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Stanzani Sergio - 22 aprile 1989
35· Congresso di Budapest(4) Relazione del primo segretario
Sergio Stanzani

IV.

VERSO UNA CRISI DELLA DEMOCRAZIA E DEL DIRITTO NEI PAESI DI DEMOCRAZIA REALE

SOMMARIO: Nel quarto capitolo della relazione presentata dal Primo segretario del Partito radicale al Congresso di Budapest, Sergio Stanzani denuncia la crisi della democrazia nei paesi occidentali e in particolare in Italia. Sottolinea l'incapacità dei governi occidentali di affrontare le grandi sfide del nostro tempo fra cui quella dello sterminio per fame nel sud del mondo e quella del dissesto ambientale.

(35· Congresso del Partito Radicale, Budapest 22-26 aprile 1989)

Ho rivendicato al partito radicale l'onore ed il compito di essere stato in qualche modo il "partito del Parlamento europeo": il partito di un Parlamento in lotta per conquistare poteri effettivi di direzione e di controllo democratico.

E' un'espressione che può evocare quella del gandhiano "partito del congresso", lo strumento rivoluzionario dell'indipendenza indiana.

Può apparire un'affermazione presuntuosa e velleitaria, fuori di ogni realtà e di ogni possibilità. Ma io oso pensare che non sarebbe impossibile al partito che ha scelto la figura di Gandhi nel proprio simbolo, fare appello, con la lotta politica e le armi della nonviolenza, alle opinioni pubbliche dei popoli europei, per trarne forza nel dialogo con i loro Governi e convincerli ad abbandonare le loro resistenze e ad intraprendere la strada dell'unità.

E' questa possibilità, in verità, ostruita e preclusa. Sempre di più rischiano di essere vanificati i presupposti stessi della democrazia, che consistono in una libera scelta fra opzioni diverse. Ma se viene a mancare la conoscenza degli elementi della posta in gioco, se viene a mancare l'uguaglianza dei punti di partenza fra le forze in gioco, la scelta non è più libera.

Un nuovo potere - quello dei mass media - si è sviluppato ed imposto al di fuori di qualsiasi regola, al contrario di quanto è avvenuto, nel corso dei secoli, quando si sono via via venuti costituendo e precisando i poteri classici dello Stato moderno: l'esecutivo, il legislativo ed il giudiziario.

L'affermarsi al di fuori di ogni regola di questo nuovo potere altera il tradizionale equilibrio di questi poteri, rischia di annullarne il loro fisiologico funzionamento ed asseconda la creazione di un "potere di fatto", anch'esso irresponsabile e di rado illuminato, il potere partitocratico, che per l'essenziale sta realizzando forme di monopartitismo imperfetto almeno in quei paesi dove vige il pluripartitismo proporzionalistico. Ma forse a fenomeni analoghi è

attribuibile anche il sempre più difficile processo di alternanza

democratica in un paese di bipartitismo classico come la Gran

Bretagna.

E' certo, comunque, che il potere, da mezzo, sta diventando il fine della politica ed i partiti politici, da strumenti di governo per la realizzazione di programmi approvati da maggioranze democratiche, sempre più stanno diventando strumenti di mera occupazione, gestione e spartizione del potere.

Può apparire provocatorio e paradossale che, proprio nel momento in cui entra in crisi la dittatura del partito unico ed il diritto assoluto del potere negli Stati cosiddetti socialisti, noi si debba discutere e riflettere su una crisi della democrazia negli Stati europei occidentali, che ci induce a parlare di "democrazia reale" con un significato in senso molto lato, analogo alla definizione di "socialismo reale" che per decenni abbiamo da soli usato - insieme a pochi intellettuali indipendenti - fino a quando non è stata adottata dal resto della sinistra anche comunista.

Sento qui il bisogno di eliminare ogni equivoco.

Non intendiamo mettere sullo stesso piano fenomeni diversi: da una parte l'assenza di democrazia e dall'altra fenomeni di involuzione o di crisi della democrazia.

Non possiamo però neppure ignorare il fatto che, proprio mentre nelle società socialiste si ripropone, fra mille difficoltà e fra mille contraddizioni, il problema di ricostruire una "società di diritto", negli Stati occidentali la crisi del diritto - del diritto civile e penale - e nel mondo, soprattutto per responsabilità degli Stati democratici (e di quali altri se no?) la crisi del diritto internazionale sono ormai tali, anche per gli esperti e la scienza giuridica e politica, da farci attendere legittimamente che il motto radicale "per il diritto alla vita e la vita del diritto" diventi ben presto, ma probabilmente troppo tardi, comune a molti altri.

In occidente non c'è più dibattito sulla questione, in senso lato, della "giustizia". Perciò non esistono più profonde differenziazioni fra i partiti come luoghi in cui s'incarnano diversi ed alternativi sistemi di valori; i loro diversi nomi in effetti sono ormai solo effetto e riflesso di una memoria storica, non corrispondono in alcun modo a programmi politici ed ideali attuali.

L'ordine esistente è in sostanza accettato, ma non tanto come giusto, quanto come immodificabile; il problema è soltanto adeguarsi ad esso al meglio, ritagliandosi, allora, ciascuno (singolo, gruppo sociale, paese) il proprio spazio e semmai operare per aggiustamenti.

La nuova "potenza dell'occidente" ed il suo "passare all'offensiva", il suo imporre il proprio modello nel mondo - lo ha rilevato Gianni Baget Bozzo, un politologo che è fra i pochi ad avere, a volte, in Italia, grandi capacità di intuizione e analisi teorica - è avvenuto in questo contesto ed in questo spirito, che è quello del liberismo reaganiano. Il reaganismo, il tatcherismo, manifesta la potenza e l'efficienza del modello occidentale, ma non propone il modello occidentale come valore, come realizzazione di un'idea universale di "ordine giusto", di giustizia, fondata sui diritti dell'uomo e sullo stato di diritto.

Si ha così il paradosso: proprio quando il fallimento del comunismo porta nei paesi dell'Est appassionato dibattito, tensione, intorno ai valori di libertà, diritto, giustizia "occidentali", l'occidente non sente più se stesso come il luogo che ha la responsabilità di realizzare, tutelare, esaltare e propagare questi valori.

Così l'occidente non si accorge che nel mondo attuale, tanto radicalmente interdipendente, democrazia e diritto "occidentali" sono monchi ed impotenti proprio rispetto alle sfere di decisione fondamentali, se non si estendono ad una dimensione sovranazionale e transnazionale.

L'occidente è il luogo vero, oggi, della crisi del modello democratico-liberale, non vissuto come un valore per il quale battersi, non sentito come "problema".

Stiamo attenti a questi fenomeni e non esitiamo a denunciarli proprio qui in Ungheria perché ne temiamo gli effetti. Le democrazie hanno perso nei confronti del fascismo e dello stalinismo quando - dopo la prima guerra mondiale - non sono state in grado di concepire e creare forme più alte di ordine e di giustizia interna ed internazionale, ed hanno ricominciato a creare i presupposti per vincere solo quando, in America con Roosvelt e in Gran Bretagna con i laburisti e con alcuni teorici liberali hanno cominciato a fornire risposte adeguate alla crisi del capitalismo di allora e risposte più alte ed umane, oltre che democratiche, a quelle proposte dal fascismo e dal comunismo. Ma era troppo tardi. E il prezzo di quel ritardo fu pagato con la seconda guerra mondiale.

Dobbiamo chiederci, con franchezza, se oggi la maggioranza dell'opinione pubblica dell'Europa occidentale, così intimamente condizionata dalla cultura dell'indifferenza politica e dell'evasione ideale, imposta dai grandi monopoli informativi, sia capace di esprimere forti movimenti di rivolta contro la miopia suicida dei potentati e delle burocrazie nazionali.

Dobbiamo guardare con grande freddezza al rischio, altamente probabile, che la spinta propulsiva della democrazia occidentale - la stessa che dopo secoli di guerre fraticide consentì di concepire una comunità in cui potessero riconoscersi e convivere tedeschi e francesi, italiani, olandesi e belgi - si sia ormai interrotta. Una società soddisfatta del proprio benessere, della propria ricchezza e dei propri consumi, si chiude in se stessa a vivere di rendita, e - quando non produce la disperazione della rivolta terroristica o le pulsioni suicide della droga - diffonde rassegnazione: rassegnazione alla follia economica e politica dei dodici bilanci della ricerca, della difesa, dell'industria; ma rassegnazione anche alla distruzione dell'ambiente, che minaccia la vita stessa del pianeta; rassegnazione ed assuefazione di fronte al nuovo olocausto di milioni di vite umane sterminate od affamate ogni anno dal sottosviluppo, dalla miseria, dalla malattia; rassegnazione al diffondersi sempre più grave della violenza

, che cresce intorno alle circoscritte zone garantite da un'effimera sicurezza e da un precario benessere.

 
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