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Pannella Marco - 9 agosto 1989
Lettera di convocazione del Consiglio federale di Roma (1-5 settembre 1989) del Presidente
Marco Pannella

SOMMARIO: Convocando il Consiglio federale del Partito radicale a Roma per i giorni 1-5 settembre 1989, Marco Pannella, nella sua qualità di Presidente del CF, indica i temi di discussione sui quali i consiglieri sono invitati ad portare il loro contributo di riflessione.

Care compagne e cari compagni,

1) Non v'è partito al mondo, credo, che debba confrontarsi e pubblicamente si confronti, come fa il nostro, al pari di uno Stato o di società commerciali o di imprese, con il problema del proprio bilancio, delle risorse e delle spese, della omogeneità e della pertinenza dei mezzi e dei metodi usati con i fini perseguiti, della trasparenza assoluta della propria gestione: presupposto e condizione di capacità democratica di autogoverno e di governo delle istituzioni, di conquista e di prefigurazione di quel "nuovo possibile" che solo può pienamente giustificare l'esistenza autonoma di una forza politica autonoma e singolare.

Questa peculiarità è così forte e straordinaria, così - appunto - singolare, che i mass media esistenti, espressione e facitori della cultura dominante e tradizionale, non sono in condizione di trasmetterla, di farla conoscere e vagliare, criticare o accettare e scegliere. E' - d'altra parte - quel che sempre più accade nella "democrazia reale" di gran parte del mondo democratico anche per i bilanci pubblici, dello Stato, o delle grandi società private, soprattutto se multinazionali.

2) Non v'è partito al mondo, credo, che intenda avere e abbia le caratteristiche di transnazionalità, di transpartiticità, di estraneità deliberata e coltivata dall'obiettivo della "presa del potere", in quanto tale, e che di fatto ipotizzi e postuli nei propri associati non solamente il diritto ma una sorta di dovere di appartenenza anche ad altre associazioni politiche.

Questa altra peculiarità risponde a urgenze e necessità le cui evidenze rischiano di essere accecanti, tanto sono chiare: chi non comprende, infatti, che i nuovi, adeguati soggetti istituzionali e politici non possono che essere oggi - di fronte ai problemi delle nostre società e del nostro tempo - transnazionali, rispetto agli Stati esistenti, e transpartitici, rispetto ai partiti nazionali e ideologici? E chi non vede il ritardo enorme, che si è già accumulato e accumula, e il rischio che i grandi poteri economici, criminali, multinazionali e transnazionali diventino sempre più anche gli unici luoghi di vero potere politico?

3) Non v'è partito al mondo, credo, che abbia scelto e già praticato la nonviolenza politica (gandhiana; ma anche e altrettanto laica e umanistica) quale necessario, coerente, sviluppo della civiltà giuridica fondata sulla tolleranza, sulla democrazia politica, sullo Stato di diritto e i diritti civili, politici, individuali, rifiutando di confinare al di fuori della pertinenza della politica, della moralità politica (quali "valori" "religiosi", "morali") i principi e i diritti di coscienza.

La peculiarità storica del "corpo radicale", quale si è venuto caratterizzando per stratificazione delle sue varie lotte e conquiste, rappresenta l'unica esperienza ragionevolmente e coscientemente vissuta, l'unica elaborazione di segmenti nuovi di

teoria della prassi sociale, politica, nonviolenta e laica, neo-umanistica.

La nonviolenza come forma di dialogo, di scelta determinata di "amore" deliberato nell'ambito del confronto politico, in primo luogo verso la persona che incarna o rappresenta il potere, persona fisica, ma anche giuridica, per recuperare la pienezza umana e individuale, personale, propria e dell'"avversario", comporta infatti, ormai, regole nuove e chiare. Fra queste, la prima è che mai, in nessun caso, le armi "estreme" della nonviolenza, il digiuno, lo sciopero della fame o della sete, possono essere frutto di disperazione e non di speranza, di sfiducia e non di fiducia, e devono fondarsi sulla difesa e sulla rivendicazione di quel che l'"avversario", e in primo luogo "il potere", ha l'impegno, il dovere incontestato, l'obbligo giuridico riconosciuto, l'intenzione manifestata, di attuare. La nonviolenza è forte, in un certo senso assolutamente "aggressiva" nei confronti della violenza (che può consistere anche nel non-fare il dovuto e il voluto) è certamente "drammatica" contro il tragico binomio: "

inerzia-violenza". E', la nonviolenza quale l'abbiamo vissuta e regolamentata, difesa e creazione di diritto, di leggi, di doveri e di diritti.

Molte forme di lotta "nonviolenta" sono invece veri e propri ricatti, violenze contro la coscienza altrui, l'estremo atto violento e mortale, da parte di chi non ha più che il corpo proprio da scagliare nella morte-salvezza, visto che non può più tentare di scagliarvi quello del "nemico".

Nella "democrazia reale" la nozione del potere, della lotta politica è di estrazione e di natura "giacobina", anche se l'antileninismo ideologico e storico ha costituito un alibi per apparire "democratici" realmente.

La nonviolenza è l'arma dell'inerme, del povero, della persona che non ha, o che non vuole porre in gioco, altro che la parola e l'"amore" - come valore e strumento politici - e dar loro letteralmente "corpo". La sua forza è nell'umiltà, nella ragionevolezza, nel "convincere", cioè nel "vincere con" l'altro e non nel vincere contro l'altro, nel vincere l'altro.

Non v'è partito al mondo, lo ripeto, che sia andato in tal modo all'assalto delle situazioni violente, e che, da due decenni almeno, ha vissuto secondo quella chiarezza di scelta che ha portato gli studenti di Pechino a innalzare come una sola bandiera la "statua della libertà" americana e la nonviolenza di Gandhi. E che abbia potuto e saputo, in modo sempre più concreto e forte, in tal modo armarsi e armare, e dimostrato la superiorità di questa scelta.

4) Non v'è partito al mondo, credo, che abbia praticato sistematicamente e positivamente, non di rado con successi straordinari nella situazione storica italiana, ma non solo in essa, la difesa dei diritti alla diversità, dei "diversi", per ideali e per comportamenti, per cultura, storia, religione moralità, sessualità, situazioni patologiche, coerentemente con la convinzione laica che se esistono perversioni non esistono perversi, ma - appunto - diversi. E questo vale, deve valere, è valso, per i più "perversi": quelli che usano il potere come violenza, e si ritengono esenti dal dovere di rispettare, come ogni altro, le leggi.

Non v'è partito al mondo che si sia fondato e si fondi, per regole scritte, per statuto, sulla pienezza di libertà e di responsabilità, sul permanere del diritto alla contraddizione, al dissenso, a scelte contrapposte nella pratica civile e politica, dei propri membri. Non esiste partito al mondo, ne sono sicuro, che ritenga che i propri membri sono liberi di non applicare alcuna disciplina, che ritenga che chiunque debba potere, senza possibilità di autorizzazione o di approvazione di chicchessia, iscriversi e avere pienezza di diritti statutari, grazie al semplice acquisto della tessera, come si acquista il biglietto per l'uso di un mezzo pubblico o privato di trasporto, o di un servizio.

Un tale partito esiste ed è esistito, per tre decenni, ed ha visto realizzarsi il più straordinario, unico, rapporto fra iscritti e realizzazioni, fra costi e ricavi, numero e qualità dei suoi membri e numero e qualità dei membri degli altri partiti conosciuti. In Italia, in poche centinaia di iscritti, poi con un massimo di tremila (tranne una eccezione), il Pr è stato il partito in assoluto più "legislatore" e più aggregante sul piano degli obiettivi specifici, senza mai una sola posizione di potere a qualsiasi livello delle istituzioni e della società, locale o nazionale, di fronte a partiti i cui iscritti si sommavano a milioni, o centinaia di migliaia, e disponevano di potere e di poteri istituzionali e sociali.

Questo partito, secondo gli stessi suoi avversari, ha determinato la sopravvivenza di centinaia di migliaia, se non di milioni, di persone che altrimenti sarebbero state sterminate per fame e sete nel sud del mondo; ed è stato il più presente ed efficace nella difesa dei diritti umani e civili, in particolare (ma non solamente) nei paesi retti da dittature, in primo luogo quelle del comunismo reale, oltre, naturalmente, che in Italia.

Care compagne e cari compagni,

potrei - come molti di voi sanno - continuare ancora a lungo a ricordare quel che è proprio della storia e della natura del nostro partito. Ma basta quel che ho già rievocato per precisare quale sia la posta in gioco del Consiglio Federale che si terrà a Roma, dal 1 settembre, presso l'Hotel Ergife.

Le relazioni del Primo Segretario e del Tesoriere, ed altre comunicazioni dei componenti della Segreteria e della Tesoreria, di compagni che hanno affrontato particolari compiti per il partito, ci consentono di giungere ormai preparati più che mai nel passato ad assumere decisioni vitali (o mortali) per il Pr.

La situazione è chiarissima: se da una parte la domanda di Partito radicale (con le caratteristiche che ho in parte rievocato) sta diventando letteralmente travolgente, dall'altra la situazione economica, organizzativa-politica, di iscritti è letteralmente catastrofica.

Abbiamo già praticamente usato il danaro che gli iscritti italiani, grazie alla presenza straordinaria e conclusa nelle vicende istituzionali, elettorali, in Italia e nel Parlamento Europeo dovrebbero riscuotere nel corso del 1990. Siamo, nel mondo, poco più di duemila, anziché gli almeno trentamila che potrebbero consentirci di vivere, operare, contribuire a far fronte alle difficoltà tremende, per tutti, del momento che il mondo vive.

Il Consiglio Federale, quest'anno, per decisione del Congresso di Budapest, comprende di fatto la "classe dirigente" del Pr, pressoché per intero. Ho deciso di allargarlo alla partecipazione di non pochi nuovi iscritti di particolare valore. Saremo all'incirca un centinaio, un vero e proprio "Congressino". Il Consiglio Federale sarà diffuso in diretta sulla rete nazionale italiana di Radio Radicale. Lo Statuto e la volontà politica del Primo Segretario e del Tesoriere, del Presidente del partito e mia ci assegnano i massimi poteri deliberativi, anche quelli congressuali (sia pure a determinate condizioni).

Speriamo di poter contare sulla partecipazione dei compagni sovietici, in particolare di Evghenia Debrawskaia. A questo scopo il partito sta vivendo una mobilitazione straordinaria, malgrado il periodo che in Italia è quello delle ferie estive e delle calure d'agosto.

Ma, in ogni caso, non potrò di nuovo rinviare il Consiglio in caso di mancato successo dell'iniziativa volta ad assicurare la presenza dei compagni e degli invitati sovietici.

Abbiamo in questi giorni - per iniziativa del Segretario del partito - tenuto un seminario riservato a tutti i membri della Segreteria, ed ai parlamentari italiani o europei iscritti al Pr. L'esito è stato allarmante: non siamo riusciti ad elaborare - in aggiunta alle relazioni istituzionali - una o più proposte di soluzione della crisi finanziaria, economica, e di iscritti, che rischia di trasformarsi in una conclusiva crisi politica, senza appello.

Per questo, in particolare per quanto relativo al punto I e 2 vi prego di studiare bene, a fondo, le relazioni che ci sono state indirizzate.

Avremo, evidentemente, anche un vasto e importante dibattito sulle prospettive politiche e sulla situazione nella quale ci troviamo a vivere - come più di ogni altro - le drammatiche difficoltà di questi anni.

Ma occorrerà che ciascuno di noi prepari bene sia le domande sia le risposte che possano contribuire ad avere un dibattito comunque all'altezza della drammatica situazione del Pr.

Un fraterno abbraccio

Marco Pannella

P.S. Mi permetto di raccomandare a tutti ed a ciascuno di provare a dare priorità assoluta, per i vostri impegni, a questo sopraggiunto Consiglio Federale. Tenete anche presente che vostre immediate risposte sia sulla vostra partecipazione, sia - intanto - sui temi all'ordine del giorno della vita del partito, saranno preziose e di aiuto per tutti.

Grazie.

 
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