(Intervista di Paolo Pagliaro a Marco Pannella, pubblicata dall'Espresso del 27 febbraio 1989)SOMMARIO: La ricostruzione del "divorzio" con il Psi; la necessità di una alleanza politica fra Pci e radicali; la federazione laica per prefigurare un modello nuovo di partito; i radicali unici padri del soggetto verde italiano; la tentazione alla gestione militarizzata della difesa ecologica; la follia economica del proibizionismo delle droghe; il rilancio del partito radicale o altrimenti la sua scomparsa definitiva.
Garrir di bandiere, uscieri impettiti, segretarie solerti; nonostante sia domenica il Palazzo del Parlamento Cee accoglie con eurocratica efficenza e non senza una certa solennità Marco Pannella e i suoi 50 amici del Consiglio Federale e dei gruppi parlamentari radicali. Pannella li ha riuniti a Strasburgo, il penultimo week-end di febbraio, per decidere se il partito può sopravvivere. In diretta come sempre sulla lunghezza d'onda di Radio radicale.
Dopo tre giorni di discussioni, la decisione è presa. Il partito non si scioglie, almeno non prima del congresso di primavera, delle nuove campagne transnazionali e delle elezioni europee.
Nell'aula 5 del Palais d'Europe, Pannella ricorda ai suoi compagni che occorre "organizzare il ragionevole, continuo disordinamento delle situazioni". Lui, anche negli ultimi tempi, ha dato il buon esempio. Ha rotto con Craxi una amicizia che pareva solidissima, ha avviato - dopo anni di fiere e spesso feroci polemiche - un dialogo con il PCI, ha proposto a La Malfa e ad Altissimo di presentare un simbolo comune alle elezioni di giugno.
Il "disordinamento" sembra davvero totale.
Onorevole Pannella, da dove nasce la sua polemica con Craxi?
Dalla storia di questi 5 anni. Nell'83, l'anno del tracollo democristiano, al Quirinale c'è il grandissimo, il magnifico Pertini, eletto non certo perché Craxi lo volesse; c'è Craxi nominato Presidente del Consiglio, dopo Spadolini; la DC esclusa in mezza Italia dal potere locale; la stessa CISL - con Carniti - pienamente laicizzata; l'immagine socialista e repubblicana di altissimo profilo; il prestigio del PCI di Berlinguer ugualmente in crescita. In poco più di tre anni Bettino Craxi svende tutto questo, proprio tutto: la Presidenza della Repubblica, con l'elezione consociativa di Cossiga; il potere locale della sinistra; i principi laici e riformisti con il"nuovo", vecchissimo e inutile Concordato con la Chiesa; e, ben presto, la stessa presidenza del Consiglio con il patto della "staffetta".In trentasei mesi, davvero un primato. Sfido io che la DC lo sostenne "lealmente", come rivendica oggi Forlani.
Un errore dietro l'altro, a sentir lei. Non si spiega allora perché in questi anni siano cresciuti in modo così vistoso la forza, l'immagine, il potere di Craxi.
La forza? Non scherziamo. L'immagine, vorrei vedere! Le sue campagne pubblicitarie fanno invidia alla Coca-Cola. Il potere? Certo. Ma stia attento: quando fu eletto De Mita previdi che si sarebbero retti insieme e che insieme sarebbero caduti, se anche Craxi sceglieva il potere per il potere. Ancora: il Psi al congresso di Rimini, perso tutto sul piano istituzionale, arriva però con il "pieno" dell'alleanza laica e dei referendum verdi e sulla giustizia, che i sondaggi danno stravincenti. Per impedirli, la DC si trova costretta a giocare la carta della chiusura anticipata della legislatura, e ci riesce solo grazie ad uno storico errore del PCI. Alle elezioni si va dunque in questa situazione emotiva e con posizioni comuni di socialisti, socialdemocratici e radicali in termini di strategia "laica" alternativa. Il PSI coglie così il suo primo successo elettorale.
Quel PSI dunque non l'aveva ancora delusa.
Il PSI a gestione Martelli aveva accumulato, invece di svendere. Con Bettino, sorvegliante, consenziente, strategicamente d'accordo, ma in fondo lontano da via del Corso.
Poi la situazione precipita...
Poi, in meno di 18 mesi, Craxi liquida anche quel successo. Continua a fare il portatore d'acqua alla DC, svende la vittoria alle elezioni con la costituzione del governicchio Goria, si allontana dal PR e dal PLI, ordina al PSDI di sciogliersi, punta sul crollo del PCI rinnovato, tenta di andare da solo al 20% alle amministrative. Ma fa di peggio: l'infamia di sostenere una legge che cancella la responsabilità civile diretta dei giudici, malgrado l'80% degli elettori abbia chiesto il contrario; torna a rifiutare la formula epta-partita, con radicali e verdi; passa a una politica estera smaccatamente pro-Olp e anti-israeliana; sposa posizioni almirantiane in tema di droga; adotta l'ergastolo come un valore positivo; usa e abusa del potere partitocratico e personale sui mass-media e nella Rai Tv...
Pannella, questo non è solo un bilancio negativo. E' una richiesta di divorzio ed insieme una dichiarazione di guerra, o almeno una promessa di lunga inimicizia.
I socialisti, tutti, sanno che da 15 anni ho chiesto la tessera del PSI, e che il congresso di Rimini aveva deciso di darmela. Sul piano dei valori, degli obiettivi, della strategia, io non ho cambiato la mia posizione di una virgola. E' quindi indubbio che, con forze assolutamente impari, ci sia oggi uno scontro tra la politica di Craxi e quella mia, come in passato ci fu con il PCI. La posta in gioco è alta: il ritorno del Psi al centro di una prospettiva di alternativa riformatrice e l'uscita da quell'isolamento prepotente, avventuroso e trasformista che oggi lo penalizza.
Lei insomma si contrappone su tutta la linea, anche elettorale,
al Psi. Cosa cambierebbe se Craxi smettesse di vincere?
Penso che Craxi passerebbe con maggiore tolleranza ad una politica davvero riformista, accettando metodi e strutture democratiche invece che insistere con così mediocri risultati in un trasformismo crispino.
Si è scritto che Pannella potrebbe candidarsi nelle liste comuniste. Lei ha smentito, il PCI ha taciuto, qualcuno ha ironizzato. Ma nessuno ha trovato l'ipotesi inverosimile. Cos'è cambiato tra lei e il Pci?
Per la verità, se non ci fosse stato l'incredibile errore dei comunisti sul finale della passata legislatura - quando in cambio delle false spoglie del pentapartito offerte da De Mita finirono per accettare elezioni anticipate e rinvio del referendum - quest'anno avremmo già realizzato di convergere di uno schieramento laico: dal PSI al PLI da una parte, il PCI dall'altra, insieme all'assalto della diligenza demitiana. Purtroppo, s'è aggiunto il voltafaccia strategico e tattico di Craxi e tutto è andato all'aria. Ma quello era il corso delle cose...
Si, ma che cosa è cambiato?
Ci siamo combattuti ferocemente sull'alternativa laica e di sinistra, che il PCI aborriva, sul compromesso storico, l'unità nazionale e la legislazione dell'emergenza, che noi aborrivamo ed aborriamo. Così sul finanziamento pubblico dei partiti, sul nucleare, sui decreti Cossiga, sui divieti alle strutture sanitarie private di compiere aborti, sulla democrazia consociativa, sulla lottizzazione del potere locale, sul valore dei referendum, sulla giustizia, sul silenzio esasperato a proposito della P2 dominante, sul giudizio storico nei confronti del terrorismo rivoluzionario, sulla droga, sulla Rai, su un certo anticraxismo e antisocialismo aprioristico e perdente...
Lei continua a non rispondere.
Cosa è cambiato? E' cambiato tutto. Nel 1959 ho scritto un articolo per auspicare l'unità europea della sinistra liberale e laica e di quella comunista, chiedendo di rivalutare Saragat e anche Pacciardi. Oggi, se bado al lessico stesso dell'"Unità", ritrovo quasi la trascrizione di quel che sin da allora chiedevo al PCI.
Già nelle campagne elettorali di un anno fa lei è giunto ad invitare la gente a non abbandonare il voto comunista. In seguito il PCI ha appoggiato la sua candidatura come commissario CEE. Lei è disponibile ad essere candidato nelle liste comuniste, come Altiero Spinelli?
Oggi il Pci tende a dare per scontata la nostra amicizia, e dimentica che essa dovrebbe essere grande ed importante almeno quanto lo è stata la nostra inimicizia. Per le stesse ragioni e probabilmente con conseguenze altrettanto importanti.
Sia più esplicito.
Il PCI deve porsi il problema dell'allenza politica con i radicali non come obiettivo o realtà marginale, ma come una questione di grande importanza.
Cosa vi divide ancora dal PCI?
La persistente sopravvalutazione, da parte loro, di quel che è "potere" rispetto a quel che è "politica" . Ieri li rendeva filo- concordatari, filo-clericali, oggi li rende indifesi nei confronti della politica craxiana, oltre che democristiana. Mi sembra evidente che Craxi, oggi isolatissimo su ogni altro fronte, con la doccia scozzese Pci-sì Pci-no cerca di impedire che il passaggio da un voto PCI ad un voto PSI venga vissuto come un "tradimento", un avallo ad una prospettiva d'eterno bipolarismo consociativo tra la Dc e il Psi. Mi sembra che il Pc non lo comprenda o non risponda in modo adeguato. Cosa altro ci divide? Il "far corpo" del Pci non già con gli utenti e le vittime della giustizia, ma con la casta che domina i giudici italiani. Ma il Psi sta facendo ben di peggio.
Torniamo alla sua candidatura.
Rispetto alle elezioni europee ho sempre saputo che avrei deciso personalmente il da farsi all'ultimo momento, a bocce ferme.
In questo momento lei è molto impegnato nella costruzione di un fronte laico, con liberali e repubblicani.
"Questo momento" dura in verità da quarant'anni. Non ci si può più trincerare dietro l' affermazione che "le cose non sono ancora mature". Occorre accelerare decisioni straordinarie, rovesciare il corso delle cose. Agli amici del Pli e del Pri ho detto che sarei il primo nuovo aderente ad una federazione dei due partiti e, di conseguenza, alle sue liste. E' questa la mia speranza e la mia decisione.
Sembra di capire che la Federazione laica sia più di un' alleanza elettorale e meno di un partito. Lei in realtà come la immagina?
Come una struttura sovrana, aperta, all'interno della quale esistono le sovranità limitate dei partiti e dei gruppi che la compongono. E' un modello di partito diverso da quello centralistico, tardo-giacobino, burocratico o "di massa" all'italiana. Può essere la versione italiana del "partito" britannico, o di quello americano.
Dove lei farebbe politica insieme a Giorgio La Malfa, dal quale la separano molte, forse troppe cose...
Il partito democratico americano, include Jesse Jackson e gli ultraconservatori del sud. Un sistema a struttura bipartitica, di stampo anglosassone, non solo tollera, ma implica il massimo possibile di diversità. In quel sistema anche i fondamentalismi, le sette, le intolleranze sono libere, organizzate e producono società laica. Aggiungo che La Malfa fu un pessimo vescovo, mentre oggi è un ottimo pontefice.
Ma che significa "laico", al di là del lessico convenzionale della politica? Oggi la cultura laica, in Occidente, è sempre più un patrimonio comune.
Non sono d'accordo: la cultura laica è la cultura della tolleranza, della legge come regola per tutti, a cominciare dai potenti e dai sovrani; ed è una cultura politica, d'attacco, non agnostica nei confronti della vita civile. Le sembra una cultura così diffusa?
Dalle elezioni europee ci separano pochi mesi. Crede che La Malfa ed Altissimo siano pronti per il grande passo?
Siamo quasi oltre il limite della partita, in zona Cesarini. Se la squadra comincia a ricomporsi, io sono subito e totalmente a disposizione, e scenderò in campo. Spero di servire su questo fronte, il più in pericolo - per gli interessi generali - con quello socialdemocratico. Ho fiducia in loro.
Per la verità molti dei suoi guai il PSDI se li è cercati. E non direi che la crisi socialdemocratica sia vissuta dall'opinione pubblica come una minaccia agli interessi generali del paese.
Il PSDI ha finito per divenire il capro espiatorio della viltà nazionale. Gente che non ha mai fatto nulla contro la corruzione dei massimi partiti si dà così buona coscienza a buon mercato. I santuari della corruzione, della ricchezza personale di intere generazioni di dirigenti di partito, sono altri, e sono ben protetti. Il PSDI è anche il partito di Ignazio Silone, Umberto Calosso, della "Critica sociale", dei saragattiani in quanto tali, di D'Aragona, e di Aldo Garosci o Bucalossi tra i vivi. Grazie al coraggio e alla testardaggine dell'onesto Cariglia, il Psdi è uno strumento essenziale per un'alternativa laica e riformatrice.
Ma se il progetto di Federazione laica fallisse, lei cosa farebbe?
Non lo so. Vedrei se con altri si può marciare nella stessa direzione. O promuoverei una grande "Lista antiproibizionistica contro la criminalità politica e comune", sulla linea delle battaglie del divorzio, dell'aborto, della moralizzazione della vita pubblica, della difesa della giustizia giusta...
Che rapporto ha con i verdi? Dovrebbero essere i vostri alleati naturali". Lo saranno?
Per noi, per me l'ambientalismo è il nuovo umanesimo. Abbiamo proposto per la Presidenza del Consiglio, ad un Pertini allibito, il nome di Aurelio Peccei, che da quasi trent'anni aveva pubblicamente previsto tutto ciò che oggi ci minaccia. Le prime iniziative parlamentari e referendarie in Europa sono state nostre. Oltre dieci anni fa abbiamo raccolto milioni di firme contro il nucleare, contro l'assenza di un piano energetico nazionale, contro la caccia incontrollata, abbiamo animato e retto gli "Amici della Terra" quando ancora non esistevano, sul piano politico, organizzazioni nazionali ecologiste. Abbiamo imposto - accusati addirittura di "violenza" - la presentazione alle elezioni regionali dei verdi ("con due gambe si camminerà meglio", dicevamo). Abbiamo chiesto un governo che comprendesse noi e loro. Penso sia chiaro, insomma, qual'è il nostro rapporto con i verdi.
Repubblicani, liberali, radicali, verdi. Lei ha in mente un progetto comune?
Ce l'ho per e con quel 60 per cento di italiani che nei referendum essenziali - o nei sondaggi sui nostri temi principali - questo hanno chiesto e chiedono. E sono tantissimi i democristiani, oltre che, beninteso, i comunisti. Non c'è molto tempo. Io ho in mente quello che ci aspetta entro vent' anni, quando - a partire dai paesi più "civili" e industrializzati - la terra sarà investita dalla tentazione di una gestione autoritaria, in qualche misura militarizzata, della sua difesa: intendo della difesa della biosfera, dell'atmosfera, dei territori, delle acque, in definitiva della vita che apparirà minacciata di estinzione. Questa emergenza sarà invocata, guidata, esattamente dalle forze del complesso militare-industriale che sono il principale responsabile del degrado dell'umanità e del pianeta. Non servirà, a quel punto, alcun "fondamentalismo verde", poco attento e ancorato ai problemi di diritto e di libertà. Servirà una nuova classe dirigente e di governo del nostro tempo, ferocemente democratica. Radic
ali, laici e verdi, dovrebbero costituirne il nocciolo duro.
C'è una proposta sulla quale non solo liberali e repubblicani, ma proprio nessuno sembra seguirla. E' la proposta di liberalizzazione della droga.
Falsissimo. La sola volta che ho potuto discuterne ampiamente in televisione, a "Duello" di Rete 3, di fronte al bravo don Gelmini, il 51 per cento degli spettatori si schierò per la legalizzazione di tutte le droghe oggi proibite. Ma non appena Craxi è stato colpito sulla via di Washington dalla rivelazione di Nancy Reagan, centinaia e centinaia di ore televisive, tutti i grandi giornali con il "Corriere della Sera" in testa, hanno lanciato una sorta di grande carnevale, frastornante e drogato, a favore della "guerra alla droga". In questa campagna c'è una "cultura" da far paura. Il concetto dell'illegalità del semplice consumo (anche dello spinello!) è lo stesso che è stato per un secolo alla base del proibizionismo contro l'aborto e il divorzio, e di ogni altro fanatismo. E' una aberrazione, contraria alla civiltà giuridica e alla tolleranza, fondate sulla libertà e sulla responsabilità, non sui roghi dell'Inquisizione o sul potere della spada. Un paio di pensieri: l'eroina va, essa, oggi, davanti alle s
cuole, ovunque, solo perché è "droga proibita", preziosa più dell'oro. Se fosse legalizzata occorrerebbe quantomeno che gli scolari "andassero" da lei. E' il proibizionismo, cioè la legge, a far valere miliardi una valigetta di droga, che altrimenti varrebbe poche decine di migliaia di lire.
Le sue ambizioni sono molte e forti. Ma il suo partito è debole.
Sul Partito radicale dovrei rispondere mettendomi il bavaglio, come facemmo in televisione per avvisare la gente dell'essenziale: dalla tv, dalla stampa non giungevano che silenzio, censura, ostracismo se non menzogna. Da allora hanno risposto "staccando la spina". Quello che non fanno con il terrorismo, che gli è congeniale, l'hanno fatto e lo fanno con noi. C'è una sorta di terrore che la gente possa ascoltarci. Sanno che tra il 40 e il 60 per cento rischierebbe di essere con noi. Hanno distrutto con un sarcasmo violento e plebeo la forza della nonviolenza, laica, rivoluzionaria, radicale. Il contraddittorio, anima della democrazia e della giustizia, l'hanno abolito anch'esso. Allora, e a memoria futura, rispondo, non taccio.
Vi siete dati obiettivi ancora una volta molto ambiziosi.
A Strasburgo abbiamo deciso esattamente l'opposto del previsto. Non ci sciogliamo, anzi: ripartiamo all'attacco. Accettando le allegorie marinare di chi ogni tanto decreta che "la nave va" se è la sua, o "non va" se è d'altri, dirò che abbiamo deciso di uscire in mare aperto, alzando sugli alberi e i pennoni tutte le nostre bandiere ed emblemi, tutti sulla tolda o ai propri posti di navigazione e di combattimento, in alta uniforme. Il nostro Congresso dell'ultima decade di aprile, che si terrà a Budapest o a Vienna, sarà questo. Saremo lì per ricordare che quella nave è valsa ben più di tante sterminate flotte, ed ha scoperto orizzonti ed approdi senza pari. Ci prepariamo ad andare lì perché attorno a questa nave, le altre, isolate, che ritengono di battere bandiere straniere o nemiche, trovino una ragione per unirsi. Useremo, questa volta, fino all'ultimo centesimo anche del finanziamento pubblico, delle elemosine che ci giungeranno, delle nostre energie e risorse.
Per farne che cosa?
Il nostro Consiglio federale ha discusso di progetti di legge, di obiettivi praticabili, senza spesa, urgenti, a livello planetario, europeo, italiano. Lo facciamo ogni 60 giorni in quella sede, ogni quindici negli organi esecutivi. Ma la spina è staccata. Buio totale. Quanto più quel che sappiamo e vogliamo coinvolge tutti, tanto più diviene letteralmente clandestino. Ci è stata tolta, come all'intera politica non di solo potere, quasi fino all'ultima goccia di ossigeno. In due soli giorni Rai e giornali hanno dato più informazione sulla Dc di quanto non ne abbiano data a noi (e a coloro che ci somigliano) in tremilaseicento giorni. Il principio volterriano: "Aborro le tue idee, ma sono disposto letteralmente a morire per consentirti di esprimerle" non è solo generoso, ma è razionalmente necessario alla vita di chi lo condivide e lo pronuncia, della società in cui vive. Se non lo comprendete, se non lo comprende Mino Martinazzoli, nemmeno lui, allora tutto è perso, non solamente il Partito radicale. Mi corr
e dunque l'obbligo - come si suol dire -di informare che, se nulla di eccezionale accadesse, scomparirà entro poche settimane Radio radicale, e il Partito radicale entro pochi mesi. Una radio, un partito che sono stati e sono un bene pubblico, un servizio pubblico: voluti da qualcuno per tutti. Un tempo era Pasolini, dalla prima pagina del "Corriere", che dichiarava di passare al volantinaggio per il Partito radicale, per la sua vita. Ora non mi resta che farlo io, se me lo consentite. Le iscrizioni, le sottoscrizioni vanno inviate a: Partito radicale, via di Torre Argentina 18, Roma. Per iscriversi. Per dire: "sono anche radicale". Finche sia possibile e non troppo tardi. Grazie.