SOMMARIO: La presentazione alla stampa degli obiettivi della campagna "Vivo il Tibet": far conoscere le reali condizioni delle popolazioni tibetane. Le risoluzione del Parlamento europeo, le reazioni dei diplomatici presso la Comunità e del Dalai Lama.
(Notizie Radicali n· 65 del 24 marzo 1989)
"Vivo il Tibet". E' questo lo slogan della campagna presentata alla stampa nel corso di una manifestazione-conferenza stampa tenuta il giorno prima di Pasqua davanti all'Ambasciata cinese a Roma. Erano presenti l'europarlamentare radicale Giovanni Negri, il deputato radicale Francesco Rutelli, rappresentanti dell'Associazione Italia-Tibet e della Lega per i diritti dei Popoli.
Negri e Rutelli hanno annunciato che chiederanno immediatamente il visto per il Tibet. »Lavoreremo - hanno detto - perché qualche migliaio di cittadini faccia altrettanto, con una specifica motivazione, quella di volere conoscere le reali condizioni delle popolazioni tibetane. Se questo avverrà, la cosa porrà reali problemi al Governo cinese, che sarà sottoposto alla pressione di una richiesta che non può ignorare da parte di cittadini occidentali. Saranno inoltre stampate cartoline da inviare alle ambasciate cinesi con la richiesta di libertà per il Tibet, e manifesti verranno inviati a tutti i ristoranti cinesi con la richiesta che vengano appesi. Il tutto all'insegna dello slogan "Vivo il Tibet".
»Si tratta di una campagna - hanno detto Negri e Rutelli - fatta di pochi, semplici atti, che se compiuti da migliaia di cittadini italiani ed europei potranno influire su un governo cinese non solo impegnato nella distruzione della identità tibetana, ma sordo alle proposte nonviolente del Dalai Lama.
Come noto, pochi giorni or sono il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione di condanna delle repressioni e della legge marziale in Tibet. Il ruolo svolto dai tre deputati radicali a Strasburgo è stato perciò attaccato dai diplomatici cinesi presso la Comunità. Il lancio della campagna "Vivo il Tibet", a sostegno delle proposte del Dalai Lama, rappresenta non solo una risposta alle pressioni delle diplomazia cinese sui parlamentari, ma la volontà di non limitarsi all'approvazione di un pur significativo atto parlamentare.