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Stanzani Sergio - 22 aprile 1989
35· Congresso di Budapest(13) Relazione del primo segretario
Sergio Stanzani

XIII.

SEDICI MESI DI ESPERIENZA TRANSNAZIONALE: LUCI ED OMBRE DI UN PERCORSO DIFFICILE

SOMMARIO: Nel tredicesimo capitolo della relazione presentata dal Primo segretario del Partito radicale al Congresso di Budapest, Sergio Stanzani presenta un bilancio dell'azione per la costruzione del partito trasnazionale, sottolineando la difficoltà d'insediamento nei paesi dell'europa occidentale. Migliori prospettive si aprono invece nei paesi dell'europa dell'est.

(35· Congresso del Partito Radicale, Budapest 22-26 aprile 1989)

Ci eravamo posti l'obiettivo di tremila iscritti nel 1988. Ne abbiamo invece raggiunti 1.032. Dobbiamo concludere che la scelta che abbiamo compiuto, di creare un partito transnazionale, si è rivelata un'ambizione sbagliata, una grande illusione?

No. Non è stato così. Dobbiamo guardarci da giudizi liquidatori. Le difficoltà sono state maggiori del previsto. Ma in poco più di un anno d'iniziativa politica abbiamo cominciato a veder affiorare, passo dopo passo, teoria e pratica transnazionale.

Certo, si tratta di alcune esilissime condizioni e premesse, che non vanno però assolutamente sottovalutate, perché il passaggio dallo zero all'infinitamente piccolo dello 0.01 potrebbe rappresentare, nella durata, un primo salto di qualità più consistente ed importante di momentanee crescite quantitativamente assai maggiori, ma destinate a restare - una volta autosoddisfatte - per sempre marginali o sconfitte.

In tutta la mia relazione c'è la spiegazione dei motivi per i quali le risposte sono state deludenti o insoddisfacenti lì dove le eravamo andate a cercare e più importanti e consistenti del previsto proprio lì dove meno speravamo di poterle avere.

Nell'analisi delle involuzioni che si verificano nei paesi che ho definito di "democrazia reale" c'è, probabilmente, la ragione dei ripetuti fallimenti di insediare in Francia organizzazione ed iniziativa politica di nuovo radicalismo, dell'impenetrabilità culturale e politica in Germania e in Gran Bretagna e della mancanza di adeguato sviluppo alle pur promettenti adesioni iniziali che avevamo avuto in Spagna ed in Portogallo.

Mentre il disgelo dei paesi del "socialismo reale", con la fame d'informazione e di dibattito, con la ricerca del nuovo e l'esigenza di affrontare in maniera creativa e utilizzare al meglio le opportunità che si offrono, è anche il motivo delle risposte più incoraggianti che abbiamo avuto in Jugoslavia, in Ungheria, in Polonia, nella stessa Unione Sovietica.

Uguale importanza attribuisco alle iscrizioni del Bourkina Faso, con la presenza attiva nel partito di Basile Gouissou, che dopo la sua liberazione ha accettato di essere nostro primo segretario aggiunto, e del compagno Salif Diallo.

Questo paese, la cui situazione è forse fra le più tragicamente emblematiche del Sahel, ci manda un messaggio di speranza. Perché da questo paese, dove i fatti parlano il linguaggio della violenza, dove la rivoluzione ha affidato alla violenza il compito di realizzare il "paese degli uomini giusti" e - ripetendo quanto mille volte si è verificato negli ultimi due secoli - ha finito per mangiare se stessa e ritorcersi contro i suoi figli, proprio da qui, proprio dai protagonisti di questi eventi drammatici e luttuosi, ci sono venuti alcuni concreti segni in direzione della nonviolenza e del dialogo, della speranza di ricostruire - anche in quelle difficilissime condizioni - una civiltà ed una convivenza fondata sul diritto.

Lì dove perfino la natura è violenza e dove il colonialismo prima, e poi l'indifferenza del capitalismo internazionale, hanno creato nuova violenza, anche solo parlarne è difficile. Ed ogni fatto che vada in questa direzione può apparire miracoloso. Tanta maggiore importanza e tanta maggiore gratitudine tributiamo ai compagni che sono venuti a testimoniare questa volontà e questa speranza dal Bourkina Faso.

Da tutto questo, da quanto è avvenuto nel corso dell'anno e che è stato fatto da noi o da altri, da ciò che ho ascoltato e dalle riflessioni che faccio, io traggo la conferma che, pur fra enormi difficoltà, nelle nostre due scelte di fondo degli ultimi due anni (riforma democratica delle istituzioni nazionali nel senso del bipartitismo classico di tipo anglosassone e riforma transnazionale della politica rivolta a creare istituzioni sovranazionali e diritto transnazionale) c'è forse la chiave per dare una risposta, non solo eurocentrica ed euro-comunitaria, ma assai più generale, ai problemi del nostro tempo.

In queste due scelte c'è forse lo specifico della proposta politica del partito transnazionale, che può essere legittimamente tentata e sviluppata sia nel contesto dei diversi regimi a partito unico (dell'Europa dell'Est come dei paesi africani e del Terzo Mondo) sia, quanto meno, dei regimi pluripartitici e proporzionalistici insediati soprattutto in Europa e nella Comunità europea, ad eccezione della Gran Bretagna.

Raccogliendo l'essenziale di questo stesso ragionamento, la mozione conclusiva dell'ultimo Consiglio Federale che abbiamo tenuto a Strasburgo ne ha tratto la conseguenza che a questo partito radicale transnazionale spetti il compito di promuovere il partito della nuova democrazia e del nuovo diritto, che sono necessari alla Riforma della politica ed alla governabilità delle crisi internazionali e delle crisi nazionali.

Ma qui si apre il discorso, concreto e drammatico, delle nostre reali possibilità; del contrasto fra i nostri necessari obiettivi politici e le concrete possibilità di perseguirli.

 
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