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Negri Giovanni - 24 marzo 1989
Possa riprendersi quel cammino
Intervento di Giovanni Negri, eurodeputato radicale ed iscritto al Psdi, nel corso del Congresso del Partito Socialista Democratico Italiano (Rimini, 9-12 marzo 1989)

SOMMARIO: Nel suo intervento al congresso del PSDI, Giovanni Negri sostiene la necessità di riformare la politica e di trasformare i partiti in soggetti politici transnazionali e transpartitici. Spiega il significato della sua iscrizione al PSDI e della decisione presa dal Pr di non presentarsi in quanto tale alle elezioni.

(Notizie Radicali n· 65 del 24 marzo 1989)

Spero, compagne e compagni, che mi permettiate di parlare qui a pieno titolo come militante del Partito socialdemocratico, come i miei compagni Lorenzo Strik Lievers e Francesco Rutelli e altri, molti dei quali sono presenti qui a Rimini e ai quali mi pare possano aggiungersene nelle prossime settimane e nei prossimi mesi altri ancora che ne manifestano l'intenzione e la volontà. Ma parlo anche qui - e credo di averne altrettanto i pieni titoli - come militante del Partito radicale, partito transnazionale; e credo che questa del transnazionale e dell'internazionale sia una storia antica che il movimento socialista, quello che si organizzava in internazionale e quello che chiamava i suoi organi d'informazione L'Umanità ben conosce, ma a volte drammaticamente dimentica. La questione operaia, la questione di classe, non fosse stata posta agli albori del secolo in termini internazionali e transnazionali, attraverso le frontiere, non sarebbe diventata quello che diventò cambiando il mondo.

Ebbene, oggi io credo che il mondo, un mondo dove è transnazionale ormai tutto, dall'informazione all'economia alla difesa, ha bisogno, il movimento socialista ha bisogno di soggetti politici transnazionali, perché al di fuori di tale dimensione non sono governabili i suoi problemi e le sue tragedie. Non lo sono e non lo saranno la più grande e nuova battaglia di classe del nostro tempo, quello dei trenta milioni di donne, uomini e bambini condannati allo sterminio per fame; non saranno governabili i problemi dell'ecosistema che scricchiola, dal buco nell'ozono alla desertificazione all'Amazzonia. Sono questioni che riguardano ormai la vita e in primo luogo la vita dei più deboli e dei più umili, la possibile caduta della cortina di ferro e la ricomposizione altrettanto possibile e spero probabile del Vecchio continente europeo in nuove istituzioni e nuove libertà. E quindi sono qui e lavorerò nei prossimi giorni perché tra poco più di un mese i radicali terranno, nella loro dimensione di partito transnazion

ale, un congresso a Budapest: per la prima volta un partito dell'Occidente non celebrerà il proprio congresso in Occidente; e spero che vi parteciperanno molti cittadini ungheresi, polacchi, jugoslavi, ma molti europei occidentali, molti italiani. Spero dei compagni, molti compagni socialdemocratici, perché nel momento in cui cade la cortina di ferro ci troveremo in quella Budapest del '56 che con la sua lotta fece aprire gli occhi all'intera sinistra internazionale - non a voi: li avevate già aperti -; aiutò Nenni a imboccare quelle strade nuove e ad abbandonare vecchi errori; aiutò i compagni comunisti a incominciare a riflettere. Ed è la stessa Budapest che oggi ha voglia di Europa e di libertà.

Ma intanto, compagne e compagni, con grande attenzione siamo qui da diversi giorni; forse non ve ne siete accorti ma abbiamo seguito quasi intervento per intervento. Perché? Noi potremmo essere altrove. Noi potremmo essere a preparare le elezioni europee, l'onorevole campagna elettorale del Partito radicale e le sue liste. Sarebbe uno scenario possibilissimo. Per altri decenni anzi potremmo prevedere un Partito radicale che grazie ai finanziamenti pubblici che sono garantiti e sempiterni, e grazie a modeste ma consolidate percentuali elettorali, potrebbe avere gruppi parlamentari, deputati e quant'altro. E (perché no?) potremmo anche occuparci - non lo abbiamo mai fatto, abbiamo scelto di non farlo - perché no?, per i nostri compagni, degli 8.000 comuni, delle Regioni, delle Province... Potremmo; ma noi vogliamo comprendere e vogliamo percorrere se possibile un'altra strada. E se abbiamo partecipato alla decisione di mettere in crisi, fra virgolette, il Partito radicale, liberandolo dai tradizionali panni di

partito nazionale e quindi conseguentemente decidendo di non presentare più liste di partito alle elezioni, se abbiamo fatto tutto questo, amando il nostro partito come la nostra vita, beh... lo abbiamo fatto in nome di progetti politici più forti, più efficaci, di speranze più grandi.

Perciò oggi abbiamo scritto che la nostra tessera al Psdi non è uno di quegli eccessi di originalità che a volte vengono rimproverati ai radicali, non è una mera testimonianza. E' stato anche questo il nostro iscriverci, per la vita e il rafforzamento del Partito socialdemocratico; ma non soltanto una semplice buona azione di solidarietà e di amicizia. Non è neanche una tessera richiesta in nome di trasformismi e opportunismi che imperano - e a dire la verità di questo nessuno ci ha accusati, peraltro, perché ormai è noto che le case dell'opportunismo sono altrove che qui, sono ben altre. Ma soprattutto, la nostra non è una tessera presa contro qualcuno; lo diceva, e lo ringrazio, il segretario del partito, Cariglia; né contro qualcuno del Psdi o del Pr, né contro altri uomini o altre forze politiche. Non è contro... Qualcuno ha scritto che noi saremmo qui per antisocialismo: io voglio ricordare che nel 1974 il Partito radicale adottò il simbolo della rosa nel pugno mitterrandiana, oggi simbolo dell'Internaz

ionale socialista e dei principali partiti socialisti europei; nel 1975 il Partito radicale propose al Partito socialista, non ancora di Craxi ma di De Martino, un patto di federazione politica fondato su un programma di riforme socialiste e laiche, riformiste; nel 1976 ci presentammo alle elezioni sol perché purtroppo quel patto non fu accettato; altrimenti non lo avremmo fatto; abbiamo animato battaglie comuni con voi e con i compagni socialisti, ne abbiamo anche animate altre - quali il nucleare - che a lungo tempo sono state solo nostre e oggi forse sembrano solo socialiste. Dopo dieci anni di convergenze o di polemiche, di alti e bassi nei rapporti con Bettino Craxi, nella scorsa legislatura, con voi e il Psi riprese un grande dialogo che approdò a una strategia comune che era molto chiara nella sua semplicità, ed era fatta di tre cose: l'unità delle forze socialiste, liberal-socialiste, socialdemocratiche, riformiste; l'alleanza di questa unità con il polo laico, con gli ecologisti, con quanto andava m

anifestandosi nella stessa prospettiva; la strategia dell'alternativa di governo guidata da questo schieramento. La mia domanda a ciascuno di noi, a ciascuno di voi, ai giornalisti, agli osservatori della vita politica è questa: cosa resta di quel grande percorso che tentammo? e per responsabilità di chi non ne resta nulla? E' forse antisocialismo questo? Resta per la verità qualche riga di giornale che ricorda delle liste comuni Psi-Psdi-Pr al Senato in diverse regioni d'Italia; ma sono righe che ricordano che il senatore Cariglia è stato eletto coi voti socialisti e mai ricordano che sei compagni senatori socialisti furono eletti con i voti socialisti, radicali e socialdemocratici.

Ma quale antisocialismo! Io sono qui con voi insieme ai miei compagni nella speranza e con la volontà che si possa riprendere quel cammino che è stato interrotto in modo miope; sono qui per contrapporre alla politica cieca dell'annessione l'esigenza della rifondazione e della federazione del socialismo in Italia.

Ha detto ieri un mio amico che tutti gli strumenti politici oggi sono inadeguati, e ha ragione: noi lo diciamo per il Partito radicale; lo si potrebbe dire, voi lo potreste dire per il Partito socialdemocratico... ma perché, questo Psi è adeguato a quella sfida e a quella speranza?, il Psi che dovrebbe avere le maggiori responsabilità? Allora io molto umilmente da qui voglio dire, molto umilmente, a Bettino Craxi, che con questo metodo Bettino si candida a essere sempre di più o Ghino di Tacco o uno dei due grandi diarchi, ma non il leader di altro, non il leader dell'unità, non il federatore. E se posso permettermi di dirlo, compagne e compagni, io credo che l'eredità di Saragat non consista nell'essere il capo fazione di una fazione partitocratica; credo sia altra l'eredità che Saragat ha lasciato: quando sapremo tutti insieme costruire questo altro allora sì, quel giorno dovrà unità, e quel giorno, credo, magari è lì, disponibile, pronto, forse dovrà uscire dal cassetto il simbolo che è il simbolo oggi de

ll'Internazionale socialista e che noi per il momento custodiamo perché oggi non è necessario, oggi non vi sono le condizioni politiche per potere tutti quanti, insieme, utilizzarlo senza negare il simbolo di ciascuna della case madri. Ma nel frattempo alla sinistra serve altro. Alla sinistra io credo serva questo Psdi, alla sinistra serve un nuovo Psdi.

Il segretario Cariglia e Carlo Vizzini hanno detto in questi giorni cose di grande importanza, sia sulla sinistra che sul modo di essere dei partiti, usando accenti nuovi. Confesso che non me li aspettavo perché in congressi di partito diversi da quelli radicali non avevo mai udito accenti di questo genere, con il coraggio di scoperchiare tabù, e se non mi sbaglio con una forte. fredda, razionale convinzione di ripartire, tutti insieme, dalla politica. Io sono d'accordo con Cariglia. A questo processo è indispensabile un partito inequivocabilmente socialista e altrettanto inequivocabilmente ancorato ai valori democratici occidentali. Io sono d'accordo con Vizzini: il partito ha necessità profonda di dirsi delle cose e di reinventarsi. Ma soprattutto io credo sia indispensabile un partito determinato e risoluto, a sinistra, a costruire il rassemblement della sinistra, ossia una casa comune ispirata al modello federativo e laburista.

Perché due le anomalie gravi in Italia: da un lato la partitocrazia e modelli di partito logori - e qua si parla con accenti nuovi, forse, di un nuovo modo d'essere del partito; l'altra anomalia è quella di quarant'anni di non alternativa, di grande forza democristiana. Ma perché la Dc ha questa grande forza? La Dc ha un modello di partito che al suo interno sa comprendere antagonismi fortissimi nel rapporto col mondo della religione, nel rapporto col mondo del lavoro, i gesuiti e Comunione e Liberazione sono antitetici, ma la Dc da quarant'anni sa comprendere tutto. A sinistra no. E perché? Perché hanno vinto e hanno dominato purtroppo (questo è il congresso sbagliato per dirlo perché lo dovremmo dire, spero lo potremo dire insieme, ai congressi comunisti e ai congressi socialisti) hanno sempre vinto i modelli di partito leninisti - oggi definitivamente in crisi - o morandiani, socialburocratici, oppure quello di oggi che non è né morandiano né socialburocratico, ma è la semplice desertificazione del partit

o che è partito oggi ridotto a deserto.

Sono contento oggi di essere qua, con un'umanità diversa da quella che conosco dei congressi radicali. Ma qui si parla, vedo, capisco, non vedo un partito desertificato, vedo un partito vivo, che ha voglia di reinventarsi, che ha voglia di lottare; e questa è la speranza della sinistra, i partiti non desertificati. E sì, perché la casa comune del riformismo o saprà ospitare e valorizzare tutte le famiglie che la compongono nella consapevolezza che le diversità sono una ragione di forza, non di debolezza; oppure sarà destinata alla sconfitta. La sinistra ha necessità di ringiovanirsi per essere adeguata alla nostra era e assicurare l'alternativa di governo. Ma come potrà farlo se non si libera e non si apre, se non pratica il contrario della desertificazione dei partiti. Spalanchi le finestre, lasci crescere i cento fiori che fanno parte della sua storia, e la sinistra sarà grande. Come si può costruire la grandezza e la forza della sinistra se non si comprende a sinistra che è la tolleranza quella che fonda

l'unità? la tolleranza all'interno del proprio partito, la tolleranza con i compagni di strada. E solo in questo spirito credo possono trovare posto in un partito quanti intendono realizzare la cultura e l'azione liberal-socialista. Io vengo da un partito, il Partito radicale, dove il presidente è Bruno Zevi, l'amico, il compagno di Carlo Rosselli. Chiediamo solo tolleranza, chiediamo rispetto. Antisocialismo questo? Ma io credo sia un atto di tolleranza e di amicizia verso Bettino dirgli di non sprecare quest'occasione storica che abbiamo tutti e di non continuare così. E' un atto di amicizia e di profonda tolleranza socialista. Non si può minacciare o lusingare Renato Altissimo perché al congresso liberale ha detto che ci vuole l'alleanza laica. Non si può diffidare di Giorgio La Malfa che ha la pretesa di difendere e innovare le tradizioni repubblicane. Non si può fare di tutto contro Marco Pannella che ha la pretesa, guardate un po', di far politica. Non si può trasformare Antonio Cariglia nel nemico peg

giore. Non si può impedire ad Achille Occhetto di andare in Germania a parlare con i compagni socialdemocratici. Non è la via per federare. Su questa via io credo, temo, non federi fra poco nemmeno più Gianni De Michelis e Claudio Martelli. Ecco perché compagni io vi confermo ciò che ho scritto nella lettera aperta (Notizie Radicali l'ha pubblicata integralmente nel penultimo numero). E' necessaria la presenza e l'iniziativa del Psdi, partito che ha fatto per anni da capro espiatorio della partitocrazia italiana, partito spesso linciato da osservatori e giornalisti che hanno puntato il dito contro di voi perché non avevano il coraggio di guardare le grandi vergogne del regime e del sistema di questo paese; partito che ha saputo in questi mesi resistere. Io credo che ogni delegato forse potrebbe scrivere ad uso della stampa - così forse faranno articoli un po' più belli - un libro bianco su cosa ha vissuto in questi mesi su, cos'è la pressione della partitocrazia; chissà se c'è un giornale che queste cose le

potrà pubblicare. Ma proprio per queste ragioni io credo che oggi voi, noi possiamo guardare a testa alta al passato, al futuro, alle prospettive che si dischiudono.

Ecco allora l'altra ragione per cui sono qui con Rutelli, Strik Lievers, e spero nelle prossime settimane con molti altri radicali che potrebbero iscriversi al Psdi e lo faranno se vi sono le condizioni per farlo e per lavorare - perché poi il radicale ha la testa dura e chiede di lavorare.

L'altra grande ragione di presenza qui è la riforma del sistema politico. E se oggi il sistema politico è l'unica cosa che in quarant'anni in questo paese non è cambiata - è cambiato come mangiamo, è cambiato come guardiamo la Tv, è cambiato come viaggiamo, è cambiato tutto: solo il sistema politico, i partiti, sono rimasti identici a loro stessi -, se è impossibile la riforma del sistema politico, quanto meno siamo qua sperando in una riforma degli schieramenti dei partiti. Ha ragione il mio amico Massimo Nicolazzi con il suo bell'intervento di ieri: gli strumenti politici attuali sono inadeguati. E quindi noi possiamo dire che gli strumenti politici come il Partito radicale, il Psdi, gli altri sono inadeguati; noi almeno ce lo diciamo. Tutti gli altri partiti ben presto - benché lo sappiano e ancora non lo dicono - saranno obbligati a dirlo. Ecco allora perché, per rendere europei, moderni, per cambiare quanto meno gli schieramenti dei partiti in Italia, siamo attenti a ciò che accade nel mondo laico e nei

partiti laici, siamo attenti a ciò che accade nel mondo ecologista e verde, di cui pure facciamo parte, e soprattutto siamo attenti alla sinistra e siamo attenti a voi. Questo è il senso della nostra iniziativa e della nostra iscrizione. La speranza che un partito libero e aperto possa accoglierci. E ci hanno interrogato in molti sui perché, anche dei nostri compagni. E io vorrei proprio concludere con la risposta a due domande.

Una domanda era: ma chi ve lo fa fare?; e l'altra: cosa c'é sotto? Ma i radicali sono lì per essere strumentalizzati o per strumentalizzare? - corrisponde un po' allo schema che qualche giornale ha dato. Bene, io proverò a rispondere.

Ce lo fa fare il nostro essere radicali. C'è sotto il nostro atto di volontà politica, il voler essere anche pienamente dei militanti del Psdi contribuendo non solo alla vita del partito ma se possibile a un grande rilancio del suo ruolo politico, al suo rinnovamento, alla sua capacità di reinventarsi.

Certo, compagni, l'innesto di cui parlava ieri Massimo da questi microfoni è un innesto delicato. E' delicato tanto per voi, compagni e dirigenti del Psdi, quanto - credo lo possiate ben comprendere - lo è per noi. E' un problema, certo; è inutile negarlo. Ma io ritengo e voglio sperare che sia un problema creativo e risolvibile. Speriamo di costituire per voi un bel problema dopo tanti problemi forse meno belli, un problema che è nato da un nostro atto unilaterale, da una decisione di iscrizione al Psdi che non è stata preconcordata con nessuno, assolutamente spontanea. Da una sorta di consegna a voi unilaterale e disarmata. In una certa misura direi che siamo nelle vostre mani. Il che non significa che si tratti di un atto di debolezza. E' un atto di fiducia, questo sicuramente.

Le consegne unilaterale sono anzi frequentemente atti di grande forza; una consegna unilaterale e disarmata, per esempio, sconvolse la mia vita, ed è di pochi anni fa. Forse il ministro Ferri, che allora non era ministro, è quello che meglio può comprendere quando dico che ci fu un atto unilaterale che sconvolse la mia vita, e fu quando Enzo Tortora si dimise da deputato europeo e disse "rimettetemi le manette ai polsi, voglio andare al vostro processo", e l'intera magistratura italiana capì quanto la nonviolenza possa essere una forza e non solo generica pur apprezzabile bontà, quanto la verità possa essere una forza, una forza politica; e ne ebbe per un istante grande paura.

Insomma noi siamo qui con il nostro molto da fare di radicali e spero molto da fare di socialdemocratici. Spero che altri compagni radicali seguano questa strada; e spero - già 50 lo hanno fatto in questo congresso, e ne siamo felici - che altri compagni socialdemocratici decidano di iscriversi anche al Partito radicale transnazionale.

Ora tocca a noi tutti - fin da lunedì uscendo da questo congresso di Rimini - far comprendere che questa vita del partito conquistata è al servizio di un progetto politico, è la speranza che la sinistra dopo 40 anni possa finalmente garantire governo e cambiamento; ora tocca a noi tutti occuparci anche delle case altrui, oltre che di casa nostra.

Diceva Forlani al congresso democristiano, citando un proverbio persiano: "spazza davanti alla tua casa e tutta la città sarà pulita". Io credo che qualcuno ha già molto e male spazzato attorno e intorno o dentro casa vostra, magari senza volerlo fare, ma non tutto il male viene per nuocere. Però adesso occorre forse qualcos'altro. Io spero che il nostro partito possa aprire tutte le porte e tutte le finestre della sua casa, che si girino un po' di materassi, che si facciano le pulizie di Pasqua, e chissà che entro pochi mesi tutta la città possa dire quanto brillano le luci della socialdemocrazia.

 
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