Caput Immundidi Marco Pannella
SOMMARIO: Nelle elezioni per il rinnovo della Giunta comunale di Roma, è necessaria la presenza di una lista aperta e formata da tutti i partiti laici e di sinistra, da intitolare a Ernesto Nathan, con l'obiettivo primario di sconfiggere il malgoverno e mandare la Dc all'opposizione. Nel 2000 il bimillenario del Cristianesimo: un occasione per rifondare la città e ridefinire i rapporti col Vaticano.
(L'ESPRESSO, 10 settembre 1989)
(Fra dieci anni, avverte Marco Pannella, La Capitale del
cattolicesimo dovrà celebrare il bimillenario della nascita di
Gesù. Sarà un'occasione storica per rifondare la città e ridefinire i rapporti con il Vaticano.
E in questa prospettiva il leader radicale rilancia la necessità di una »lista Nathan alle prossime elezioni amministrative, per mandare la Dc all'ooposizione e sconfiggere il malgoverno)
("Dopo aver proposto a tutti i partiti laici (Pci, Psi, Psdi, Pri, Pli, Verdi e antiproibizionisti) una lista comune alle prossime elezioni amministrative di Roma, contrapposta alla Dc e intitolata a Ernesto Nathan (il sindaco massone e anticlericale che 82 anni fa riformò il governo della Capitale), ora il leader radicale Marco Pannella ha scritto per »L'Espresso questo intervento, con cui illustra e approfondisce gli obiettivi del suo progetto.")
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Ognuno era già pronto a presentare la pripria lista, per queste elezioni romane di ottobre. Con malcelato fastidio hanno reagito e stanno reagendo ancora, con il riflesso sempre più consueto: »Non disturbare il manovratore . E: »Qui di politica non si parla .
I laici, specie i liberali, disposti, intenti a compiere fino in fondo, al loro fondo, tutti gli errori possibili, l'uno e il suo opposto, l'altro e il suo contrario. Non vogliono lasciarne uno solo inesplorato. Non pensano, pare, che ci sia un modo di (non) fare politica che porta a fare di qualsiasi scelta un disastro. I socialdemocratici, che sembrano pronti a precipitarsi nello stes
so vuoto politico dal quale Craxi fu tentato, con la tassatività e la sua sufficienza che davano qualche comprensibile fastidio a Fortebraccio. Perfino i comunisti che rischiano di non comprendere quanto fragile può esser stato il loro successo di giugno (al quale non a caso non credevano), cui sembra basti aver Giubilo per dire no a Nathan.
S'accingevano, s'accingono tutti a ``ripresentarsi'' in piena continuità di emblema e di cosmesi, come da quarant'anni. Se non ci fossimo mossi, grazie anche al mese ``liberal'' dei mass media, l'agosto, tranne che per TG1, TG2, Manca e Agnes, i Segretari avrebbero già ratificato tutto, cioè il niente come pensiero, il nulla come programma, lo ieri come domani. Chi, immagino, per assicurare il contributo di Cavour, che di Mazzini, chi di don Sturzo, che di Turati, chi di Bombacci, chi di Federzoni, chi - ancora - di Gramsci, alla vita civica, civile e politica romana e nazionale. Contributi, come tutti sanno, assolutamente auspicabili, assicurati da quarant'anni, e guai a noi se dovessero questa volta mancarci.
Quel che manca è altro, sono idee e volontà: la politica, insomma. Mancano la piena coscienza delle proprie responsabilità, della grandezza stessa delle proprie storie particolari, come accade agli epigoni, anziché ai continuatori. E, soprattutto, manca la ``forma'', il ``traino'', l'``immagine''.
Manca un obiettivo di sintesi, temporale e spaziale, amministrativo, politico, operativo, appropriato storicamente. Manca, perché non lo si è nemmeno cercato, il ``modo'' di ancorare al possibile un progetto di soluzione di problemi immensi, ormai secolari, gravissimi, angosciosi e ormai anche vergognosi, che ci trasciniamo dietro insoluti e che hanno fatto letteralmente scomparire, quale città, in quanto tale, la Roma di questo secolo. Manca ancora per finire, qualcosa da comunicare, da dire, da far anche immaginare, con cui interessare la gente, i cittadini, gli elettori, cioè noi stessi.
Ma tutto questo manca alle decisioni che stanno per essere prese. Non alla gente, non alla cultura e alla storia della gente, della stessa politica, ormai, di questa città. Se ci siamo ridotti alle ultime ore, non è colpa nostra. Non potevamo immaginare questo colpo di coda di ciò che è intollerabile, putrido per tutti. Se è necessario mobilitarsi subito, e poche sono le ore a disposizione, abbiamo sotto gli occhi, a portata di mano, quel che lo consente e lo impone.
IL 2000 COME SCADENZA, IL BIMILLENARIO COME OBIETTIVO. O COME FINE DELLA CITTA'
Per Parigi, s'è appena svolto il ``bicentenario'' della Rivoluzione francese.
Per Roma, capitale italiana ma anche capitale del cattolicesimo, c'è da celebrare il bimillenario della nascita di Gesù, evento non solamente cristiano, ma oggi pressoché universale. Non dispiaccia ai distratti delle due rive del Tevere: ma da questa scadenza può nascere o rinascere la città, o esserne definitivamente travolta, distrutta. Che cosa lo Spirito santo suggerirà al Papa non posso certo pregiudicarlo. La tentazione del laico impenitente quale sono, sarebbe quella di suggerire alcun e innovazioni impertinenti: l'``Anno Santo'' non lo si convochi a Roma, ma a Gerusalemme o Betlemme; o a Varsavia, a Mosca, a Ouagadougou; dovechessia, ``in partibus infidelium''. Ci pare tuttavia più probabile che lo si convochi a Roma; oggi, »rebus sic stantibus , a Babele. Nel 2000, o l'anno prima.
Mancano dieci anni. Due consiliature, per il Comune. Due legislature, per il Parlamento. Poi decine di milioni, e ancora più, di fedeli e di turisti del mondo intero converranno in Campidoglio, a Piazza San Pietro, nella piccola, minima ``veccia Roma''. Ci accingiamo ad accoglierli come Venezia i Pink-Floyd; per un anno almeno, non per una notte. Nel vuoto di opere, di preparazione, di cultura, di religiosità che lo circonda e l'assedia, condiziona e peggiora il peggio, nella Roma di oggi,
cioè, il Vaticano non saprà che esser travolto, sommerso; secolarmente insozzate la Chiesa e le chiese, tutto ridotto a numeri e profitti selvaggi delle organizzazioni affaristiche che detteranno ciecamente (e non per colpa loro) il ``nuovo sviluppo'' di Roma, in base alle loro necessità di un attimo, di un'operazione.
Lo so, caro direttore: li sento già rispondere, sufficienti e sorridenti: »E' proprio vero: una ne fa, cento ne pensa! Ora s'inventa anche l'Apocalisse, per avere un paio di consiglieri comunali! Con un ``Anno Santo'' che, magari, nemmeno ci sarà! . Il fatto è che se l'Anno Santo non ci fosse, ma ci sarà, occorrerebbe ugualmente inventarne uno. Questa (certa) eventualità e questa scadenza, infatti, sintetizzavano visivamente, formalmente, storicamente, quel che comunque ci attende, semmai con minore possibilità, se non ci fossero, di convertire in Resurrezione l'Apocalisse in corso.
Abbiamo, dunque, comunque, la necessità di acquisire il 2000 come scadenza, il Bimillenario come obiettivo e occasione unica, storica per la rinascita della città, di Roma.
La Roma ebrea, la Roma laica, la Roma cristiana, la Roma musulmana (ci sarà, ci sarà: meglio prevederla, organizzarla, pre-pararla), la Roma ``classica'', imperiale, repubblicana, dovranno ergersi e convergere in onore e accanto alla ``Roma cattolica del 2000''. Comporsi, in quest'atto, nella nuova città, nella nuova Roma, e comporla. Tre volte ``capitale'', cattolica, italiana, di un territorio europeo. Occorrerà sollecitarne, finanziarne, finalizzarne il lavoro e i lavori, con una straordinaria nascita, rinascita, degli studi, delle ricerche, sulla storia, sulle tradizioni, sui fini, sulle filosofie e le letterature, sulle scienze. Investendone Facoltà, Università, non solamente dalla Sapienza alla Gregoriana, ma ovunque una cultura ``romana'' continui: ``esposizione'', ma anche ``fabbrica''; ``festival'' di cultura e di scienza, di arti e di religioni, di dialogo e di democrazia della tolleranza. Con simposi, pubblicazioni, corsi che si snodino fino a convergere, nei luoghi di arrivo, nella città che li o
spiti.
Per questo, occorreranno - appunto - i luoghi deputati, il luogo in cui (si) tengano, la città che li ospiti e li componga: perché siano l'occasione di nascita di quel che resterà, non d'effimeri palcoscenici. Possiamo immaginare, politicamente volere, che quel che è stato qualche anno fa intuito e accennato ad Assisi possa essere compitamente conquistato a e da ``Roma'': i massimi esponenti delle religioni del mondo, uniti e vicini per celebrare, e annunciare, le vie della vita e della salvezza del mondo, mentre i Nobel potrebbero avere una occasione finora inedita di confronto e di lavoro comune...
Luoghi da costruire nella città di Roma; sin d'ora, pur se un solo millimetro al giorno, per cominciare; ma nella direzione giusta. E, la ``direzione giusta'', sia intesa alla lettera: quella che, da Ernesto Nathan in poi, è parsa sempre essere l'unica alternativa alla distruzione ``a macchia d'olio'' della città. Per una città: la polis era territorio, ambiente, non solo ammasso di abitazioni. Una città che inglobi, comprenda parchi abitativi e parchi naturali, parchi archeologici e parchi marini, che si raccordi con altre del Lazio e con esse costituisca la sua nuova identità, e la loro. Città ``capace'', con mobilità di volumi e di destinazioni, di accoglienze ``straordinarie'' o d'``emergenza'' e di ordinarie, non più ``solamente'' di uomini e di donne, ma di fauna e flora, di spazi e di vuoti, realizzati.
C'è, immagino, di che mobilitar subito per concepire e realizzare, quasi sotto forma di una sorta di ``Roma-game'', l'apporto del M.I.T. e della London School... Per battere, finalmente, chiamando a raccolta interessi economici, finanziari ben più possenti e ambiziosi, i poveri e micidiali interessi e mediocrità che hanno costituito il timore del quale - per il secolo Ventesimo - Roma è morta come città, come ``polis''. Una volontà politica e un progetto del genere sarebbe in condizione non solo di suscitarli ma - anche - di difendersene.
Tutto questo, di per sé, può rappresentare null'altro che chiacchiere a tutto campo; non più se diventa consapevolezza del tempo, dell'obiettivo di realizzazione: il 2000 e il Bimillenario.
La forma che è mancata all'opera degli amministratori e all'enorme produzione progettuale del Lazio e di Roma, anche a causa dei ``contenitori'' partitocratici, le sole vere ``istituzioni materiali'', o ``reali'', esistenti, all'interno dei quali non hanno potuto che muoversi, dilapidarsi e dilapidare.
I progetti, gli studi, i quadri non occorre affatto andare a cercarli lontano. Non mancano, come non mancano i programmi. Occorre semplicemente volerli, crederci e l'imbarazzo sarebbe solamente quello della scelta. Nei cassetti e nei cestini, nella rassegnazione o nella sterile rivolta, non c'è che da scegliere, da scartare, da utilizzare invece che continuare a ignorarli, dopo aver sperperato tesori per averli.
Comunque, e per finire con questa riflessione, rispetto ai problemi di Roma, alla scadenza del 2000, al Bimillenario che comunque si farà, alla necessità di suscitare la forza politica e amministrativa nuova, alternativa al vecchio, ampiamente maggioritaria nella città e nell'opinione nazionale, le solite liste di partito, del Pli o del Psi, che senso hanno, che esito per la città può mai scaturirne, se non quello di sempre? La grandezza (perché tale fu a confronto con quella di oggi) della classe dirigente, risorgimentale, dell'``Italietta'', concepì la ``legge delle guarentigie'' (in un contesto che includeva le leggi Siccardi, del cattolico Siccardi). Il Trattato clerico-fascista non poté che ispirarsi nelle soluzioni territoriali a quella legge. E non è stato toccato, malgrado la nostra lotta durissima, perché fosse radicalmente riconcepito. Mentre il ``nuovo'' Concordato è, considerando i tempi, meno tollerabile e decoroso di quello del '29. Se le firme del cardinal Gasparri e di Benito Mussolini rester
anno nella storia, piccolo esempio di piccolo patto Ribbentrop-Molotov, quello del cardinal Casaroli e di Bettino Craxi (sia dato atto al Vaticano che è stato il presidente socialista, in particolare, a volerlo con fretta e superficialità), stanno volando via con la cronaca. Ma da dieci anni, e i documenti della Camera possono documentarlo, noi poniamo il problema del nuovo Trattato. Non solamente per eliminarne le vergogne e i frutti putrefatti, ma per riproporre, se possibile, una sorta di nuova ``legge delle guarentigie'' che faccia crescere nei loro specifici interessi sia lo ``Stato'' sia la Chiesa.
PER ROMA, NUOVO TRATTATO FRA ITALIA E VATICANO
Se ``lo stato'' Vaticano ha da continuare a esistere, non è ormai assurdo e disonesto, intellettualmente, culturalmente, politicamente, mantenere i confini che gli furono fissati nel mondo ottocentesco, con Roma di due o trecentomila abitanti, e al massimo decine di migliaia di turisti e pellegrini di passaggio?
Occorre urgentemente riflettere, cioè immaginare. Roma deve concepire - se lo vuole - un suo destino, complesso, magari cacofonico, ma quanto ricco e universale. E deve poterlo fare dalle sue sedi istituzionali, dai tre governi che già accoglie, quello nazionale (che fortunatamente deperirebbe se nascessero gli Stati uniti d'Europa), quello vaticano e quello cittadino. Sarebbe difficile, e avaro, e prodigo, a un tempo, farlo, prescindendo dal contributo del Vaticano e della Chiesa, che va invece esaltato, sollecitato, incalzato, se necessario; e accolto con gioia, se ci sarà, se ci fosse.
Una sorta di ``joint venture'' romano-italo-vaticano potrebbe e dovrebbe presiedere a uno ``status'' particolare, a una sorta di ``distretto'' come quello di Washington, radicalmente adeguato allo specifico romano, alla sua storia e ai suoi progetti. Sono la storia e la cultura laica e radical-liberale o liberal-democratica (che deve esser definitivamente fatta propria, dissequestrata, dalle forze che rappresentavano gran parte del paese reale), che devono prendere cent'anni dopo, nuovamente, l'iniziativa. Riconquistiamo alla più piena continuità con la sua storia ``reale'' (cioè, così spesso, orrida, incivile) il territorio laziale, o di gran parte del Lazio, cogliendo questa occasione per assicurarle ancor più compiutamente l'apporto della società e dello Stato di diritto. L'apporto della società e dello Stato di diritto, e dei diritti e doveri di tolleranza (dei quali Ernesto Nathan fu propugnatore e difensore), di dialoghi civili, umani e politici.
Fissiamo, con un nuovo Trattato, o per quanto possibile, con legge, o proposta di legge, unilaterale nella sua proposizione (poiché ormai sarà così o non sarà) confini ``laziali'' del Vaticano (in autonoma aggiunta agli attuali), fissandone prerogative e competenze. Con la possibilità di configurare una sorta di ``doppia cittadinanza'', emblematica, che ci faccia divenire ``contribuenti'', per il giusto, pre-fissabile, anche di questo nuovo Stato Vaticano.
Nel 2000 potremmo immaginare un sistema cittadino che includa gli splendidi paesi, borghi, cittadine montane, lacustri, attorno alle loro chiese, ai loro forti, ai loro palazzi, con la loro storia riconquistata nella riconquista del contesto che le vide nascere e vivere. Con i grandi parchi naturali e archeologici, lambiti da un sistema di trasporti di ``servizio pubblico'' su rotaie a scorrimento rapido, in un sistema istituzionale fortissimamente decentrato, unito solamente da competenze e diritti pubblici e comuni ferreamente affermati (che potrebbe ispirarsi al sistema svizzero dei diritti cittadini, della città e delle persone: il sistema più democratico e liberale, ma anche comunitario e solidale d'Europa). Dall'aereo, di notte, l'esempio di cento ``Campidogli'' illuminati di questa ``grande Roma'', romana, italo-vaticana, europea, municipi e piazze degli splendidi borghi e paesi del territorio: quelli di ieri, così rinati oggi; e quelli, vivaddio, da concepire e realizzare con il concorso dell'archite
ttura di tutto il ``villaggio globale'', degli economisti degli ambientalisti, dei giuristi, dei geologi, degli artisti, dei filosofi, ordinato dalla politica, dalla politica neo-democratica.
Certo: la ``grande Roma'' esigerà al più presto una sua ``Autorità'' peculiare e propria. Più una democratica ``Roman valley authority'' che uni "govvernatorato'', dove occorrerà prevedere, per presceglierlo e predisciplinarlo, il grande flusso migratorio epocale che s'annuncia, e va così anche contenuto (e formalizzato) nel contenitore-cittàò, per farci forti delle culture e delle umanità dei cittadini-immigrati. In questo quadro è possibile immaginare ``ritorni in gestioni secolari, alla Chiesa (e attribuzioni ad altre Chiese o riti o religioni) di quel che con le leggi Siccardi per le evoluzioni e involuzioni successive dello Stato, è stato trasferito al nulla, o peggio, onde meglio assicurare l'apporto ``anglosassone'' al bene comune.
Ho così avanzato, caro direttore, qualche esempio di possibile approccio all'onore e all'onere, davvero folli, del candidarsi al governo di questa città al governo della polis e della politica.
So che tranne la ``gente comune'' gli ``esperti'', tutti gli esperti, nei loro specifici settori o discipline; tranne, cioè, gli individui di studio, di commercio, di industria, filosofi, sociologi, storici, letterati, perfino una parte di quelli dannunzianamente o mussolinianamente crocefissi sui frontoni del palazzo dell'Eur, e gli apostoli del sociale, della scuola, della società, del diritto e della giustizia dell'ordine; tranne dunque, costoro, che saranno anche tanti ma che non contano proprio nulla, oggidì, so bene che ``quelli che contano" ripeteranno, con Renato Altissimo: »Questo è un papocchio, è troppo tardi, ognuno per sé... . Ma non ci credono neppure loro.
Penso, così, di aver proposto un obiettivo e un'intenzione.
Passiamo alla lista ``Ernesto Nathan'', e alla sua fattibilità.
Non è una lista anti-democristiana. Ha bisogno di essere ``anti'' solamente chi non ha fiducia nel ``pro'' che propone, nelle proprie ragioni. Anzi,,per me è una lista anti-anti-democristiana, perché questo modo di porsi e di schierarsi, ormai, è inadeguato, interno allo sfascio, è un palliativo. Occorrono invece riforme radicali di sistema, politico e istituzionale, in direzione anglosassone. E a livello nazionale, in particolare, sarebbe assurdo ed errato non contare su una trasversalità che inglobi anche gran parte o buona parte della Dc.
Ma, a Roma, è oggi pensabile che la Dc, in quanto tale, non si presenti alle elezioni amministrative? Alla base del mio ragionamento, c'è invece il presupposto secondo cui è perfettamente pensabile che il Pci, il Pli, il Pri, il Psdi, il Psi non si presentino, in quanto tali. Indicare fra i capilista possibili Oscar Scalfaro o Mino Martinazzoli, come ho fatto, può provocare scandalo o far pensare che si tratti di futili provocazioni, solamente perché diamo per scontato o per possibile una piena autonomia civica e civile di tutti, fuorché di demoscristiani e di missini: io non voglio darlo per scontato. La responsabilità e è sia loro.
La ``lista Nathan'' significherebbe anche questo: la scomparsa del Pci, e non del solo Pr e degli altri laici, quale soggetto di governo delle città. Significherebbe due sole liste partitiche, Dc e Msi, e almeno tre liste ``civiche'', quella Nathan, quella antiproibizionista, quella verde, con loro diverse caratterizzazioni, in buona misura convergenti. Ci troveremmo, di fatto, grazie a questa occasione, di fronte ad un inizio di riforma della politica, non solamente dei partiti. Quel che valeva per la Chiesa, vale a maggior ragione per queste chiese ideologiche, invece che teologiche: più si spogliano di ricchezza e di potere e meglio possono crescere e svolgere le loro missioni.
Vorrei che fosse chiaro al Pci, e agli altri, che le scelte che faranno per Roma, che faremo, saranno quelle che - per quanto ci riguarda - si cominceranno immediatamente a preparare anche per le elezioni di primavera. Lo comprende il segretario del Pci di Genova, Burlando, membro della direzione del partito. Egli ha pienamente ragione. Di già alle europee si è fatto molto meno del dovuto e del possibile. Che in complesso siano andate bene, non è un buon motivo per perdere altro tempo. La riforma di se stessi, dev'essere compiuta. Ma senza per questo credere che non sia altrettanto urgente guidare (o subire) la Riforma politica e istituzionale del paese. E' in causa la politica di Occhetto, non quella di Togliatti. L'osservazione vale per tutti.
La lista non deve essere ``anti-democristiana'', anche per l'ottimo motivo che la giunta uscente, tutta la storia del malgoverno, è ``pentapartita''; altro che Giubilo! E' la storia del Pli, del Pri, del Psdi, del Psi almeno quanto è storia Dc. La lista deve nascere dal superamento di questa condizione.
Mi sarei augurato che i laici, assieme, avessero deciso di porre il Pci di fronte a questa scelta. Ma tendono a star separati nei ``séparés'' riservati ai ministeriabili e agli assessoriabili. Mi sarei augurato che il Pci non facesse lo stesso errore: per pigrizia e soddisfazione. E che tutti insieme avessimo in tal modo facilitato al solo partito che ha fatto ``scelte tempestive'', il Psi, un momento di riflessione e di possibile revisione delle proprie scelte. Così non è stato. Ma può e deve ancora esserlo.
C'è il programma di Ernesto Nathan, con le aggiunte quarantennali che già si sono accumulate. C'è la possibilità di proporre al popolo romano di tornare alla linfa di tutte le sue radici: la radice di Nathan è pienamente fabiana, cristiana, sociale, liberale, europea. C'è la necessità di adottare subito l'obiettivo del Bimillenario e la scadenza del 2000, e chiamare a raccolta il popolo attorno a esso e ai nostri ideali. C'è il lavoro - quanto rivoluzionario, questo! - di discutere quanti candidati comunisti o di area (Trenta? Trentadue?), e quanti delle altre devono comporla. C'è da riflettere sull'importanza novativa, anche emozionale, di questa ``piccola'' opera, apparentemente da Cencelli liberale, e democratico. C'è da chiedersi se il Rettore dell'Università, il Presidente dell'Accademia dei Lincei, non riterranno di doversi muovere; e se le espressioni di quella realtà sommersa e alluvionata cui si riferiscono Giovanni Moro e Russo Spena non debbano essere mobilitate a fondo perché il massimo di 500 Co
nsiglieri circoscrizionali sia loro, non solo di Consiglieri comunali.
Ma ha ragione, ancora una volta, Ernesto Galli della Loggia: se centinaia di ``intellettuali'' e di politici non si auto-organizzano subito per richiederla, questa Lista non riusciremo a farla, a imporla ai partiti; non riusciremo a consentire ai Segretari, se lo vogliono, di avere ragione della pigrizia e delle vischiosità delle ``basi'' e degli apparati. Almeno quale l'auspichiamo. E, di questo movimento, non si avverte ancora il segno.
Caro direttore, che sia oggi il tuo ``Espresso'' a consentirci dialogo e conoscenza, ricchezza del dibattito civile, civico e politico, per me ha del ``vissuto''. ``L'Espresso'' di Arrigo Benedetti, la campagna su »Capitale corrotta, Nazione infetta , ci animò, coinvolse, segnò quasi per sempre, come l'oggi dimostra. Restò, quella campagna, isolata: e in definitiva, fummo insieme battuti. Oggi la grande maggioranza dei cittadini, dell'opinione pubblica, cioè la cultura disarmata e laica, ha questo dentro di sé. Quella storia è certamente divenuta natura per questa città.
Ti ringrazio, per questo. Nelle prossime ore, ciascuno si assumerà le proprie responsabilità: con l'inerzia, l'assenza, la sfiducia in sé e negli altri, e raccoglierà quel che merita, anche, purtroppo, per noi tutti. Ma c'è altro e altri da cui sperare. Non è detto che le sole ``Primavere'' liberal-popolari debbano venirci dalle città dell'Est.