Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
mar 07 mag. 2024
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Archivio Partito radicale
Ciotti Luigi - 14 febbraio 1989
Droga: Le comunità d'accoglienza e la non punibilità del consumatore.
Don Luigi Ciotti

SOMMARIO: L'autore illustra in questo intervento le ragioni del "no" alla punibilità del tossicodipendente in base all'esperienza del Coordinamento Nazionale delle Comunità d'Accoglienza , la problematica della modica quantità, il ruolo delle comunità e delle famiglie. Auspica che la droga non sia considerata come "il" problema, ma come "un" problema della realtà giovanile.

(Atti del Convegno "No alla legge governativa sulla droga, repressiva, illiberale, ingiusta", Roma 14 febbraio 1989)

Andrò per flash, mettendo in evidenza come mai noi, in base alla nostra esperienza, del Coordinamento Nazionale Comunità d'Accoglienza, ci sentiamo di dire "no" in ogni caso alla punibilità, e come mai, per quanto riguarda questo aspetto, riteniamo che il disegno di legge del governo sia molto confuso, in quanto accentua il dato di principio senza tenere conto della realtà in cui questo deve calarsi.

Diciamo che è impraticabile per i motivi che altri hanno già espresso; che è ingiusto, perché nel migliore dei casi chi viene colpito è l'anello debole della catena; che è pericoloso, perché oltre a non bloccare l'espansione del fenomeno, fa sì che aumenti la parte sommersa dello stesso che già oggi è molto estesa.

In base alla nostra lettura dall'interno - e quindi lo dico qui con molto rispetto e con la coscienza di molti limiti - che abbiamo toccando, nelle nostre città, il tasto di una situazione, possiamo dire che oggi la stragrande maggioranza dei giovani che hanno dei rapporti diversi con la droga non cercano né i servizi pubblici né le realtà private, per le nuove modalità con cui viene assunta la droga e per il modo con cui si rapportano ad essi.

Questa realtà sommersa, con la punibilità, con la barriera di accesso che si viene di fatto a creare, verrà certamente ad essere allargata, con tutte le conseguenze che oggi potete ben vedere, tenendo conto anche del problema dell'AIDS.

Per quanto riguarda la modica quantità, noi non siamo dei difensori d'ufficio, essendo disponibili a cercare anche altre soluzioni. Ci era sembrato, al di là del grande parlare di molti, che se usata nel modo giusto, pur con degli interrogativi e delle ombre che hanno accompagnato questo concetto della modica quantità in questi anni, poteva rimanere uno degli strumenti a fianco di altri che permetteva di andare a stanare, a facilitare l'incontro con le storie di molte persone.

Rimane, comunque, il problema dell'imprecisione di questo concetto, imprecisione che ha creato margini di discrezionalità non sempre positivi. Siamo aperti a cercare altre soluzioni.

Per quanto riguarda le comunità, negli ultimi tempi hanno avuto sempre una maggiore frequenza le richieste da parte della magistratura per accogliere dal carcere molti giovani. Come coordinamento nazionale noi crediamo che, per chi ha problemi di droga, il carcere non serva, a parte il fatto che vorremmo sapere a chi può servire.

Siamo però altrettanto preoccupati del coinvolgimento nel circuito penale di tante realtà di accoglienza, attraverso le varie misure alternative. Se per il singolo detenuto può rappresentare un miglioramento rispetto al restare in carcere, per le comunità questo significa consolidare la propria funzione di controllo sociale. Questa proposta pone alle comunità degli interrogativi, come il problema tra terapia e pena e il ruolo degli operatori.

Mi sembra, quindi, che il discorso comunità come proposta alternativa, pur nella volontarietà dell'accettazione da parte del ragazzo, meriti una riflessione, un punto di discussione da portare avanti.

Rispetto alle comunità, mi sembra corretto dire, come Coordinamento Nazionale, che ormai c'è una letteratura internazionale che mette in evidenza che la comunità terapeutica è uno strumento che può, in base alle esperienze anche di molti altri paesi, servire al massimo un venti per cento delle persone.

Io credo, allora, che sia necessario dire "basta" a questa enfasi che si è creata, alimentata da più parti, che vede nella comunità quasi la manna, la soluzione, la strada al problema della tossicodipendenza e di molti giovani che ne sono coinvolti.

Questo non è assolutamente un giudizio negativo rispetto a molte realtà, a molte esperienze, a molte persone, realtà soprattutto poco conosciute che in diversi ambiti del paese stanno portando, attraverso lo strumento comunitario, un loro contributo non indifferente.

C'è anche però la coscienza che questo strumento può arrivare ad un numero limitato di persone, mentre a più dell'ottanta per cento non serve. Certamente, rispetto al tossico di ieri, era uno strumento che incideva di più, ma oggi nel grande cambiamento del fenomeno e nelle sue più profonde trasformazioni, ci rendiamo onestamente conto che bisogna attivare altre risorse e altri strumenti di intervento.

La realtà giovanile, come tutti sappiamo, ha avuto cinque grandi trasformazioni nell'arco di questi ultimi vent'anni; di conseguenza mi sembra molto serio interrogarsi su questi mutamenti che hanno visto al loro interno dei cambiamenti profondi ancora più rapidi, rispetto al problema stesso del disagio e della droga, che pongono ai nostri servizi, nel pubblico e nel privato, grossi interrogativi e anche la volontà, se si vuole essere legati ai bisogni dei giovani, di un profondo cambiamento delle modalità degli interventi che portiamo avanti.

Siamo convinti che non basta rincorrere la persona, ma che è importante, per chi vive in una situazione di disagio, coinvolgere la famiglia. L'esperienza di questi anni ha fatto emergere che i gruppi che vogliono veramente e seriamente lavorare su questo problema non possono limitarsi ad essere un pezzo che fa solo accoglienza, ma devono assolutamente lavorare sul loro territorio, devono mettersi in gioco a fianco di altri, per quella strategia di prevenzione che diventa importante e fondamentale.

Prevenzione, quindi, che non è solo l'enunciazione di alcuni principi; oggi c'è una grande confusione rispetto a questo termine: si intendono azioni diverse, dall'informare, al dissuadere, all'agire politicamente. Secondo la nostra esperienza abbiamo l'impressione che veramente sulla prevenzione ci sia ancora un grande caos, tanto è vero che la legge 685 aveva già tre articoli che sottolineavano l'importanza di una prevenzione e un richiamo della scuola rispetto a questo aspetto, ma è anche vero che, salvo delle eccezioni, si è mal tradotta questa volontà di farne una strategia che non si riduca solo a qualche pezzo, a qualche corso o a qualche conferenza.

Occorre evitare, soprattutto, che il volontariato e il privato sociale diventino il delegato delle competenze di altri, disponibili a collaborare, a integrarsi, a lavorare sul territorio, ad essere un pezzo di una rete di interventi, che non diventi una soluzione comoda per qualcuno, nel nome di una crisi economica e finanziaria che quindi, tutto sommato, è una soluzione che può facilitare il volontariato, e soprattutto che il volontariato abbia l'umiltà di sentire che oggi lavorare concretamente su questi problemi vuol dire formazione, coniugare le motivazioni con una maggiore professionalità, perché disastri su questo problema - lo dico con un senso di rispetto e di umiltà - io personalmente ne ho visti tanti.

L'anno scorso in Italia si sono aperte almeno una cinquantina di nuove comunità e se ne sono chiuse almeno una trentina, perché questa generica buona volontà, o questo rincorrere, molte volte per altri motivi, questo cavallo da cavalcare, mi sembra una riflessione di cui si debba tenere conto.

Pubblico, privato, sociale, volontariato, devono lavorare insieme, ma il grande coordinatore, piaccia o non piaccia - stimoliamolo, formiamolo, cerchiamo di lavorare nel modo giusto - deve essere l'ente locale.

La droga è segno e spia di un disagio più diffuso, non è "il" problema, anche se è quello che appare di più, è certamente un problema grave. Vorrei che non si dimenticasse il raddoppio dei suicidi dei giovani in Italia avvenuto quest'anno, che è un altro segno concreto di una difficoltà e di un disagio che sta dentro, e soprattutto vorrei che non si dimenticasse che i bisogni che i giovani oggi coinvolti nella droga manifestano, da tutte le ricerche, da tutte le analisi che voi avete avuto modo certamente di vedere, sono gli stessi, tali e quali bisogni, a volte accentuati, colorati di più, dei giovani cosiddetti normali.

Bisogna allora che gli interventi sui territori siano interventi che tengono conto anche dello specifico della droga, ma che sappiano veramente lavorare rispetto al mondo giovanile, un mondo di giovani che purtroppo oggi, per la logica con cui stiamo vivendo, sono di troppo all'interno di questa realtà sociale.

Sono di troppo perché sono un'eccedenza produttiva e sono di troppo perché sono un'eccedenza culturale; il rapporto Gorrieri che annuncia che se nei prossimi anni non si farà nulla di diverso nel nostro paese avremo sei milioni di giovani che varcheranno i trenta-trentacinque anni, senza avere mai lavorato, impone una riflessione seria secondo cui non basta una legislazione sulla droga, ma che, con la stessa forza e in contemporanea, bisogna fare altri interventi, sul lavoro, sulla casa, sul servizio civile, su tutto quello che è il discorso dei giovani, la scuola e le sue prospettive. Tutto questo vuol dire cercare di creare delle condizioni perché le distanze tra le istituzioni e i giovani, tra il mondo degli adulti e dei giovani si accorcino sempre di più.

Chiudo dicendo che non vorrei che si dimenticasse che di questa amara statistica di morte per droga, molti di quelle morti - e io penso alla mia città - sono delle morti cercate; molte over-dose sono delle over-dose cercate; la povertà della speranza, per molti giovani non vedere altri riferimenti, altre prospettive, altre alternative. Il discorso che bisogna fare è un discorso più complessivo e globale, perché la situazione ha portato molta gente - e penso a Daniela, a Giancarlo, ma penso anche ad altre realtà - a tagliare questo circuito.

E' necessario, quindi, dare questa speranza, e ognuno deve operare in collaborazione: noi come CNCA abbiamo una voglia matta di lavorare con tutte quelle forze che veramente sono preoccupate di fare crescere il grado di consapevolezza della realtà, di operare concretamente sulla prevenzione, di trovare strategie di lotta al traffico, ma anche di dare un vero spazio al mondo dei giovani, perché non siano di troppo all'interno della nostra società.

 
Argomenti correlati:
droga
comunita' terapeutiche
modica quantita'
russo jervolino rosa
stampa questo documento invia questa pagina per mail