Intervento di Marco Pannella al Parlamento europeoSOMMARIO. Si dichiara favorevole all'ampliamento dell'Europa, "coloro che bussano alla porta vogliono l'ordine nell'ambito di una libertà che devono ancora conquistare". Non voler aprire l'Europa significherebbe lasciare, al suo interno, un potere sempre più grande alle forze conservatrici, incapaci di rinnovarsi e di "concepire" il nuovo. La questione va impostata così, e non come diatriba tra federalisti "dogmatici" e "realisti".
(DISCUSSIONI DEL PARLAMENTO EUROPEO, 26 luglio 1989)
Pannella (NI). (FR) Signor Presidente, signor presidente della Commissione, negli interventi tanto brevi bisogna avere un obiettivo.
Vi è qualcosa che non funziona, che va rivista con urgenza: la tesi del non ampliamento. Il pericolo è grave. In passato era la tesi un tantino dogmatica dei nostri federalisti che non volevano far entrare altri membri col pretesto che un aumento numerico avrebbe comportato un annacquamento della coesione.
Oggi il problema si pone nei termini seguenti: coloro che oggi bussano alla porta vogliono l'ordine nell'ambito di una libertà che debbono ancora conquistare. Non è un'associazione economica che li interessa. Lo stesso impero sovietico ha oggi tutto interesse a veder regnare l'ordine alle sue frontiere, l'ordine nella libertà perché questo aiuta il processo della perestroika.
Continuando a tener chiuse le porte degli Stati Uniti d'Europa alla Jugoslavia, all'Ungheria, alla Polonia, a rifiutare loro queste idee-chiave che, nella storia, portano avanti l'ordine e lo sviluppo, noi veniamo meno alla nostra vocazione. All'interno, invece, ci troveremo di fronte ad un potere sempre più grande delle forze conservatrici, delle istituzioni che si autoconservano e che sono incapaci di concepire. Perché concepire significa rinnovarsi.
Il problema va impostato in questi termini e non in una diatriba fra federalisti dogmatici e realisti, o cosiddetti tali. Nei prossimi mesi l'abbandono, non del mito, ma della realtà della riforma istituzionale rischia di costare caro anche ai fini dell'unione economica e monetaria, perché due anni fa parlavamo di unione intendendo unione europea mentre ora parliamo di unione economica e monetaria. Le deroghe che verranno imposte al calendario, alle speranze di Delors, dalla logica delle strutture e nel vuoto della grande riforma istituzionale dell'unione europea non ci faranno prendere ancora del ritardo di fronte alle nuove esigenze dell'Europa e del mondo, ritardo che sarà superiore fra un anno a quello che si era raggiunto dieci anni fa?
Noi dobbiamo misurare il cammino, non in base al tratto percorso, ma alla luce delle urgenze che ci offre la storia, oggi. In questo caso credo che siamo autorizzati ad essere molto pessimisti e a lottare, pertanto, con coraggio e vigore rinnovati.