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Hendriks Aart - 4 maggio 1989
Lo status dell'HIV e i diritti umani
di Aart Hendriks

SOMMARIO: Intervenendo alla Terza Riunione Internazionale per i Sieropositivi, l'autore descrive le implicazioni sul piano dei diritti umani che risultano dalle reazioni contro i sieropositivi, nonché le misure applicate per combattere l'AIDS. Un'attenzione particolare è dedicata all'atteggiamento giuridico nei confronti dei sieropositivi da parte dei governi europei in generale, e di quello danese in particolare.

Mi hanno chiesto gli organizzatori di questa Terza Riunione Internazionale per i Sieropositivi di fare una presentazione sulla relazione tra la sieropositività e i diritti umani, sottolineando gli attuali sviluppi in questo campo. Come collaboratore del Centro Danese per i Diritti Umani, dell'Istituto Panos e dell'Istituto per i Diritti Umani nei Paesi Bassi, mi sto occupando della questione da oltre un anno e pertanto suppongo sia questo il motivo per cui gli organizzatori mi hanno chiesto di intrattenermi in un intervento su una problematica così complessa.

Prima di tutto, tuttavia, desidero esprimere i miei più sentiti ringraziamenti per l'invito ad intervenire alla conferenza, che sono stato lieto di accettare. Vorrei anche ringraziare l'Istituto Panos del suo appoggio nel farmi arrivare qui a Copenhagen. E mi auguro che le mie parole saranno un incentivo per trattare alcune questioni specifiche nei seminari previsti per questo pomeriggio se non un aiuto nell'elaborazione di una politica comune tesa a diffondere la consapevolezza dei problemi che devono fronteggiare oggi i sieropositivi.

Mi rendo conto, comunque, di quanto è difficile abbozzare un sunto che sia pertinente per tutte le nazioni, fintantoché le politiche nazionali e le situazioni sociali, economiche e culturali variano di luogo in luogo. Di conseguenza, mi limiterò a descrivere in generale le implicazioni sul piano dei diritti umani che risultano dalle reazioni contro i sieropositivi, nonché le misure applicate per combattere l'AIDS. Dedicherò un'attenzione particolare all'aspetto giuridico che riguarda i sieropositivi. Cercherò di fare ciò rientrando in un'ottica molto ampia, dato che sono del parere che molte delle questioni e molti dei problemi connessi con il fenomeno della sieropositività sono radicati in strutture sociali che hanno radici più profonde.

La preoccupazione dei diritti di chi è o di chi si presume suscettibile di incubare certe malattie che minacciano la vita, è nata sulla scia degli esami clinici moderni e dei mezzi di monitoraggio. E' stato in particolare attraverso un'approfondita conoscenza dell'organismo umano e dei suoi tratti ereditari, raggiunta per mezzo della ricerca e dello sviluppo in campi come la microbiologia, la biochimica e la medicina, che si è aperta la possibilità di fare previsioni e calcoli sullo stato biochimico e sull'arco di vita delle persone. I vantaggi che offre questa metodologia sono che - almeno in alcuni casi - gli interventi medici o le misure terapeutiche preventive possono realizzarsi nelle prime fasi. Si possono dare anche consigli sul modo di vita più consigliabile o sull'impatto dell'ambiente genetico o sullo stato di salute degli aspiranti genitori.

Tuttavia, l'impatto negativo della sperimentazione moderna ed i metodi di controllo in varie occasioni hanno compromesso i cosiddetti vantaggi. Essere al corrente dello stato di salute di una persona non è sempre auspicabile e in alcuni casi può essere

considerata una violazione della "privacy". La diffusione di queste informazioni può essere all'origine non solo di un grave fardello psicologico, ma addirittura far sì che alla persona in questione venga negato l'accesso a vari tipi di beni e servizi sociali, come il lavoro, la previdenza sociale, l'istruzione ecc. La riservatezza sullo stato di salute, in particolar modo per quanto riguarda il diritto di "privacy", è tuttora nebulosamente definita. La giurisprudenza e l'interpretazione legislativa non hanno formulato una normativa ben definita che conceda una maggiore tutela giuridica ai cittadini. In molte occasioni a questi viene chiesto di fornire informazioni precise sulla propria condizione di salute in base ad una conoscenza inequivocabile. Pertanto, la persona, in fin dei conti è costretta ad adeguarsi a tali procedure per ottenere ragguagli medici più completi attraverso certi esami clinici e metodi di monitoraggio. Nella società odierna il questionario medico è di vastissima diffusione, ironi

camente da parte di coloro che, in campo sanitario, non possono considerarsi in alcun modo né competenti né responsabili. Gli esami medici e le dichiarazioni mediche sullo stato di salute sono diventati strumenti "accettati" da parte di quelle istituzioni che forniscono (l'accesso ai) beni e (ai) servizi per ridurre i propri rischi finanziari. La salute e gli strumenti per misurarne lo status/suscettibilità nei confronti di certe malattie, si sono rivelati fattori di grande rilievo nel settore non-medico per massimalizzare i guadagni mediante una restrizione di costi "evitabili".

Nel caso dell'Aids e del virus Hiv, possiamo scoprire tendenze analoghe. Tuttavia, l'Aids presenta alcune caratteristiche da cui possono nascere reazioni particolari:

1) L'Aids, essendo una nuova malattia, è circondata da tutta una serie di malintesi, paure, pregiudizi, razzismo e giudizi di valore morale. Le vie di trasmissione del virus Hiv confinano con tabù come l'amore, il sesso e gli stupefacenti;

2) La malattia si manifesta in modo che i membri di alcuni gruppi sono colpiti più duramente di altri. I gruppi che rappresentano la maggioranza dei casi sono già quelli che hanno una posizione sociale meno favorevole. Vengono etichettati come "gruppi ad alto rischio", quasi che il loro modo di vita avesse causato - o per lo meno facilitato - la diffusione del virus Hiv;

3) Finora nessun vaccino o mezzo terapeutico si è dimostrato efficace nel fornire una protezione contro l'infezione o per sradicare il virus dall'organismo umano. L'elaborazione di una cura è diventata argomento di speculazione per l'industria farmaceutica, presa dal desiderio di guadagni e da interessi sul piano delle relazioni pubbliche.

4) Dal 1985 esistono metodi sperimentali per individuare la sieropositività. Sono facilmente procurabili e utilizzabili su vasta scala. Ma finora poca attenzione è stata concessa al problema di garantire la riservatezza dei risultati dei test e la tutela della divulgazione non autorizzata di queste informazioni.

5) Esiste una schiera di persone impiegate e remunerate grazie alla crisi Aids. E in generale manca una politica di collaborazione che trovi un riscontro con la categoria in questione, cioè, quella dei sieropositivi. E agli esponenti di questa categoria è di rado che si aprano nuove prospettive lavorative, benché vengano a crearsi molti nuovi lavori altamente remunerati, che richiederebbero certe capacità e esperienze che potrebbero avere proprio i sieropositivi. In organizzazioni con limitati mezzi finanziari, come le Linee Dirette Aids, i "Fari" Aids e altre di orientamento sociale, c'è una maggiore partecipazione da parte dei sieropositivi. Ma anche tra queste organizzazioni di ispirazione popolare, il coinvolgimento dei sieropositivi è sempre esiguo, e vengono segnalati dei casi di sieropositività anche nello stesso ambiente.

Per i Governi - e in modo particolare per le autorità sanitarie - l'Aids costituisce innanzitutto una minaccia alla salute pubblica. E' entrata in vigore in molti paesi una legislazione epidemiologica in materia dell'infezione Aids-Hiv, e sono state attuate direttive ad hoc per "contenere la nuova malattia" e proteggere il cosiddetto "pubblico generale" dai sieropositivi. A questo proposito, va menzionata in primo luogo la precettistica comportamentale applicata sia a coloro che si sono rivelati sieropositivi, sia a coloro "a rischio". In secondo luogo, si tratta di misure "preventive" pregne di implicazioni che non sono di portata minore. Occorre citare particolarmente la legislazione che riguarda la registrazione e la notifica, i progetti di test obbligatori, le restrizioni nei confronti della procreazione, del viaggio, della residenza, ecc.

Le misure legislative in campo di Aids sono generalmente accompagnate da una campagna informativa sulla malattia per far sapere alla popolazione come proteggersi dal virus Hiv, rivolgendo in contemporanea un monito ai sieropositivi a non trasmettere la malattia alle persone non infette (talvolta sotto pena di sanzioni giuridiche per rafforzarne il peso). E benché ci siano state (e sussistano) notevoli variazioni contenutistiche ed anche variazioni sui tempi dell'entrata in vigore di tali misure, a seconda del paese, si riscontra che in quei paesi che hanno adottato questo tipo di atteggiamento nei confronti della pandemia Aids, le reazioni ufficiali hanno provocato o forse addirittura accentuato la divisione nella società. Sta di fatto che si è creata la divisione nelle società tra sieronegativi e sieropositivi, o talvolta tra "il pubblico generale" e tutti coloro che sono Hiv positivi o ritenuti Hiv positivi.

Le informazioni destinate esclusivamente al "pubblico generale", che tendono ad emarginare i sieropositivi, hanno avuto l'effetto di stigmatizzare i sieropositivi e di allontanare tutti quelli dichiarati o sospettati di essere sieropositivi. Per questo motivo si è detto a più riprese in sede di congressi internazionali che la discriminazione e la stigmatizzazione minano il sistema sanitario e pertanto sono da evitare. (v. "The London Declaration", World Summit of Ministers of Health, 28 January 1988). Ci sono pochissimi paesi in cui le campagne sono destinate a tutti i gruppi della popolazione, rispettando i vari modi di vita e limitandosi ad esporre i fatti. A questo riguardo vorrei riferirmi al paese che ospita questa riunione, la Danimarca, dove le autorità sanitarie hanno lanciato campagne di vasto respiro con molta fantasia. Nella campagna danese c'erano accorati appelli per la solidarietà, l'integrazione e la nondiscriminazione. D'altra parte, è d'obbligo citare la Francia, la cui legislazione pro

tegge i diritti dei sieropositivi ed evita gli abusi dei test Hiv, laddove è possibile. Questi test possono essere effettuati solo dopo aver ottenuto il più rigoroso consenso. I datori di lavoro, le compagnie d'assicurazione non hanno quindi il diritto di informarsi sulla presenza o meno del virus Hiv.

La giustificazione di fondo dei governi nell'introdurre certe misure restrittive nasce in genere dal loro obbligo di garantire un certo livello di salute e cure sanitarie tra la popolazione. Il diritto alla previdenza sociale è espresso negli articoli di vari documenti giuridici tanto a livello nazionale quanto internazionale, con diritti e obblighi che spettano sia ai governi che ai singoli cittadini.

Ma per quanto riguarda gli impegni dei Governi, non può succedere che si invoca la giustificazione della tutela sanitaria per i "sani", mentre si ignorano i diritti e richieste particolari dei "malati". Il diritto alle cure sanitarie, affiancato dal principio di nondiscriminazione pone un freno anche alla diffusione di informazioni sanitarie in modo selettivo o discriminatorio. Parimenti, si ha la possibilità di impedire l'instaurazione di ostacoli nei servizi sanitari e nella consulenza, che ha come conseguenza, talvolta, che il principio dell'accessibilità uguale per tutti ne risulta leso.

E come è sempre il caso quando si tratta di questioni giuridiche, non si possono guardare i singoli provvedimenti ma bisogna prendere in considerazione tutto il testo del documento, studiando l'interpretazione del tribunale e considerando alla fine i più recenti documenti, proposte e stralci di legge preparati dai legislatori. Vanno approfonditi particolarmente quei provvedimenti e articoli che permettono una privazione o una restrizione dei diritti basilari. Bisogna prendere atto che gli effetti di tutti i diritti, compresi i diritti dell'uomo, hanno un limite. In genere si può affermare che un diritto ha raggiunto il suo limite quando si verifica una situazione in cui una rivendicazione o una libertà individuale entra in contrasto con un interesse o una rivendicazione a livello della società (o da parte di un altro membro della società). Un'antica massima vuole che la libertà individuale cessa non appena viene violata la libertà di un altro.

La tutela della "sanità pubblica" può essere una ragione sufficentemente legittima per limitare o infine restringere i diritti e le libertà dei singoli membri della società. Il Governo ha l'obbligo di tutelare la salute della comunità, inter alia di evitare che le persone contraggano malattie contagiose. Di conseguenza, si possono adottare misure che combattono la fonte dell'infezione. Questo, però, non implica che tutte le limitazioni e tutte le restrizioni sono legittime. Le restrizioni dei diritti umani dovrebbero sempre basarsi su espliciti provvedimenti giuridici.

In questo senso è importante sapere quali diritti hanno un carattere assoluto, quelli che non possono essere ristretti in nessun caso - come il diritto alla vita, e la libertà contro la tortura, il razzismo, il trattamento disumano, ecc.

I diritti che possono essere soggetti a certe restrizioni sono solitamente accompagnati da una lista esauriente di condizioni a cui bisogna ottemperare prima che tali restrizioni possano considerarsi legittime davanti ad un tribunale.

La motivazione della "sanità pubblica" non è di per sé sufficiente per restringere i diritti altrui. Per esempio, secondo la Convenzione Europea per la Tutela dei Diritti Umani e delle Libertà Fondamentali, è possibile ledere il diritto alla vita privata e a quella famigliare nell'interesse della sanità pubblica, ma solo a patto che siano osservate le seguenti condizioni (Art. 8(2)):

(1) che tale lesione sia stata preordinata dalla legge

(2) che tale lesione sia necessaria alla società democratica

(3) che tale lesione non colpisca proprio il nocciolo del diritto in questione.

In termini più terra terra: la tutela della "sanità pubblica" non costituisce automaticamente una legittimazione per ledere un diritto altrui. Spetta alle autorità dimostrare che esiste un impellente bisogno di limitare un particolare diritto o libertà, che la misura abbia una sua efficacia, sia equilibrata e non vada più lontano del necessario nel tentativo di proteggere i cittadini secondo i disegni concepiti dalle autorità.

Ora arrivo alla questione principale che desideravo affrontare con voi oggi.

- Quali provvedimenti che ledono un diritto altrui sono da considerarsi legittimi?

_ Fino a che punto la posizione di un sieropositivo si differenzia da qualsiasi altra persona per giustificare un regime giuridico sui generis?

La risposta al primo quesito può essere espressa facilmente così: solo pochissimi provvedimenti che ledono i diritti e le libertà sacrosanti possono essere oggetto di discussione in sede di revisione giuridica. Sono consapevole che la vera e propria interpretazione dei diritti e delle libertà dipende dalla legislazione nazionale, che varia di Stato in Stato. Di conseguenza, ogni legislazione sanitaria può avere una fisionomia ben distinta. In base alla legislazione epidemiologica nazionale, alcuni paesi potrebbero introdurre un sistema di notifica e di avviso tassativo per quanto riguarda i casi di sieropositività. E in base alla normativa internazionale per i diritti umani, i sistemi di notifica e di avviso dovrebbero rispettare al massimo la riservatezza delle informazioni, evitando che identità di chi si sottopone al test venga divulgata ad una cerchia più diffusa di persone, senza il consenso dell'interessato.

La giustificazione di un sistema di test obbligatorio è più difficile derivare dai provvedimenti che fanno capo alla normativa internazionale dei diritti umani. La lesione dell'integrità mentale/fisica è inerente a tutti i sistemi di questo tipo. Sarebbero poi da discutere le ripercussioni sul piano del diritto all'informazione. Gli uni asseriscono - e personalmente sono fautore di questo punto di vista - che il diritto all'informazione include anche il diritto di non sapere. Pertanto, mettere una persona davanti ai risultati di un certo esame sanitario può portare alla violazione di questo diritto all'informazione, e cioè, il diritto di non essere informato su certe questioni.

Nel caso dell'Aids, è importante fare riferimento alle dichiarazioni fatte ai convegni, organizzazioni e conferenze internazionali. In varie occasioni, sia i Ministeri della Sanità che i Capi di Governo, le agenzie dell'ONU e le organizzazioni che trattano la questione sanità-diritti umani in maniera enfatica, sono riusciti a dissuadere l'approvazione di sistemi di test obbligatori, la limitazione dei diritti dei sieropositivi, e le misure che possono portare al deterioramento della situazione sociale, economica e politica dei sieropositivi e i gruppi tra la popolazione che sono identificati con l'Aids.

In conclusione vorrei dire che la partecipazione ad un test per individuare il livello degli anticorpi nell'organismo, il confronto con i risultati dei test e la trasmissione di queste informazioni a terzi può avvenire solo nel caso in cui è stato dato volontariamente il consenso dell'interessato.

A mio avviso, la violazione del diritto di "privacy", dell'integrità fisica e dell'informazione sulle misure - come la sottomissione incondizionata ai test degli anticorpi-HIV per poter usufruire di vari beni e servizi, o l'obbligo di metter gli altri al corrente dell'esito dei test - nella maggioranza dei casi sono interventi illegittimi e non possono giustificarsi mediante provvedimenti giuridici internazionali. Sia per le istituzioni pubbliche e private, non esiste quasi nessun impedimento alla richiesta di esigere l'esame Hiv nei confronti di chi dipende da questi servizi. Per quanto riguarda l'impiego, l'assicurazione e l'intervento medico, non è realistico dire che uno possa scegliere liberamente se sottoporsi ai test Hiv o no. Chi dipende da qualcuno non è in condizioni di prendere una decisione volontaria e non può disporre liberamente, dei propri diritti o usufruire dei propri diritti come vorrebbe. Per la maggiore parte delle persone, il lavoro rappresenta un bene sociale indispensabile per gua

dagnarsi da vivere. La copertura assicurativa è necessaria per accedere alla "previdenza sociale", un altro diritto umano universalmente riconosciuto. Esistono anche altri diritti, come quelli dell'educazione, della casa, delle cure sanitarie, dell'asilo politico, della procreazione, ecc. che possono essere lesi, dato che la fruizione del diritto dipende dallo status di sieronegatività. Per le persone che non sono capaci di ottenere o non sono disposte ad ottenere tale certificato, coloro che decidono l'accesso a questi diritti non hanno nessuno scrupolo a limitare o persino a negare l'accesso ai diritti.

Benché a questo riguardo sia le istituzioni pubbliche che private siano colpevoli di aver attentato ai fondamentali diritti umani, la minaccia principale - almeno in Europa, proviene dal settore privato. Secondo le tradizioni liberali - sposate attualmente da molti governi - le autorità non dovrebbero ingerire inutilmente nei rapporti orizzontali tra cittadini. Dovrebbero essere applicati i provvedimenti costituzionali esclusivamente nei rapporti Stato-cittadino. In base a questa filosofia, le autorità dovrebbero trattare i cittadini come parti contrattuali uguali, con libertà di determinare il contenuto degli accordi.

Come ho già puntualizzato, in molte situazioni non possiamo considerare le parti alla stessa stregua dal momento che all'uno serve la collaborazione dell'altro per poter vivere. I governi che trascurano questo aspetto commettono un atto di grave negligenza con il risultato che impediscono la fruizione, o addirittura permettono la violazione dei fondamentali diritti umani. Tuttavia, nello stato occidentale della Baviera, sono state le autorità statali ad ordinare l'esame Hiv prima di poter accedere alle funzioni pubbliche. Chi si rifiuta di sottoporsi a questi test non potrà impiegarsi, a prescindere dal loro attuale stato di salute. Questa politica è stata anche adottata da alcune imprese private, col risultato che (a) per quanto riguarda i test, viene violato il principio del consenso informato, dato che il rifiuto di sottoporsi al test ha conseguenze di vasta portata; (b) per i sieropositivi viene violato il diritto di accesso al lavoro senza discriminazione, sia da parte delle autorità statali che da

i privati.

Una delle responsabilità e dei compiti principali di questa riunione è quella di esaminare le possibilità di attirare l'attenzione dei governi su questi problemi e, di conseguenza, trovare soluzioni accettabili.

Un secondo problema che ho sollevato riguarda la questione di fino a che punto la posizione giuridica di un sieropositivo sia diversa rispetto a quella di ogni altra persona.

La risposta a questa domanda non è lunga: non c'è nessuna differenza, a meno che non si possa dimostrare che lo status di sieropositività non sia di una tale precipua importanza da giustificare e rendere necessario un trattamento diverso.

Ma come ho già detto, le cognizioni sullo stato di salute, ivi comprese quelle concernenti lo status Hiv, appartengono ad un'atmosfera privata e dovrebbero pertanto essere tutelate come diritto alla "privacy". E a meno che il monitoraggio su certe suscettibilità, malattie o tratti fisici non sia basato su un principio giuridico, la decisione di sottoporsi ad un test simile, compreso quello dell'Hiv non può essere altro che personale. Lo stesso dicasi delle decisioni di chi informare sul proprio stato di salute.

I sieropositivi devono subire reazioni esagerate e violazioni costanti dei loro diritti a causa di paure prive di fondamenti sul carattere dell'infezione Aids/Hiv, insieme all'eccessiva identificazione sia della malattia sia della persona malata con il sesso (detto anche "promiscuità") e gli stupefacenti. Non credo che ci sia bisogno di portare esempi, e darò per scontato che la maggiore parte di voi - sfortunatamente - avrà già provato questa esperienza da vicino.

Un motivo per cui è stata organizzata questa riunione è la frequenza con cui avvengono le violazioni dei diritti dei sieropositivi in tutto il mondo. Sono stati mandati chiari segnali che questi attentati ai diritti sono inaccettabili e vanno contrariati. Varie iniziative sono state elaborate per combattere le violazioni dei diritti dei sieropositivi a livello locale e internazionale. Siamo qui oggi per discutere le possibilità di coordinare azioni e di elaborare una politica comune. A questo fine ritengo sia necessario ricapitolare quali organizzazioni sono già alle prese con questo problema, e spiegare quello che si sta facendo realmente.

A livello internazionale, vorrei riferirmi innanzitutto alla Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). L'OMS ha accettato di gestire la coordinazione globale delle attività in materia di Aids, mantenendo un collegamento ravvicinato con la maggioranza dei governi sull'insieme dei problemi affini. A differenza dell'agenzia dell'ONU, l'OMS non ha funzioni legislative. Il che significa che la collaborazione con gli stati membri poggia in certo qual modo su una base "volontaria" e che gli Stati, nell'adempimento alle loro politiche di previdenza sociale, non sono vincolati alle convenzioni internazionali. Tuttavia, per quanto riguarda l'Aids, l'OMS ha elaborato varie iniziative per promuovere una presa di posizione comune nei confronti della pandemia Aids che sfocia in politiche nazionali che sono tra di loro complementari. Finora, l'OMS ha riportato successo in quanto tutti i governi hanno almeno dimostrato la volontà di stabilire contatti e fare comunicazioni sulla situazione dell'Aids nei loro paesi. D

al 1988, l'OMS ha espresso un vivo interesse nella questione del rispetto dei diritti umani nell'ambito delle politiche nazionali sull'Aids. Allo scopo di incoraggiare ciò, l'OMS ha stabilito stretti legami con altre agenzie dell'ONU, organizzazioni specializzate e commissioni/comitati che si occupano dei diritti umani. A titolo d'esempio, posso citare l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), l'Alto Commissariato per i Rifugiati dell'ONU (UNHCR), e il Centro dei Diritti Umani dell'ONU. Finora, molti hanno ammesso che l'Aids ha un impatto sul raggiungimento dei loro obiettivi e sul rispetto dei diritti umani in generale. L'OMS ha organizzato una serie di riunioni con rappresentanti da questi organismi per discutere il problema, elaborare nuove direttive in campi particolari, adottando infine politiche d'intervento.

Ci sono anche altre organizzazioni intergovernative che si allineano alle iniziative dell'OMS.

In Europa la situazione è leggermente diversa in quanto due organizzazioni intergovernative hanno competenze lungimiranti e talvolta persino autorità legislative. Il Consiglio d'Europa (CEE) ha elaborato una politica attiva in campo di Aids, che ha condotto all'approvazione di importanti risoluzioni. La CEE si interessa soprattutto di sanità, degli aspetti sociali e umani dell'Aids, nel tentativo di armonizzare le politiche europee. Un sottocomitato di esperti non è ancora riuscito a redigere un nuovo documento sui compiti e doveri dei sieropositivi, date le divergenze d'opinione tra i rappresentanti dei governi degli Stati membri. La Corte Europea dei Diritti Umani - istituita dalla Convenzione del Consiglio d'Europa è incaricata di prendere decisioni vincolanti sui casi di sua competenza in merito all'interpretazione o all'applicazione della Convenzione per la Tutela dei Diritti Umani e delle Libertà Fondamentali. Le istituzioni della Comunità Europea si sono dedicate particolarmente al problema dell'i

mpatto economico dell'Aids, come, per esempio, le conseguenze per il diritto di libera circolazione dei cittadini della CEE e quello dell'accesso al lavoro. L'Aids e le divergenze nelle politiche dell'Aids possono anche implicare nuovi ostacoli nel processo verso l'integrazione europea. Sono stati accettati alcuni documenti e risoluzioni (nonvincolanti) dal Consiglio, dalla Commissione e dal Parlamento Europeo. La maggiore parte delle iniziative sono partite dal Parlamento Europeo e dai Ministri della Sanità, una riunione nell'ambito del Consiglio. La Commissione segue uno speciale programma Aids, e ha dimostrato ultimamente interesse nell'includere le implicazioni sociali e politiche dell'Aids.

Tutte queste organizzazioni intergovernative dipendono in qualche modo dalle informazioni e le reazioni che provengono dalle organizzazioni d'ispirazione popolare che operano in campo Aids.

A livello nazionale, tutti i governi hanno fondato un comitato nazionale sull'Aids. Esistono differenze per quanto riguarda le denominazioni ed i compiti di questi comitati, ma in genere svolgono un ruolo coordinativo dentro il paese. Molti di essi, tuttavia, si occupano esclusivamente di questioni sanitarie a scapito delle implicazioni dei diritti sociali e umani.

In molti paesi ci sono organizzazioni nongovernative (NGO) che affrontano la pandemia Aids. Per quanto riguarda l'impatto (delle reazioni) dell'Aids sulla fruizione dei diritti individuali, lasciate che citi alcune organizzazioni. La Croce Rossa riunisce alcuni "task force" in vari paesi, tentando di coordinare le loro attività.

Le linee dirette "Aids" non solo forniscono informazioni sull'Aids; un numero sempre maggiore di persone che incontrano difficoltà a causa dell'Aids si mettono in contatto telefonico con queste istituzioni. Durante la Prima Conferenza Internazionale per le Linee Rosse Aids (tenutasi ad Amsterdam nell'aprile del 1989), fu deciso di procedere alla raccolta di questi dati, tentando poi di utilizzarli a sostegno delle politiche nazionali.

I'Instituto Panos di Londra raccoglie dati dal mondo intero sull'impatto sociale, economico, politico e culturale dell'Aids - detto anche "La Terza Epidemia". L'Istituto Panos è stato attivo nell'individuazione di misure controproduttive e discriminatorie nei confronti della sieropositività. Una pubblicazione speciale su questo è prevista entro la fine di quest'anno. L'Istituto Henry Durant di Ginevra, istituto di ricerca che collegato strettamente con la Croce Rossa e il Movimento "Red Crescent", raccolgono documenti da tutto il mondo che hanno attinenza alla discriminazione che nasce dalla sieropositività. La Commissione ha indetto una conferenza dedicata alla questione che sarà tenuta a settembre a.c.

Alcune organizzazioni di servizio "Aids" dai paesi industrializzati hanno espresso preoccupazione per la situazione. Gruppi simili organizzano incontri nei paesi meno industrializzati. La "Deutsche AIDS-Hilfe" (Aiuto-Aids Tedesco) ha stampato opuscoli e mandato profilattici alle organizzazioni di servizio Aids polacche. L'Aiuto Svizzero Aids ha una politica simile verso l'Ungheria.

L'Associazione Internazionale per le Lesbiche e gli Omosessuali (ILGA), nonché la Federazione Mondiale per gli Emofiliaci stanno ancora meditando l'elaborazione di una politica ad hoc sull'Aids.

Ai partecipanti di questa riunione vorrei dire: cercate possibilità di collaborazione con altre istituzioni e organizzazioni che hanno scopi simili o uguali a quelle di cui fate parte. L'organizzazione di un organismo internazionale per i sieropositivi non dovrebbe essere una meta assestante. La collaborazione con altre organizzazioni è necessaria per raggiungere quanto prima i nostri obiettivi: cioè, il pieno rispetto dei diritti dei sieropositivi in modo che siano trattati alla stessa stregua dei cittadini "normali".

Questa riunione potrebbe servire per scambiare informazioni sulla maniera in cui sono stati realizzati contatti sia con le autorità che le altre organizzazioni a livello nazionale e locale. Ci dovremmo anche informare sulle misure, azioni e campagne che non hanno inciso positivamente sul raggiungimento dei nostri obiettivi. E non per ultimo, i nomi e gli indirizzi dovrebbero essere scambiati onde creare una rete internazionale di gruppi solidali in tutto il mondo.

Sono arrivate proposte da varie parti di elaborare un Ordinamento dei Diritti dei sieropositivi. Questo ordinamento dovrebbe indicare gli inalienabili diritti, che sono applicabili anche nei confronti dei sieropositivi.

Inoltre, l'ordinamento citerebbe i particolari diritti che spettano ai sieropositivi in modo che essi possano usufruire della piena tutela di altri diritti e opporsi ai trattamenti ingiusti e alla discriminazione.

Tuttavia, a mio avviso, non sarebbe il caso di redigere un simile ordinamento. Ritengo che l'elaborazione di un Ordinamento per un gruppo particolare non farebbe altro che accentuare l'effetto, con ripercussioni autodiscriminatorie. Un Ordinamento ad hoc non dovrà nemmeno esaminare le caratteristiche che i sieropositivi hanno in comune con i membri degli altri gruppi sociali. E' risaputo che in particolare, nel caso dell'Aids, molti problemi nascono da un razzismo profondamente radicato, dall'omofobia, xenofobia, un'avversione per i tossicodipendenti e per le prostitute, se non da problemi generali riguardanti l'applicazione degli esami medici, dall'importanza dello status di salute, ecc.

Dobbiamo anche renderci conto che i problemi che attanagliano i sieropositivi cambiano rapidamente, andando in direzioni impreviste. E' quasi impossibile che un Ordinamento possa prevedere e fornire tutela in tutti i settori.

Nei Paesi Bassi è stata istituita una piattaforma dei consumatori in campo assicurativo. In questa piattaforma collaborano le associazioni nazionali dei sieropositivi con le organizzazioni nazionali dei consumatori, emofiliaci, omosessuali, lesbiche, (ex) clienti psichiatrici ecc. Inviterei calorosamente i partecipanti di questa riunione a cercare simili forme di collaborazione in settori diversi ogni qualvolta possibile.

Si richiedono cambiamenti nelle campagne Aids, nelle politiche di sanità pubblica e nelle misure legislative in molti paesi. Una rete internazionale di gruppi di supporto può facilitare lo scambio di informazioni e la coordinazione di una politica comune. Spero sinceramente che questa riunione sarà utile in modo che si possa spianare la via per sviscerare certi problemi, imparando dalle esperienze reciproche.

Vi auguro una riunione molto proficua.

 
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