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Vasarhelyi Miklos, Loquenzi Giancarlo - 13 marzo 1989
Intervista a Miklos Vasharely
di Giancarlo Loquenzi

SOMMARIO: La crisi politica, economica, sociale nei paesi dell'Est è visibile solo là dove si cerca di fuoriuscire dal socialismo reale introducendo riforme. L'importanza di rimettere in discussione il passato dell'Ungheria. Il pluralismo partitico e il sistema elettorale uninomalistico.

(Notizie Radicali n· 55 del 13 marzo 1989)

D: Professor Vasharely, in questo convegno si parla di Ungheria nonché di Jugoslavia e di Polonia. In cosa ritiene sia accomunato quello dell'Ungheria al caso e ai casi degli altri due paesi?

R: La sento accomunata anzitutto per due ragioni connesse; come la Polonia e la Jugoslavia anche l'Ungheria è in crisi: crisi politica, economica, sociale. Nello stesso tempo, come questi altri due paesi, anche l'Ungheria è in cerca di una via di uscita da questa crisi e quindi è un paese che non si dà per vinto dalle circostanze sfavorevoli, che con le riforme vuole cambiare la situazione. Questa è certo una caratteristica comune, perché vi sono anche altri paesi socialisti in crisi, nonostante la crisi non sia tanto visibile. E dico non visibile, non aperta, perché nei fatti essa è almeno ugualmente grave nella Germania dell'Est, in Bulgaria o in Romania che in Ungheria, ma non se ne parla, si tace su questo fenomeno perché pensano che il loro sistema è perfetto, o quasi perfetto, e non ha bisogno di nessun cambiamento.

D: Mentre siamo oggi qui a Trieste, a Budapest sta svolgendosi un'importante riunione del Comitato centrale in cui si confrontano due diversi modi di interpretare i moti del '56 e su cui sembra si stia spaccando, in qualche modo, anche il vertice dello stesso partito. Perché è così importante per l'Ungheria ridiscutere quei giorni?

R: E' importantissimo, e per due ragioni. Anzitutto perché si tratta di avvenimenti successi 33 anni fa e quindi appartengono alla storia di Ungheria, e un popolo - se vuole andare avanti, se vuole uscire da una crisi che vige adesso - deve prima chiarire il suo passato, deve vedere chiaramente nella sua storia.

Ma vi è anche per un'altra ragione, forse più ovvia: in fin dei conti il '56, l'esplosione del '56 è scoppiata perché anche allora l'Ungheria stava davanti a dei problemi economici e politici molto gravi e la direzione di quei tempi non voleva prender atto di queste difficoltà e si è accorta della gravità della situazione soltanto quando nelle strade già si sparava. Quello che noi vogliamo evitare adesso - con le riforme, quindi con cambiamenti pacifici, graduali e progressivi - è che non si arrivi a dei conflitti sanguinosi, brutali e aperti come lo sono stati quelli del '56.

D: All'inizio di quest'anno, dell'89, l'Ungheria si è aperta in maniera promettente: al Parlamento di Budapest sono state approvate due importanti leggi che autorizzano le associazioni e il diritto di riunione. Alcuni hanno visto questa novità legislativa come l'avvio del pluralismo partitico in Ungheria. Lei condivide questo modo di vedere?

R: Sì, queste leggi dovrebbero dare l'avvio a un'evoluzione di questo genere. Naturalmente si vedrà poi, nel prossimo futuro, come la direzione del partito giudica queste leggi e le loro conseguenze, perché non bisogna dimenticare che in Ungheria c'è ancora un partito-stato, dove il potere è esclusivamente nelle mani del partito, e quindi se il partito vuole tirare veramente le conseguenze da questo primo avvio delle leggi sulle riunioni e sulle associazioni allora dovrà elaborare una nuova legge elettorale, dovrà scegliere un nuovo Parlamento, dovrà elaborare una nuova Costituzione per effettuare questo processo di democratizzazione dell'Ungheria.

D: I radicali hanno proposto una certa analisi della situazione in Ungheria - ma in generale di quella di molti paesi dell'Est - secondo cui potrebbe essere addirittura un rischio veder nascere molti partiti, perché questi rischierebbero di rimanere assoggettati comunque alla supremazia del partito comunista. Suggerirebbero invece la formazione di una struttura politica all'inglese, all'anglosassone: due blocchi grossi che si alternano al governo; opposizione e maggioranza che si alternano l'una all'altra grazie a un sistema elettorale uninominale invece che proporzionalistico, multipartitico quale è in Italia e in molte altri paesi occidentali.

R: Sì, io credo che questa sia una proposta molto seria. Però, secondo me, può essere soltanto il risultato di un processo. Non si può dare un ordine, all'opinione pubblica: adesso voi vi dividete in due grandi blocchi, adesso voterete per un partito o per un altro... Perché in fin dei conti, in quasi tutte le democrazie si finisce così, che alla fine ci sono due grandi schieramenti e magari partiti più piccoli, e in qualche modo si allineano su questi schieramenti. Però questa è una cosa che non si può regolare con prescrizioni, e quindi mi sembra inevitabile che all'inizio di questo processo ci siano diversi partiti, forse anche più di quanti dovrebbero essere. Per quel che riguarda l'altra parte della sua domanda, cioè l'assoggettamento al partito dirigente, al partito guida, al partito comunista, questo deve essere evitato in ogni modo, perché allora non si può parlare di pluralismo. Nel loro pluralismo non c'è un partito guida, non c'è un partito che assoggetta gli altri partiti.

D: In questo momento stanno nascendo in Ungheria delle formazioni nuove. Può parlarcene?

R: Sì, ci sono molte formazioni nuove, di tipo diverso: l'Associazione dei liberi democratici, il Forum democratico, associazioni indipendenti giovanili e sindacali, il nuovo Fronte di marzo; e ci sono anche due partiti antichi, che già esistevano nel periodo fra le due guerre mondiali: il Partito socialdemocratico e il Partito dei piccoli proprietari, che si è ricostituito proprio adesso.

D: In Italia c'è stato un grande dibattito su questo fenomeno ungherese; alcuni dicono che per l'Ungheria sarà più difficile che per altri paesi arrivare ad una situazione di pluralismo, perché l'Ungheria mancherebbe di una solida tradizione e di storia democratica. Secondo lei questo è vero?

R: Questo non è vero e ho paura che coloro che lo dicono non conoscano abbastanza la nostra storia. Nella nostra prima guerra di indipendenza, nella nostra rivoluzione del 1848, già una volta conquistammo questi diritti democratici; è vero che l'Austria asburgica, in una guerra che è durata fino all'estate del '49, ha schiacciato questi movimenti. Però, quando nel '67 - dopo 15 anni - ebbe luogo la conciliazione fra Austria e Ungheria, tutti i diritti conquistati nel '48 furono ristabiliti e vi fu un periodo fra il '67 e il 1914, quindi fino alla prima guerra mondiale, in cui l'Ungheria era un paese democratico, liberale, con un liberalismo molto simile a quello italiano, a quello giolittiano. Questa è semplicemente una lacuna nella cultura delle persone che dicono che l'Ungheria difetti di tradizioni parlamentari. Anche nel periodo tra le due guerre il regime ungherese era un regime controrivoluzionario e anche autoritario, però con il multipartitismo, con il Parlamento e con le elezioni parlamentari ogni q

uattro anni, non quindi un regime autoritario come quello italiano, tedesco o portoghese, eccetera.

D: Un'ultima domanda: cosa si aspetta l'Ungheria in questa fase dall'Europa, diciamo l'Europa comunitaria, la Cee, dalle istituzioni europee, al di là degli aiuti economici, dell'intensificazione dei rapporti economici; c'è una questione politica che possa essere posta assieme?

R: Sì, noi anzitutto aspettiamo dall'Europa occidentale un supporto politico e morale, un appoggio, che per noi significherebbe moltissimo, una comprensione della nostra situazione. Perché allora, se c'è questa comprensione della nostra situazione, allora certamente il caso dell'Ungheria, quando anche si trattasse ù di questioni economiche, di questioni commerciali, eccetera, sarà giudicato altrimenti che se non conoscono il nostro paese.

 
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