa situazione.

In pratica, il monopolio della droga viene gestito dalle organizzazioni criminali secondo regole economiche che sono esattamente quelle dei monopoli statali. Regola prima: mercato protetto ed esclusivo; regola seconda: diffusione capillare dei punti vendita; regola terza: orari di apertura tali da coprire tutto l'arco delle ventiquattro ore. L'illegalità non è un ostacolo, anzi è una facilitazione, specialmente dal momento in cui si riesce a scaricare su altri il peso dell'attività repressiva.

Credo si debba riflettere sull'intelligenza di questa organizzazione del mercato della droga, dove a pagare non è chi produce, commercia e vende droga, ma chi la consuma; il consumatore, cioè, paga due o più volte. Pensiamo anche allo spreco di risorse in termini di persone, mezzi, tempi, danaro da parte dello Stato per correre dietro a centinaia di migliaia di consumatori, senza contare la diffusione dei livelli di corruzione; e potremmo parlare anche delle carceri.

Per questo sostengo che da tempo in Italia siamo in presenza di un grande bluff, di un grande imbroglio, dove la minaccia di interventi sempre più repressivi e il suo pendant che è la richiesta di sempre più numerose strutture per il recupero anche coattivo, in realtà serve solo a coprire nei confronti dell'opinione pubblica la decisione di lasciare le cose come stanno, di lasciare quindi alla criminalità organizzata il controllo monopolistico del mercato della droga.

E sono personalmente convinto che nella gestione di questo imbroglio - sto tentando di trovare degli indicatori, dei dati che mi consentano di affermarlo in maniera non semplicemente intuitiva - operie una lobby che vede compresenti mafiosi, finanzieri, politici e organi di informazione. Che una lobby di questo tipo non possa non essere operante lo si desume anche logicamente dal fatto stesso, più volte dichiarato e attestato, dell'esistenza di lobbies mafiose e di lobbies politico-mafiose.

Ora, queste lobbies per avere ragione di esistere hanno bisogno di decidere, fare, governare; ma non è questo l'oggetto del mio intervento, questa è una delle provocazioni.

Vorrei sviluppare due punti: il primo riguarda il sostegno che un'informazione parziale e scorretta dà al dibattito sul problema; l'altro, con qualche dettaglio in più, riguarda il ruolo delle organizzazioni criminali, come fattore decisivo di incentivazione della diffusione del consumo di droga.

Non parlerò degli interventi di assistenza e di recupero dei tossicodipendenti perché, come ho già detto altre volte, sono completamente d'accordo con quanto sostengono Don Ciotti e Don Rigoldi - e cioè le comunità nazionali di accoglienza - riguardo alla riaffermazione della necessità della restituzione di una centralità al servizio pubblico - proprio tenendo conto dell'indicazione che hanno dato le comunità di accoglienza - la riaffermazione cioè con forza della necessità di investire tutto il territorio della responsabilità dell'intervento contro tutte le forme di emarginazione e di devianza, e non si può pensare di delegare al privato, anche se sociale, la progettazione e la gestione di un tale intervento.

Naturalmente, riaffermare la centralità del pubblico può far sogghignare molte persone, ove si tenga conto delle risposte che i servizi pubblici hanno saputo dare, ma in realtà il problema è se i servizi pubblici sono stati messi in condizioni di dare le risposte che pure le loro potenzialità, le professionalità presenti in queste strutture, erano in grado di dare; questo è un discorso che mi limito a mettere sul tappeto.

Per quanto riguarda l'informazione, a parte le operazioni di palese falsificazione dei dati e dei fatti, non si può non rilevare che il problema è eccessivamente drammatizzato intorno agli effetti individuali del consumo di droga.

Vorrei essere smentito, ma sostengo che sia falsa l'affermazione che una volta entrati nel mondo della droga non se ne esce più: la condizione di "tossicodipendente" per la maggior parte delle persone è una condizione temporanea dalla quale sempre - e si ricordavano ieri anche le cifre - ci si libera autonomamente.

Il fenomeno della tossicodipendenza è complesso e riccamente articolato; solo una piccola parte dei consumatori abituali di droga cade in una condizione di totale dipendenza dalla sostanza; il numero di queste persone - contrariamente a quanto si afferma - potrebbe essere agevolmente calcolato, in quanto nessun eroinomane, tranne forse pochissime eccezioni, può rimanere sommerso, perché per soddisfare il suo bisogno è costretto ad uscire allo scoperto, mettendosi in piazza, diventando criminale o spacciatore, ma anche rivolgendosi, più o meno saltuariamente, alle strutture pubbliche ed anche, per alcuni periodi, alle strutture private.

Non solo quindi potremmo calcolare il numero dei tossicodipendenti che creano problemi alla società, ma anche farne gli elenchi nominativi: è sufficiente mettere insieme gli elenchi degli iscritti ai presidi pubblici, quelli degli arrestati o dei detenuti per spaccio di droga, quelli dei denunciati per possesso di quantità più o meno piccole di droga, quelli infine di coloro che si sono rivolti a strutture private e a studi professionali.

Fortunatamente nessuno si è mai curato di fare questi elenchi, anche semplicemente numerici, e dico fortunatamente perché in questo clima l'unica cosa che sarebbe potuta scattare forse sarebbe stata qualche idea di repressione di massa.

Da un calcolo dei soli dati disponibili - quelli ufficiali che ho potuto vedere - questa popolazione ad oggi non dovrebbe superare le sessanta-settantamila unità. Un dato che, seppure preoccupante, ridimensiona comunque l'immagine catastrofica che viene data comunicando cifre cinque o sei volte superiori; e le stime più serie vengono sempre fatte ipotizzando che questo numero sia la punta di un iceberg, che il resto sia sommerso, mentre non c'è sommerso a livello di tossicodipendenti reali, completamente, cioè, subalterni all'eroina.

Un'indagine di questo tipo potrebbe però permettere interventi più mirati ed incisivi, ad esempio individuando i territori a maggiore tasso di tossicodipendenza, per studiarli a fondo in vista di interventi di risanamento sociale. Gli interventi mirati possibili sono molti, ivi compresa la somministrazione controllata di eroina, ma è possibile pensare anche ad altri interventi, sulla scuola, sui servizi, sul controllo sociale eccetera.

La mia impressione è però che a nessuno interessano i dati reali e la reale conoscenza del fenomeno nelle sue più diverse articolazioni, anche perché va di moda barare sui dati, sulle cifre, sulle cause, sugli interventi più utili, su tutto pur di tenere separate le cause dagli effetti, pur di segmentare il fenomeno e produrre nuove centralità che valgano a nascondere il centro vero del problema.

Basterebbe, ad esempio, un'analisi seria delle statistiche sulla tossicodipendenza dal '70 ad oggi, per rendersi conto che da sedici anni la quota più consistente di questa popolazione è sempre compresa fra i sedici e i diciassette anni e i ventiquattro e i venticinque anni, per cui è evidente che c'è un turn-over continuo, un'entrata e un'uscita solo parzialmente sostenuta ed assistita.

Ultima domanda: perché il consumo di droga, nonostante le campagne allarmate della stampa e degli altri mezzi di comunicazione di massa, nonostante la martellante opera di informazione fatta nelle scuole, nonostante l'attenzione e la preoccupazione costante, il controllo spesso vessatorio delle famiglie, nonostante tutto aumenta sempre?

Sono convinto che questo sia il risultato della scelta di liberalizzazione criminale del mercato della droga; una scelta che è maturata attraverso la concessione del monopolio della droga alla criminalità organizzata. Quando agli inizi degli anni '70 la mafia internazionale si è impadronita del mercato della droga, in nessun paese le dimensioni del mercato erano particolarmente significative; la domanda riguardava sostanze a basso costo, come la marijuana e l'LSD; di eroina ne circolava pochissima, e limitatamente a piccoli gruppi di consumatori; le organizzazioni criminali non potevano accontentarsi di soddisfare una domanda così povera e così ristretta.

Agendo in condizioni di monopolio e quindi di protezione del mercato, le organizzazioni criminali hanno avuto buon gioco nel realizzare un'operazione commerciale in grande stile, attraverso una dilatazione quanto mai capillare e abbondante dell'offerta; non so se qualcuno ci ha mai pensato, ma anche città e paesi lontani dai grandi centri urbani, lontani dalle grandi vie di traffico, non solo della droga, dove la droga non sarebbe mai arrivata, o sarebbe al massimo rimasta oggetto di discorsi, di fantasie, sono stati raggiunti dalla rete di distribuzione messa in piedi dalle organizzazioni criminali. Io ho studiato il fenomeno in Campania, ed è evidente: parte da Napoli e via via oggi raggiunge i paesi più sperduti del Cilento.

E' chiaro che la diffusione della droga si lega anche all'esistenza di una domanda da parte di quote più o meno consistenti della popolazione, ma il fenomeno-droga è diventato problema-droga, con tutta la sua carica di distruttività individuale e sociale, per il modo in cui si è data risposta a questa domanda, e cioè criminalizzandola, consegnandola alla criminalità organizzata.

Primo esito: il consumo di droga si è diffuso così tanto nella società, perché la merce-droga è stata resa disponibile praticamente dovunque e in qualunque momento; non riesco a pensare ad un altro tipo di intervento che avrebbe potuto realizzare questo.

Le organizzazioni criminali mafiose, inoltre, sono cresciute di numero e hanno visto enormemente arricchite le loro capacità di intervento nella società, nell'economia, nella politica.

Attraverso questa ricerca che ho fatto a Napoli, quartiere per quartiere, si vede chiaramente come con la droga le organizzazioni criminali aprano dei veri e propri sportelli bancari; non punti vendita, ma sportelli bancari dove ogni giorno si raccolgono centinaia di milioni e qualche miliardo, tutti soldi puliti pronti per essere reinvestiti che normalmente vengono investiti nel giro di pochissimi giorni, e permettono anche di evadere completamente la legge.

Il problema, quindi, non è solo quello del rafforzamento della mafia internazionale, ma anche quello della crescita di una miriade di organizzazioni criminali di stampo mafioso, camorristico che nel traffico della droga cercano anche i mezzi per un inserimento sociale economicamente legittimato.

L'ultimo esito, saltando l'esito perverso che è quello dello scaricare su chi consuma tutto il peso della repressione, sul quale tendo a rilevare che il tossicodipendente-spacciatore, il tossicodipendente-criminale sono due figure nuove, non create dall'eroina, ma create dalle organizzazioni criminali, create cioè dal modello di organizzazione del mercato. L'ultimo esito, dicevo - e anche questo assolutamente sottovalutato - è quello della diffusione di una microcriminalità sempre più violenta, sempre più estesa, dove il dato importante è la socializzazione di massa all'illegalità. Molti di questi giovani escono dalla condizione di tossicodipendenza, ma continuano a fare i criminali, perché sono entrati in un meccanismo in cui hanno trovato, in molti casi, una fonte di reddito.

L'ultima conseguenza che mi sembra da sola estremamente importante, è che la consegna del monopolio del mercato della droga alle organizzazioni criminali, in pratica vanifica ogni possibile sforzo di intervento su questo mercato, perché consegna alle organizzazioni criminali la stessa dinamica di evoluzione del fenomeno, perché in pratica sono le organizzazioni criminali a decidere, attraverso l'offerta, in quale direzione orientare la domanda.

Fino a qualche anno fa la domanda si indirizzava prevalentemente verso l'eroina; oggi l'offerta di cocaina ha differenziato la domanda e l'ha anche estesa; quello che accadrà domani non sappiamo: a decidere, comunque, saranno sempre loro.

Per fare un esempio banale, non si può dire che oggi ci sia in Italia una domanda di crack, ma il giorno in cui saranno disponibili sul mercato grandi quantità di crack, avremo decine di migliaia di consumatori; quale sarà quel giorno lo decideranno le organizzazioni criminali. Lo stesso dicasi per tutte le altre sostanze che cominciano a girare per il mondo, penso all'Estasi che sta inondando l'Inghilterra, la polvere d'angelo che sta inondando la California.

Io dico che dovrebbe bastare una prospettiva di dipendenza totale dalle decisioni della criminalità organizzata a far ragionare in maniera diversa da come oggi si sta facendo in Italia. Purtroppo, per alcuni la lotta alla droga è solo un tentativo di conquistare, riconquistare centralità, potere di decisione, ma anche riaffermare valori oggi per fortuna in disuso; per altri, le lobbies politico-mafiose, l'importante è, appunto, che non si tocchi il monopolio della droga, e sicuramente non è con la repressione, anche internazionale, che si ottiene qualche risultato.

Il punto d'incontro di queste due forze, di queste due tendenze che si combattono è la criminalizzazione del consumatore; la legge, la nuova legge non fa altro che lasciare praticamente le cose come stanno: nessuno dei meccanismi che assicurano la riproduzione e l'estensione del consumo della droga viene toccato.

 
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