di Marco PannellaSOMMARIO: Il 22 marzo Marco Pannella - dalle colonne del Giornale d'Italia - rivolge ad Achille Occhetto, segretario del Partito comunista italiano, impegnato nel Congresso del suo partito, una lettera aperta con cui invita il Pci ad impegnarsi su obiettivi comuni con i radicali, in particolare sulla riforma del sistema elettorale.
(Notizie Radicali n· 65 del 24 marzo 1989)
Caro Occhetto,
sarò stato fortunato: ho ascoltato gran parte degli interventi del Congresso e tutti, nessuno escluso, sono stati per me compatibili con un Congresso radicale. Alcuni, anzi, necessari perché un nostro Congresso sia davvero radicale.
Se si facesse un esercizio pedante, minuzioso, di censimento di tutti i temi trattati e del modo in cui sono stati svolti, e pedantemente lo si confrontasse con venti anni (ma forse quaranta, se pensiamo anche a Il Mondo di Pannunzio) di scontri, a volte feroci, fra Pci e Pr, si misurerebbe appieno il valore, per me, ma anche oggettivo, della constatazione che ti esprimo.
Voi state confrontandovi con il compito immenso e urgente di immaginare, organizzare, prefigurare la crescita dei regimi e del sistema della "democrazia reale" fino a divenire gestione e governo democratico, pienamente democratico, del nostro tempo e della nostra società. A Budapest, e a Mosca, a Roma e a Washington, a Ouagadougou o a Pretoria, a Gerusalemme e a Damasco è questa l'urgenza alla quale si deve oggi positivamente e velocemente rispondere.
Altrimenti, fra pochi anni, i pericoli di morte di popolazioni intere e della vita nel e del pianeta faranno sorgere invincibili tentazioni di gestione autoritaria, paramilitare del tentativo di salvare il mondo dai suoi incubi, da una distruzione dell'ecosistema e del diritto stesso alla vita, della vita del diritto, ovunque.
Il "complesso militar-industriale", nel quale confluisce ormai la forza dell'immenso esercito della criminalità creato dal proibizionismo su alcune droghe, sarebbe così l'erede della "democrazia reale" non meno che dei "socialismi reali" e delle dittature che oggi dominano più di due terzi dei Paesi del mondo.
Dall'Italia, occorre che si organizzi subito, vincente almeno sul piano culturale, direi quasi antropologico, l'alternativa alla "politica" attuale, non tanto o solo "alla Dc"; al divorzio, suicida e assassino, fra scienza e potere, coscienza e obiettivi politici e umani.
Abbiamo dietro di noi, nel sistema e dei regimi della "democrazia reale", due tradizioni, due diverse, quasi opposte, visioni della società, dello Stato e del diritto, dell'essere parte e partito. L'una, "tedesca", quella "socialdemocratica" o "democratico-continentale": proporzionalistica, pluripartitica con partiti "ideologici" e parastatalizzati. Questo secolo ha qui prodotto tutti i mostri della nostra storia: Weimar e Madrid, Roma e Berlino, gli anschluss o i "socialismi reali" dell'Est europeo, la stessa fine della "rivoluzione" sovietica.
L'altra, "anglosassone", tendenzialmente a gestione alternativa e bipartitica delle istituzioni, con la società forte nei confronti di istituzioni e legislazioni anch'esse forti, perché rigorosamente delimitate e "laiche"; il secolo non ha qui prodotto mostri, ma la vita della democrazia.
Io credo che in tutte le crisi di regimi attuali il referente debba essere questo: dal monopartitismo o dal pluralismo, dagli Stati, dai partiti, dai "diritti" etici a quelli "liberi", destatizzati, denazionalizzati, che contengono in sé la piena possibilità dell'esplodere delle Riforme, o rivoluzioni della tolleranza, della nonviolenza, liberali.
Queste idee, queste convinzioni sono quelle che hanno caratterizzato la storia radicale: le tragedie gobettiane, rosselliane, dei federalismi liberalsocialisti, di Giustizia e Libertà, di Salvemini, di Rosselli, di Ernesto Rossi e di Altiero Spinelli, con le loro radici in Carlo Cattaneo piuttosto che in Mazzini, nella Destra storica piuttosto che nelle sinistre crispine, nel secolo dei lumi e della tolleranza; dell'immenso confronto fra il pensiero programmatico, liberal-democratico, laico, umile (e non ..."debole") e il romanticismo e l'idealismo, leninista o gentiliano che sia...
Queste premesse hanno determinato, in parte, una singolarità del nostro paese. Ignorata come ogni altra non "ufficiale". Venti, dieci anni fa io scrivevo e dichiaravo ad ogni pie' sospinto , che in Italia v'erano - nelle piazze, nei referendum, nelle idee, poi in Parlamento - due partiti in lotta: il Pci e il Pr.
V'era, in questo, appena un po' di provocazione e molta convinzione. Sulle leggi Reale, sui decreti Cossiga, sul finanziamento pubblico, sull'unità nazionale, sulle leggi d'emergenza, ma - all'inizio - sul divorzio e sull'aborto, sull'alternativa o sul compromesso consociativo, perfino - a lungo - sul nucleare, sul "sessuale", sulla nozione stessa di partito lo scontro, il dramma, qualche volta la tragedia ci ha visti additati, noi, e non altri, antagonisti e protagonisti. Abbiamo qualche volta vinto (ed è poi stata vittoria comune), abbiamo altre volte persone (ed è ancora oggi sconfitta comune).
Laicamente, dobbiamo trovare subito, oggi, obiettivi, grandi obiettivi comuni, che lo diverrebbero subito anche per il Psi, ai democratici di ogni settore. La scelta "anglosassone", uninominale secca, risolverebbe d'ufficio i problemi di denominazione, di fedeltà e superamento delle storie particolari, nel rispetto delle sensibilità di ciascuno. E la gente capirebbe questa "Riforma": il gioco politico ed elettorale avrebbe finalmente regole semplici, e per immediato oggetto e posta il governo vero della società e della vita.
Alcuni di voi (penso non pochi) sarebbero d'accordo. Ma l'errata convinzione che un "partito grande", essendo anche un partito "grosso", debba procedere lentamente, più lentamente di altri, mentre è vero proprio l'opposto, li disarma.
E sì! Ma che senso ha, in questo momento (quando noi radicali abbiamo con le limitate forze nostre cercato di fare che fosse momento di ripresa e non di ulteriore crisi del Pci, in via di rinnovamento, di riforma) il vostro continuare a misurare l'importanza delle idee, degli obiettivi, dei dialoghi, sulla base del potere e del prepotere dei vari vostri interlocutori? E dedicare al Psi tanta attenzione di congiuntura, non di merito; e a noi radicali, e gli altri laici e progressisti, una frasetta, una proposizione (anche se "positiva") ciascuno? Senza volere, certo, anche tu - come il resto dei "politici" italiani - sembri muoverti nel solco di chi chiedeva quanti uomini contasse l'esercito del Papa. E lo faceva quarant'anni fa, non secoli or sono.
Così, quale alleanza è possibile immaginare? Ci si allea con chi "pesa", non con chi vale d'attimo di un pensiero (o di due, se è del Pri), e nulla più.
In tal nodo, allearsi, lottare in comune sarebbe semplicemente "annettere" anche se non è questo che si dice di volere e si vuole.
Lo stesso accadeva con i Rosselli, con i Salvemini, con gli amici de Il Mondo, con socialdemocratici alla Silone o alla Calosso, con i democratici e liberali americani: molto onore se son nemici, poco conto se sono o si reputano ormai amici.
Così, il Congresso che avrebbe voluto tutt'altro, inconsapevolmente "si rivolge" alla Dc e al Psi, e "al popolo", a tutti. Tranne che a noi e a chi è simile a noi. Ed è una dislocazione meccanica "di potere" anche se le armi che s'usano sono finalmente idee, amori, speranze, non quelle dei potere e dei prepotenti. Così Altiero Spinelli, il Federalismo, gli Stati Uniti d'Europa sono anch'essi stati confinati nel quasi nulla, con un appiattimento involontario, mi figuro, sull'inconsistenza federalista ed europeistica delle socialburocrazie e socialdemocrazie istituzionalizzate.
Così la forza ideale, politica, storica, che rappresentiamo resta per voi inutilizzabile, e voi, in parte, per noi; come accadde ai nostri padri; ma divisi e contrapposti - oggi - da scelte storiche tragicamente grandiose.
E' questo che il Pci, che tu vuoi? Attendiamo la fine del Congresso, per meglio comprenderlo. Con fiducia, con amicizia profonda, ma anche con timore. Auguri interessati, da compagni, quindi.